Date ai paesi poveri da mangiare, non assurde politiche climatiche
Natale è un periodo in cui molte persone si dedicano non solo a celebrare le feste con i propri cari, ma anche a restituire qualcosa alle nostre comunità e società. Nello spirito del Natale è insita l’idea del dono. Le organizzazioni benefiche mirano ad approfittare di queste buone intenzioni festive mettendo in luce i modi in cui possiamo aiutare i bisognosi. È un periodo eccezionale per impegnarsi a fare del bene nel mondo. È un periodo eccezionale anche per riflettere di più su come farlo al meglio, non solo a livello locale, ma su scala globale.
Si tratta di una sfida particolarmente urgente proprio adesso, dal momento che il Covid-19 e le contromisure alla pandemia hanno reso le cose perfino più difficili per alcuni tra i paesi più poveri. Le economie sono state danneggiate e la miseria sta aumentando dopo decenni in cui è andata diminuendo; le risorse sanitarie e gli aiuti internazionali sono stati ridestinati alla pandemia; la fame è in crescita; le scuole hanno chiuso lasciando i bambini a fare lezione da casa o a non farla affatto.
Gli Obiettivi di sviluppo sostenibile tentano di offrire un piano per contribuire a venire a capo di tali sfide. Sono stati fissati dalle Nazioni Unite nel 2015 e compongono una lista di 169 obiettivi di sviluppo che devono essere raggiunti per trasformare il pianeta, e che coprono qualunque aspetto da ridurre la povertà e aumentare la ricchezza a proteggere il pianeta, promuovere la pace e migliorare sanità ed educazione.
Ma avere una lista di 169 priorità significa sostanzialmente non averne nessuna. L’agenda Onu dello sviluppo punta a essere tutto per tutti, ma in questo modo non riesce a concentrare l’attenzione sugli ambiti in cui i donatori, i filantropi o tu e io potremmo realizzare il bene maggiore.
Obiettivi chiave come l’eradicazione della mortalità infantile, garantire un’istruzione di base o riuscire a creare opportunità per uscire dalla povertà sono messi sullo stesso piano di obiettivi secondari come la promozione di un «turismo sostenibile» e l’educazione ad adottare «stili di vita in armonia con la natura».
Ovvio, la nostra naturale inclinazione ci spinge a combattere tutto ciò che non va. Ma se vogliamo essere seri riguardo al fare del bene nel mondo, dobbiamo concentrarci sugli ambiti in cui abbiamo investimenti solidi che cambiano le vite.
Questo significa fare scelte difficili. Durante il Covid-19 i paesi ricchi hanno speso somme esorbitanti, e l’efficacia di gran parte di questo esborso è come minimo dubbia. La conferenza Cop26 ha attirato la nostra attenzione sul tema del cambiamento climatico, ma ha anche mostrato – specialmente per i più poveri del mondo che ancora sperimentano la scarsità energetica – come molte misure disponibili siano ancora troppo costose e inefficienti.
Per fortuna esiste un modo più intelligente di fare del bene. Il mio think tank, il Copenhagen Consensus, collabora con economisti tra i più importanti al mondo e utilizza sofisticati algoritmi e i migliori dati disponibili per confrontare strategie alternative, a livello globale e nei diversi paesi. Questo fa sì che siamo in grado di identificare quanto può essere realizzato, in termini di beneficio per la società, da ogni singolo dollaro speso, e anche indicare approcci efficaci che meritano maggiore attenzione.
Pensate alla tubercolosi, che uccide più persone dell’Hiv e della malaria messe insieme. Già prima della pandemia, la lotta a questa malattia riceveva appena il 5 per cento della spesa per lo sviluppo sanitario dei più poveri del pianeta. (Possiamo immaginare che tale cifra sia addirittura diminuita con la pandemia). Eppure, un decennio di ricerche portate avanti dai più importanti esperti del Copenhagen Consensus ha dimostrato che ogni dollaro speso per test e cure della tubercolosi produce ritorni tra i più fenomenali in tutte le aree del mondo.
La tubercolosi è particolarmente insidiosa perché colpisce principalmente giovani adulti nel fiore dell’esistenza, proprio quando mettono su famiglia e si uniscono alla forza lavoro. L’India ha la maggior parte dei casi di tubercolosi del mondo e le nostre ricerche per diversi stati indiani dimostrano che migliorare il rilevamento e la terapia può generare enormi benefici per la società. Messa in termini monetari, ogni dollaro speso ne produce più di 100 in termini di ritorni sociali.
Oppure prendete l’esempio della lotta alla malnutrizione e alla fame. La malnutrizione di un bambino inciderà pervasivamente sulle sue prospettive di vita, e così investimenti anche incredibilmente economici fatti oggi in una migliore alimentazione possono portare domani a un’educazione migliore e a vite adulte maggiormente produttive. In Ghana e Malawi, per esempio, le nostre ricerche mostrano che questo approccio può arrivare a costare appena 5 dollari per ogni madre, eppure salvare vite e cambiare prospettive nel lungo periodo, tanto che ogni dollaro speso ne produce 36 in beneficio sociale.
In questo periodo dell’anno, molti di noi riflettono sulle proprie buone intenzioni e fortune rivolgendo il pensiero ai meno fortunati. Nei dodici mesi che abbiamo davanti, la nostra decisione dovrebbe essere quella di impegnarci non soltanto ad aiutare di più, ma prima di tutto ad aiutare nel modo più efficace possibile.
* * *
Bjørn Lomborg, autore di questo articolo, è presidente del Copenhagen Consensus e visiting fellow alla Hoover Institution della Stanford University.
Foto Ansa
0 commenti
Non ci sono ancora commenti.
I commenti sono aperti solo per gli utenti registrati. Abbonati subito per commentare!