La preghiera del mattino

Dopo le regionali. Pd allo sbando e antimeloniani confusi

Pd
Stefano Bonaccini, Paola De Micheli (di spalle) e Elly Schlein, candidati alla segreteria del Pd (foto Ansa)

Su Fanpage Adriano Biondi scrive: «Il Partito democratico, ancora una volta, ha la responsabilità maggiore della devastazione del campo del centrosinistra. Più volte si è discusso della fallimentare strategia di avvicinamento e poi di gestione delle Politiche, ma in pochi avrebbero ipotizzato una transizione così confusa e autolesionista. Che ha prodotto una situazione surreale: una campagna elettorale di tale rilevanza condotta in pieno congresso, senza un leader o un minimo riferimento che potesse sostenere lo sforzo dei candidati locali, unita a un’incapacità preoccupante di posizionarsi senza ambiguità sui temi al centro del dibattito pubblico (ambientalismo, reddito di cittadinanza, immigrazione). L’indifferenza pressoché totale con cui il resto del Paese sta assistendo alla corsa per la segreteria dovrebbe spingere a riflettere sul potenziale residuo di un soggetto politico in tali condizioni. È vero, la crisi dei democratici ha radici lontane e comuni a tanti soggetti “simili” nel resto d’Europa. Ma evidentemente è giunto il tempo almeno di problematizzare seriamente la questione, interrogandosi sul senso e sulla funzione di un partito che non è più attrattivo per le giovani generazioni né capace di conservare il proprio elettorato di riferimento. Peraltro, al netto di chi vincerà le primarie, la strada è piena di ostacoli, gran parte dei quali piazzata da quelli che in teoria sarebbero gli alleati potenziali».

Ecco un’analisi seria delle difficoltà strategiche che si trova di fronte la “sinistra storica” italiana. A mio avviso la questione di fondo è che la crisi della “politica” in Italia è determinata dalla crisi del nostro Stato. La destra in qualche modo ha presente questo problema, la sinistra ha approfittato delle rendite di posizione che la crisi dello Stato le offriva e oggi paga il prezzo di questo opportunismo. Se vincerà Elly Schlein, il destino del Pd sarà melanchoniano cioè quello di una deriva radicale senza prospettiva di governo. Se vincerà Stefano Bonaccini, questi avrà qualche chance solo se mentre prepara un’alternativa politica, cercherà un qualche accordo costituente con la destra.

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Su Strisciarossa Nadia Urbinati scrive: «L’astensione massiccia e la vittoria delle destre sono indubbiamente una pessima notizia. Circa il primo dato, altre volte in passate elezioni regionali si era giunti al 37 per cento dei votanti: fu quando venne eletto Stefano Bonaccini a guidare l’Emilia-Romagna la prima volta. L’astensione allora fu una protesta della sinistra, oggi è diventata una forma cronica di abbandono di interesse per la cittadinanza sovrana».

Con onestà intellettuale la Urbinati ricorda come una drammatica tendenza nazionale all’astensione si era già manifestata nel 2014 in Emilia. Altrettanto significativo è stato il voto dei milanesi nel 2021 (il 47 per cento di elettori andò alle urne) per quella che era un tempo l’istituzione più amata dai cittadini, cioè il Comune. Sia in Emilia sia a Milano pesarono le scelte dei candidati del centrodestra: debolissima nel primo caso quella fatta da Matteo Salvini, confusa quella sotto la Madonnina per il veto scriteriato che Silvio Berlusconi mise a Gabriele Albertini. Ma al di là delle scelte specifiche, è evidente come il troppo alto livello di astensione rifletta la disgregazione della politica in corso dopo il commissariamento della nostra democrazia impostata da Giorgio Napolitano tra il 2008 e il 2011.

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Sulla Zuppa di Porro Max Del Papa scrive: «Questo Calenda è un fenomeno, il suo riformismo polare è impalpabile, incomprensibile, pare un monologo di Chiara Ferragni, ma lui ha sempre ragione e se lo bastonano alle elezioni ha ragione lo stesso, anzi ne ha pure di più: “Gli elettori decidono ma non hanno sempre ragione. Altrimenti non saremmo messi così”. Frase più scentrata, più inadeguata era difficile pronunciarla. Non hanno ragione? Non dovrebbero decidere? Che gli elettori siano soggetti a sbagliare è perfino tautologico, ma può un politico che di elettori ha un disperato bisogno trattarli così? Può perché lui, da politico improvvisato ma vecchio è convinto che i giochi non si facciano nelle urne ma nelle segreterie, poi alla plebe puoi darle da mangiare qualsiasi merda e la mangerà. Questo è il terzismo riformista».

Calenda non ha una vera base culturale come avevano repubblicani e liberali nella Prima repubblica, ha un qualche spazio grazie allo sbandamento della sinistra e poggia, poi, essenzialmente su un certo malumore di settori innanzi tutto di una grande borghesia che però è strutturalmente sempre meno italiana. Da qui un crescente legame con un macronismo pur poco in salute e dunque una qualche subalternità a egemonie francesi peraltro non tanto solide, che tra l’altro lo dividono dall’atlantico Matteo Renzi (peraltro un animale ben più politico del confusionario pariolino). Alla fine come nel caso della sua socia Letizia Moratti, l’unica sua risorsa è un qualunquismo tecnocratico che non mi pare abbia un grande futuro.

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Su Huffington Post Italia si scrive: «”La leader di estrema destra che sembrava costituire un pericolo per la democrazia italiana, finora ha governato in modo molto meno ideologico e autoritario del previsto. Mettendo in crisi l’Europa, che ora non sa quali carte giocare con il premier italiano”. È questa l’analisi che il New York Times fa del presidente del Consiglio italiano dopo più di 100 giorni dall’inizio del suo mandato. Quella che doveva essere, secondo diverse narrazioni nazionali e internazionali, un governo potenzialmente pericoloso per la democrazia, non lo sembra poi essere così tanto. Anzi, Meloni, scrive il New York Times, sta governando in modo molto “ordinario”. “La signora Meloni si è fatta valere. Ha placato le preoccupazioni internazionali sulla capacità dell’Italia di onorare i propri debiti, approvando un bilancio misurato. Ha avuto incontri cordiali con i leader dell’Unione Europea e ha smorzato la sua invettiva contro i migranti e le élite. Ha seguito le orme del suo predecessore, Mario Draghi, cercando di portare a termine il suo progetto per modernizzare il Paese utilizzando i miliardi di euro di fondi per la ripresa dalla pandemia dati dall’UE” scrive il giornale».

Gli ebbri antimeloniani che non vedono quel che succede sotto i loro occhi, dovrebbero meditare con attenzione sul senso di quel che afferma il principale (e ultraliberal) quotidiano americano (proprio nel giorno in cui attacca anche Ursula von der Leyen sui suoi rapporti con la Pfizer): negli Stati Uniti si guarda al sodo e cioè a chi garantisce legami atlantici più solidi (al netto delle stravaganti ma ininfluenti politicamente posizioni assunte dal povero Silvio Berlusconi).

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