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Due insospettabili sostenitori delle idee del Family Day

Gli articoli usciti ieri su Manifesto e Corriere di Mianiti e Magris non vanno persi. I talebani non sono tra le famiglie andate al Circo Massimo

Luigi Amicone
17/03/2016 - 10:03
Società
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family-day-manif-ansa

Sembrava che con l’approvazione della Cirinnà in Senato si fosse spalancata anche in Italia la porta del delirio di onnipotenza in nome dei “diritti civili”. Complice un Renzi superficiale e opportunista nella sua ansia di mimetismo con il logo di Obama (e adesso con la pulzella dei radical-chic Hillary Clinton), Nichi Vendola annunciava la sua paternità surrogata. E le erinni della Cirinnà promettevano di dilagare nella affermazione prepotente della politica dei desideri.

Qualcosa invece si inceppa (già a cominciare dal portentoso Family Day) nel meccanismo ideologico pervasivo di ogni piega del discorso pubblico. Così, si può dire che mercoledì 16 marzo è stato un bel giorno per la magnifica intuizione di Hannah Arendt circa «la differenza decisiva tra l’infinitamente improbabile» che sembra governare le vicende umane «e il carattere miracoloso insito negli eventi» grazie al “miracolo” della libertà umana.

Ecco, l’imprevisto capace di sovvertire la concatenazione di fatti che devono sembrare ineluttabili e irresistibili; la circostanza che ribalta il facile giudizio del “non è servito a niente il Circo Massimo” e del “ tanto prima o poi approveranno di tutto”, succede in un giorno come tanti, ma che per due buone ragioni diventa un giorno indimenticabile anche se tutti lo dimenticassimo.

Ebbene, due laici, Mariangela Mianiti e Claudio Magris, dalle colonne di giornali che non diresti consuetudinari al pensiero non conformista, Il Manifesto e Corriere della Sera, sfidano il pensiero dominante in materia di desiderio e politica, leggi e mercato. La Mianiti è formidabile nel demistificare la cosiddetta “maternità surrogata”. Nessun fronzolo, diritta alla verità fattuale, ricostruisce tutti i tasselli del “mercato dei corpi” che trasforma e riduce gli esseri umani in «portatori di spermi» e «portatrici di uteri».

Non c’è conclusione più lucida e sottoscrivibile da chiunque abbia un minimo di informazione e senso di realtà: «Intanto medici, cliniche, agenzie, assicurazioni, ospedali e avvocati vedono crescere il proprio conto in banca. In mezzo c’è il desiderio di un figlio. Viene davvero da chiedersi se un bisogno così ha il diritto di essere esaudito a qualunque costo, letteralmente parlando».

Altrettanto impeccabile, per profondità di argomenti e calore umano, è l’editoriale di Claudio Magris. Ci riporta ai temi cari ai “marxisti ratzingeriani” e alla loro profetica discesa in campo, nell’autunno del 2011, contro la manipolazione, l’alienazione e la violenta irreggimentazione della vita umana da parte dell’ideologia al servizio del capitale e della tecnoscienza. Come allora personalità di una certa tradizione comunista si schierarono al fianco di papa Benedetto e del cardinal Ruini, così oggi Claudio Magris prende parola.
Anche contro certi suoi interventi precedenti in materia di unioni gay e proprio mettendosi nel solco dei quattro ratzingeriani Giuseppe Vacca, presidente dell’Istituto Gramsci, Pietro Barcellona, filosofo comunista recentemente scomparso, Mario Tronti, un passato da Potere Operaio e ora nel Pd, Paolo Sorbi, da Lotta Continua ai pro life.

Quella sorta di “banda dei quattro” che nel 2011 firmò su Avvenire un manifesto che abbracciava le tesi di papa Benedetto e sfidava da sinistra lo sfruttamento neocapitalistico coperto di ideologia e partitocrazia progressista. La loro posizione rifluì in un volume arricchito da contributi di campo cattolico (Emergenza antropologica. Per una nuova alleanza tra credenti e non credenti, Guerini, 2012) e al quale Pd e sinistra radicale dovettero mettere la sordina per non affrontare la scomodissima tesi che l’«inedita emergenza antropologica» è «la manifestazione più grave e al tempo stesso la radice più profonda della crisi della democrazia».

Tutte intuizioni che abbiamo visto esplodere negli anni seguenti e, soprattutto, durante l’iter di approvazione della Cirinnà. Dove tutti abbiamo toccato con mano la potenza di fuoco della propaganda e la minaccia alla democrazia costituita dal combinato disposto di media e tribunali impegnati a sostenere senza possibilità alcuna di discussione democratica e di argomentazione razionale, l’imposizione di “diritti” interpretrati capovolgendo l’asserto ratzingeriano, cioè secondo la logica della insidacabilità e non negoziabilità di certi presunti “diritti” (matrimonio e adozioni gay).

Secondo Pasolini «il nuovo capitalismo non si limiterebbe a cambiare un tipo d’uomo: ma l’umanità stessa… creando come contesto alla propria ideologia edonistica un contesto di falsa tolleranza e di falso laicismo: di falsa realizzazione, cioè, dei diritti civili». L’originalità di Magris sta nel risalire a questo Pasolini e al suo dissenso, espresso già al tempo dei referendum sul divorzio e poi in tema di aborto, rispetto a quelle maggioranze che, secondo il poeta di Casarsa ieri e Magris oggi, sono «espressione di un relativismo nichilista che riduce tutto, anche sentimenti e valori, a merce di scambio e tende sempre più a dissolvere ogni unità forte di vita e di pensiero».

Per Magris, oggi «lo si constata sempre più in ogni settore, dalla politica alla cultura alla vita privata. È il trionfo del consumo, denunciato da Pasolini; del consumo che esorbita dal suo ambito — il consumo e la possibilità di accedervi sono ovviamente una fondamentale condizione di vita dignitosa e godibile — per inglobare ogni aspetto della realtà e dell’esistenza». E così, da sponda laica e di sinistra, lo scrittore e critico letterario del Corriere fa proprio l’argomento più tipico di quella piazza del 30 gennaio a Roma: «Un figlio nasce da un uomo e una donna e la sua maturazione è arricchita dalla diversità di queste figure».

E ancora. Magris non si limita ad osservare che «l’odierna e dominante società liquida miscela ogni problema e ogni presa di posizione in una melassa sdolcinata e tirannica, in una conformismo che ammette tutto e il contrario di tutto. Tranne ciò che contesta il suo nichilismo giulivo totalitario». Richiama la positività della famiglia, addirittura il valore dell’indissolubilità del matrimonio. E con il presidente del Gramsci affonda la critica al «riconoscimento per legge del desiderio individuale quale fonte della libertà e del diritto», in quanto esso «crea inevitabilmente frammentazione e atomizzazione in ogni campo».

Un intervento che sarebbe potuto venire dal palco al Circo Massimo. E fare laica eco all’oratoria di Massimo Gandolfini. Infine, il problema non è che Mariangela Mianiti e Claudio Magris siano arrivati a legge Cirinnà approvata e un po’ in ritardo rispetto ai giorni della “melassa sdolcinata e tirannica”. Il problema è che i loro due interventi sono la dimostrazione che non è il popolo del Family Day ad aver “alzato i muri” e non bisogna cercare i talebani tra le famiglie andate al Circo Massimo. Tutt’al contrario, è nei media e nei tribunali, nel Pd e nei cattolici renziani (insieme ovviamente alla sinistra anti renziana che alla bandiera rossa ha sostituito quella arcobaleno) che sono stati alzati i muri, gli stereotipi e i blabla talebani, l’allineamento al “mercato dei corpi” e il “nichilismo giulivo totalitario”.

Con ciò, e magari in vista del passaggio della Cirinnà alla Camera col suo strascico di nuove pretese adozioni e matrimoni gay, si può forse ancora ripartire in un dialogo che sa discernere e riconoscere come stanno le cose. Non come le cose dovrebbero essere secondo tutto ciò che chiamano “progresso”. Inevitabile, irresistibile o ineluttabile esso debba sembrare. Mentre invece è stato servitù militare sotto il logo e il giogo imperiale di Obama.

@LuigiAmicone

Foto Ansa

Tags: Barack Obamacirinnàclaudio magrisfamily dayMatteo Renzi
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