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Sotto Draghi, il nulla

L'invocazione di un semi-presidenzialismo di fatto da parte di Giorgetti mette a nudo un problema politico drammatico. Il ruolo “monarchico” del capo dello Stato e le manovre per il Quirinale

Lorenzo Castellani
06/11/2021 - 6:30
Politica
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Il presidente della Repubblica Sergio Mattarella con il presidente del Consiglio, Mario Draghi (foto Ansa)

L’invocazione, guardando all’imminente elezione del prossimo capo dello Stato, di un semi-presidenzialismo di fatto da parte di un ministro e uomo politico importante come Giancarlo Giorgetti rende bene l’idea della condizione in cui versa la politica italiana. Sotto Draghi, il nulla.

I precedenti di Napolitano e Mattarella

Non che le parole di Giorgetti siano particolarmente scandalose in sé, è noto quanto negli ultimi vent’anni il ruolo del capo dello Stato si sia ampliato e abbia assunto un ruolo politico più decisivo. Molti già nell’era Napolitano parlarono di una qualche forma di presidenzialismo materiale che si era innestato sulla Costituzione formale. La presidenza della Repubblica scandisce la possibilità di ritorno alle urne o meno, può aiutare la formazione di maggioranze in Parlamento, nei momenti di crisi compone governi tecnici o ricerca capi di governo in grado di dominare un Parlamento riottoso e inconsistente.

Il capo dello Stato rappresenta, soprattutto, il tramite del vincolo esterno della politica europea e internazionale. Lo stesso Mattarella di fronte alla coalizione populista di Lega e Movimento 5 stelle è stato determinante nella scelta e nel posizionamento dei ministri al fine di mantenere il governo del paese lontano dalle sirene no euro; così come è stato attore centrale prima nella formazione del governo Conte 2 tra Pd e Movimento 5 stelle, con la scelta di non sciogliere le camere e cercare un’altra maggioranza in Parlamento, e poi nel garantire una continuità nella composizione del Consiglio dei ministri quando si è passati al governo Draghi.

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Partiti deboli, Draghi forte

In questa descrizione non c’è nulla che esorbiti dalla lettera scritta della Costituzione, ma tale capacità decisionale della presidenza della Repubblica si espande perché sono deboli i partiti. Nella cosiddetta Prima Repubblica non c’era bisogno di questa funzione di supplenza. Oggi invece le formazioni politiche italiane sono estremamente deboli. Così precarie da aver scelto di auto-commissariarsi, accettando il governo Draghi, per non caricarsi sulle spalle la responsabilità del Pnrr. Il ruolo del capo dello Stato è per questo sempre più importante ed è il motivo di grande agitazione che queste settimane pervade il Parlamento. Tuttavia, sul piano storico e istituzionale più che immaginare semi-presidenzialismo di fatto bisognerebbe parlare di un potere semi-monarchico.

Di fatti, il (semi) presidenzialismo prevede l’elezione diretta del capo dello Stato da parte del corpo elettorale. Storicamente questa forma di governo appartiene a due tradizioni: quella americana, dove si è affermato in più nazioni il presidenzialismo, e quella francese, eredità del bonapartismo. La forma che da noi si ha in mente quando si parla di trasformazione di fatto delle istituzioni è invece più quella di un monarca costituzionale a tempo determinato.

La storia che si ripete sotto altre forme

La monarchia dei Savoia ha svolto, in molte fasi della storia del Regno d’Italia, un ruolo di interventismo rilevante nelle vicende parlamentari e nella formazione dei governi. Ciò al fine di domare una parlamentarismo fazioso, frammentato e trasformista. Napolitano è stato a lungo ribattezzato dalla stampa “Re Giorgio” proprio per questo suo protagonismo nelle crisi della politica italiana. Come si vede, dunque, la storia torna sempre seppur in forme diverse.

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Sembra tutto molto bizantino e lo è, perché la politica italiana è incapace di auto-governarsi e ricerca continuamente di scaricare all’esterno l’arte e la responsabilità di governo. Non riesce a riformare le istituzioni per vie legali e cerca di farlo confusamente sul piano fattuale. In tutto questo una domanda resta sullo sfondo, anzi due: dopo Draghi cosa resterà? E si può avere fiducia nel futuro con una politica così impotente, alla perenne ricerca di un commissario esterno e che confida in riforme costituzionali inedite senza passare per le dovute procedure giuridiche?

Tags: giancarlo giorgettimario draghiparlamentopartitiquirinale
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