Il difficile equilibrio dell’Italia sulla guerra in Ucraina
Le scrivo a proposito di un articolo apparso su Tempi di maggio. Dopo una bella e chiara esposizione della questione, sono rimasto allibito dalla conclusione della prima parte dell’articolo quando si afferma che «non è questa la strada: occorre dirlo forte e sostenere il modo diverso l’Ucraina, come hanno fatto con prudenza il governo italiano e alcuni gruppi politici europei». Ho letto bene? Secondo lei il governo ha fatto bene? Ha fatto bene ad inviare armi? Tra l’altro – unico paese a farlo – a non dichiarare al popolo cosa siano questi armamenti. Ha fatto bene ad alimentare una guerra non nostra? Una guerra che ha causato, secondo il New York Times, circa 100.000 morti ucraini e, forse, altrettanti soldati russi. Una guerra imposta dalla Nato all’Europa che ha semplicemente obbedito senza nulla obiettare. Uno scandalo immane dal punto di vista politico con conseguenze di morti e crisi economica. E lo ha fatto in barba alla nostra Costituzione che ripudia la guerra come mezzo per risolvere le questioni internazionali. Il governo ha forse chiesto il consenso del popolo per l’invio delle armi? Stanno decidendo di allargare sempre più questa guerra ed il popolo viene semplicemente ignorato… decideranno magari l’invio di truppe… Dov’è la democrazia? Sono molto deluso che la rivista Tempi, di cui sono un abbonato, non esprima una valutazione più coerente con la verità delle cose. Perché Tempi si è allineata alla propaganda di guerra imposta dagli Usa sull’Europa? Pensavo fosse una testata libera e sovrana nei suoi giudizi. Peccato davvero… penso che non rinnoverò l’abbonamento.
Giancarlo
Caro Giancarlo, Tempi non si è allineato a nessuna propaganda. Lei fa riferimento all’articolo “Al voto per un’Europa fedele a se stessa. E per la pace innanzitutto” di Giancarlo Cesana e Michele Rosboch che, sin dal titolo, chiarisce qual è il punto che si vuole esprimere sul conflitto in Ucraina. E io condivido ogni parola che Cesana e Rosboch hanno scritto e le faccio notare che la frase precedente a quella da lei riportata, diceva: «Per questo spaventano i salti in avanti di leader e forze politiche europee (di diverso orientamento, ma purtroppo uniti su questo punto), che alzano il tiro adombrando un intervento militare di alcuni paesi europei in Ucraina».
Se non rinnoverà l’abbonamento, mi rincrescerà, ma la posizione di Tempi sulla guerra in Ucraina è la stessa dal giorno successivo all’invasione russa e si basa su due convincimenti.
Il primo: l’Ucraina va sostenuta. Il secondo: la guerra non è la soluzione.
L’Ucraina va sostenuta perché non si può permettere che passi l’idea che si può invadere un Paese senza che nessuno fiati. Vale per l’Ucraina, così come per l’Artsakh, per il quale tanto ci siamo tanto spesi (inutilmente, come si è visto, ma qui il discorso ci porterebbe lontano). Si può discutere all’infinito sulle colpe della Russia e dell’Ucraina prima dell’invasione, sulle mosse della Nato, su ciò che poteva essere e non è stato, sulla presidenza Zelensky, ma è un fatto che, dopo il 24 febbraio 2022, le responsabilità del conflitto ricadono sulle scelte di Vladimir Putin. È lui che ha scatenato la guerra, è lui il primo ostacolo alla risoluzione del conflitto. Se i paesi occidentali non fossero intervenuti – come sperava Putin – ora l’Ucraina non esisterebbe o, almeno, non esisterebbe l’Ucraina come la conosciamo ora. Si sarebbe dovuto, sin dal giorno dopo l’invasione, “sostenere” l’Ucraina con una pressione internazionale e diplomatica anziché con l’invio di armi? Sì, certo. Ma la storia non si fa coi “se” e i “ma”, intanto i russi sparavano e, al di là di ogni nostro legittimo e ragionevole desiderio, è andata come sappiamo.
Due: che la guerra non sia la soluzione, dopo due anni di conflitto, è oggi ancora più chiaro. Ce lo confermano le notizie che arrivano dal fronte e la progressiva escalation con invio di armi (non più solo difensive) da parte dei paesi occidentali. È quel che dice papa Francesco, è quel che hanno scritto Cesana e Rosboch, è quel che pensiamo noi che vorremmo – come abbiamo sempre sostenuto – che, più che le armi per difendere l’Ucraina, si usassero le “armi” della diplomazia per trovare una soluzione. Soluzione che è facile a dirsi, ma non a farsi per tutta una serie di ragioni che qui, per brevità, non dettagliamo (la rimando agli articoli che quasi quotidianamente scriviamo su Tempi).
Dunque, secondo noi, pur tra tanti errori – anche noi vorremmo sapere quali armi l’Italia sta mandando in Ucraina -, la posizione del governo italiano è, nelle condizioni date, la più ragionevole tra quelle dei partner occidentali (basta confrontare quel che dice Macron con quel che dicono Crosetto e Tajani: la differenza è abissale). L’Italia cerca un imperfetto equilibrio tra la necessità di sostenere l’Ucraina e il pericolo di un conflitto su larga scala. È un equilibrio traballante e un po’ ipocrita? Sicuramente, ma le alternative sarebbero entrambe disastrose. È un imperfetto equilibrio che rischia miseramente di crollare? Sì, e per questo ritorniamo alla necessità di imporre al più presto una soluzione negoziale.
Tra il pacifismo strambo di chi pensa che nel mondo basti cantare Imagine perché tutti diventino buoni e chi vorrebbe arrivare a Mosca per dare una lezione a Putin, esistono posizioni più meditate e ragionevoli. Che possono essere anche molto critiche verso la strategia americana, ma non possono cambiare i dati di realtà e non possono essere così ingenue dal non sapere che se il nostro paese è stato liberato, è libero e continuerà ad essere libero è perché è sotto l’ombrello della Nato.
(PS. Mi raccomando la prossima volta di firmare con nome e cognome. Questa volta ho fatto un’eccezione nel pubblicare la lettera).
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