
A Carlo Calenda, il capo di Azione che trascorre le sue giornate a digitare compulsivamente su Twitter, bisogna volergli bene. A commento del risultato delle elezioni regionali in Lombardia, ieri al Corriere della Sera ha detto che il Terzo Polo «ha perso». Perché? Calenda ha fatto due premesse ed è arrivato a una conclusione così ovvia che ci ha fatto quasi tenerezza.
Prima premessa: «Ammetto che non mi aspettavo il risultato in Lombardia nei termini in cui si è delineato. Neppure mi aspettavo, però, che Fontana addirittura prendesse di più, in percentuale, di cinque anni fa. Si può dire che il presidente uscente abbia governato bene? No, non si può dire».
Seconda premessa: «Abbiamo scelto i due assessori regionali che meglio hanno gestito il Covid, per guidare due Regioni, enti in cui il bilancio è quasi tutto assorbito dalla sanità. Non è importato a nessuno».
Conclusione: «Gli elettori hanno sbagliato a votare».
Bididibodidibù il Covid non c’è più
La conclusione è giusta, se si accettano come vere le premesse. Ed il problema di Terzo Polo e Pd è esattamente questo. Avendo passato gli ultimi anni a raccontarci una Regione allo sbando, con una gestione Covid disastrosa, un mondo della sanità in mano ai loschi interessi dei privati, un territorio dove l’efficienza è una «dinamica mafiosa» (Saviano) in cui spadroneggia Comunione e liberazione che non fa abortire le donne (sempre Saviano) e chi più ne ha più ne metta, era logico aspettarsi un esito elettorale diverso. E invece sono quasi trent’anni che in Lombardia vince il centrodestra: è un fatto davvero bizzarro.
Eppure contro Attilio Fontana il Pd ha candidato Pierfrancesco Majorino che delle suddette “narrazioni” è il campione, nastrino arcobaleno e moschetto, piddino perfetto. E il Terzo Polo aveva puntato su Letizia Moratti che di Fontana era stata vice e che, sempre per la suddetta narrazione, aveva fatto sparire con il suo sorriso, la sua competenza e la sua bacchetta magica il coronavirus, bididibodidibù il Covid non c’è più.
Lombardi pirla
E invece ora a Calenda tocca constatare che di tutte queste cose importanti, di cui lui e i suoi amici hanno pensosamente discusso su twitter, «non è importato a nessuno».
Così accade che la Regione più dinamica del Paese, quella col Pil più alto, quella col più alto tasso di imprese, quella che macina record da sei lustri, quella con la sanità migliore tanto che tutti vengono qui a curarsi, quella dove la sinistra vince solo nelle zone dove le abitazioni costano millemila euro al metro quadro, ecco, qui, in questo buco nero fascioleghista, il centrodestra vince da trent’anni perché la gente «sbaglia a votare». Che pirla questi lombardi.
Due premesse e una conclusione
In verità, i lombardi sono degli ingenui per la ragione opposta, come spiegò a suo tempo Gianfranco Miglio: «La Lombardia è un gigante economico e un nano politico». Lo ha bene descritto ieri sul Giornale Carlo Lottieri: «Gli interessi diffusi dei lombardi raramente sanno convergere in un progetto vincente, tale da fargli conseguire gli obiettivi più cruciali. In questo senso, è significativo che fin dagli anni Ottanta si parli di autonomia e autogoverno in Lombardia e che ben poco, in realtà, si sia davvero ottenuto».
Per questo, se il governo di centrodestra volesse davvero emulare i successi del centrodestra lombardo dovrebbe sviluppare un ragionamento con due premesse e una conclusione.
Prima premessa: per non disperdere un simile patrimonio di consenso è necessario concedere un po’ di quell’autonomia che quel territorio (così come il Veneto) chiede.
Seconda premessa: siccome funziona, non sarebbe una cattiva idea esportare il “modello lombardo” anche nelle altre regioni.
Conclusione: Calenda continuerà a perdere perché gli altri continueranno a «sbagliare a votare».