Il perdono non è un’equazione matematica, ma una dirompente forza d’amore capace di trasformare la rabbia e il rancore in speranza. Ne sono sicuri quelli dell’Associazione papa Giovanni XXIII di Rimini che sperimentano da tempo questo percorso con alcuni carcerati in cerca di riscatto.
«Perdonare conviene», diceva il vescovo Francesco Lambiasi. Ma è difficile anche solo da pronunciare, quella parola. Figurarsi per chi ha subìto un torto, magari una violenza. Certo, è un concetto cristiano che viene insegnato nella Bibbia sin dall’inizio, nella drammatica vicenda di Caino e Abele. Ma l’Associazione, dati alla mano, dimostra che è anche conveniente. Economicamente si intende. Don Oreste Benzi aveva ragione quando diceva che chi ha sbagliato deve maturare la consapevolezza dell’errore ma deve essere posto anche in condizione di riscattarsi attraverso le opere.
L’Associazione Giovanni XXIII, a sostegno di questa tesi, fornisce alcuni dati sul vantaggio economico delle misure alternative al carcere: «Per ogni detenuto lo Stato spende 200 euro al giorno. Circa l’80 per cento di chi esce di prigione torna a delinquere. Quando invece si applicano misure alternative, la recidiva si abbassa al 20 per cento. Nelle strutture dove si applica la “strategia del perdono” si arriva addirittura al 10 per cento». È il caso dell’esperienza riminese: il progetto “Comunità educate con i carcerati” accoglie 20 persone, facendo risparmiare ai contribuenti 4.000 euro al giorno, quasi un milione e mezzo di euro all’anno. Il responsabile della Casa madre del Perdono fa sapere che «i nostri ospiti quando prendono coscienza del male che hanno fatto, cambiano; la loro vita cambia. La condivisione con i carcerati e con le vittime di violenza, suggerisce di continuare questa tematica nella speranza che la proposta del perdono acquisti una dimensione sociale».