Il Deserto dei Tartari
Quel medievale di Dante Alighieri
Prima di commentare le reazioni all’uscita del ministro della Cultura Gennaro Sangiuliano su Dante “fondatore del pensiero di destra”, è indispensabile fare due premesse. Anzitutto facciamola finita con questa storia della destra e della sinistra: come categorie politiche dotate di senso e di specificità non esistono più da quando le monarchie assolute si sono trasformate in monarchie costituzionali parlamentari, nelle quali il re (la regina) regna ma non governa, o sono state sostituite dalle repubbliche.
Quando nasce la divisione destra-sinistra
La divisione destra-sinistra è apparsa al tempo della Rivoluzione francese, quando nell’agosto del 1789 l’Assemblea costituente fu chiamata a dibattere la questione se il re dovesse avere diritto di veto sulle deliberazioni del consesso: chi era favorevole alla superiorità del re sull’assemblea Costituente doveva sedersi alla destra del presidente della sessione, chi era contrario doveva collocarsi a sinistra.
Risolta la questione a favore dei rappresentanti del popolo col riconoscimento della loro supremazia sui monarchi, o con l’instaurazione di repubbliche, perché la divisione destra-sinistra è diventata una categoria permanente del dibattito politico? Un intellettuale marxista vi risponderebbe che si è trattato di un espediente dell’ideologia borghese per dare l’impressione che davvero fosse arrivato il tempo della libertà politica, del libero confronto fra posizioni distinte, della possibile alternanza al governo fra visioni diverse della società e dei valori politici, mentre nella realtà le nuove istituzioni servivano a difendere gli interessi delle classi borghesi emergenti contro quelli dei ceti popolari (oltre che della morente aristocrazia e della gerarchia ecclesiastica). E non sbaglierebbe di molto.
Discutere di destra e sinistra oggi è un favore al potere
Diciamo anzi che più il tempo passa, più la polemica marxista contro la “democrazia formale” dei sistemi liberal-democratici si dimostra giustificata, e non è più formulata soltanto da esponenti di quell’area politico-filosofica: basti pensare alla denuncia del “pensiero unico” che oggi accomuna pensatori cosiddetti di “destra” e di “sinistra”, quello che Marcello Veneziani preferisce chiamare “il Potere che uniforma”.
Gli elementi essenziali di questo potere, che si infiltra nella cultura di tutti i partiti e che condiziona in misura decisiva esecutivi di ogni colore in tutto l’Occidente, sono stati riassunti da Veneziani nei seguenti termini: «Il primo elemento è economico-finanziario ed è il liberismo dogmatico, il dominio indiscusso del capitalismo finanziario internazionale e dei suoi agenti, il primato del profitto e il mercatismo come orizzonte globale. Il secondo elemento è il dominio planetario della tecnica, l’avvento della tecnocrazia e dello scientismo, la tecnodipendenza dei soggetti (…). Il terzo elemento è (…) la riduzione della natura, della cultura e del costume al primato assoluto della soggettività, dei suoi diritti e delle sue mutazioni. Il quarto e ultimo elemento è invece l’apertura incondizionata ai migranti, l’accoglienza e la cancellazione di ogni confine (…)».
Continuare a parlare, in politica, di destra e di sinistra davanti alle mutazioni antropologiche, all’egemonia culturale, alla dominazione economica che sono i tratti caratteristici del Potere omologante, globalista e transnazionale, significa animare un teatrino che va soltanto a vantaggio di tale potere. La gente per bene DEVE essere di destra e di sinistra contemporaneamente, sarebbe da imbecilli rinunciare a una metà di sé, come scriveva già novant’anni fa Ortega y Gasset. Che senso avrebbe usare solo il braccio destro o solo il braccio sinistro, solo l’occhio destro o solo l’occhio sinistro? Perché dovremmo contrapporre libertà e ordine, patria e cooperazione internazionale, giustizia e clemenza, iniziativa economica e intervento pubblico, merito e solidarietà, ecc? Chi sta ancora a questo gioco, o ci è o ci fa. In ogni caso è organico agli interessi del Potere che uniforma.
Dante e il pensiero conservatore
La seconda premessa prende spunto da una precisazione di Sangiuliano, che si è corretto così: è vero, destra e sinistra non sono categorie applicabili a Dante e al suo tempo, ma possiamo dire che il vate è il fondatore del pensiero conservatore. La dicotomia conservatori/progressisti ha senz’altro più senso, oggi, di quella destra/sinistra. Ma in termini paradossali, dove il paradosso ha radici nell’evoluzione della nostra vicenda storica. In un mondo normale, sarebbe più giusto essere progressisti piuttosto che conservatori. Sempre, nell’esistenza personale come nella storia collettiva, si può e si deve migliorare: scienza, virtù, giustizia sono ambiti dove sempre si dovrà cercare di progredire, perché la condizione umana è caratterizzata dall’impossibilità intrinseca di attingere la piena giustizia, la totale conoscenza, la perfetta virtù.
A livello politico, il conservatore fa la figura di colui che intralcia il cammino della giustizia sociale perché sta difendendo dei privilegi. Ma il mondo in cui viviamo oggi non è un mondo normale: è il mondo delle armi di distruzione di massa che minacciano l’apocalisse atomica, della tecnocrazia e della logica del profitto che disintegrano il creato (basti pensare all’estinzione delle specie animali e vegetali, 100 volte più rapida oggi che in epoca pre-industriale), della progressiva trasformazione dell’uomo in macchina destinata all’obsolescenza e quindi alla sostituzione con modelli più performanti (transumanesimo, cyborg, ingegneria genetica applicata alla procreazione), dell’eversione della natura umana sessuata (genderismo), della proclamazione del male come bene (la trasformazione dell’aborto in “diritto costituzionale” in Francia), ecc.
In un mondo come questo non è più possibile essere progressisti, perché la direzione imboccata è sbagliata: avanzare sulla strada sbagliata non è progresso, è un allontanarsi dalla strada giusta. In un mondo come questo è necessario essere conservatori per la ragione addotta dal comunista pentito e uomo di sinistra Albert Camus nel discorso di accettazione del premio Nobel per la letteratura assegnatogli nel 1957: «Ogni generazione si crede votata a rifare il mondo. Ma la mia generazione sa che non lo rifarà. Il compito è troppo gravoso. La mia generazione si impegna solo a impedire che il mondo si disfi, si distrugga».
Quel medievale di Dante
Poste queste due doverose premesse, il commento ai commenti negativi, irridenti o sarcastici alle parole del ministro Sangiuliano su Dante non può che essere: «avete proprio la faccia come il c…!». Ma come, sono tre secoli che avete trasformato l’aggettivo “medievale” in epiteto insultante, lo avete fatto diventare sinonimo di bigotto, reazionario, retrogrado, superstizioso, crudele, fanatico, ecc, lo agitate come una clava sulla testa degli avversari politici ogni qual volta qualcuno di loro eccepisce alle richieste (meglio: ai diktat) politiche progressiste, e adesso improvvisamente prendete le difese di Dante? Che cosa c’è di più perfettamente, compiutamente medievale di Dante? Solo adesso vale il criterio della storicità? Solo adesso si può citare Romano Guardini senza essere sommersi dagli ululati o essere ignorati con disprezzo?
Scriveva l’intellettuale cattolico italo-tedesco ne La fine dell’epoca moderna: «Giudicato con il moderno sentimento del mondo, il Medio Evo appare facilmente come una mescolanza di primitivo e di fantastico, di costrizione e di dipendenza. Ma questa immagine non ha nulla a che vedere con la conoscenza storica. La sola misura con cui si possa validamente giudicare un’epoca è il sapere fino a che punto l’esistenza umana vi si è sviluppata nella sua pienezza, giungendo, secondo proprie particolarità e possibilità, al suo vero significato. E ciò è avvenuto nel Medio Evo in misura tale da porlo fra le epoche più alte della storia» (edizione Morcelliana 1973, p. 28).
La pienezza dell’uomo medievale
In cosa consiste la “pienezza dell’esistenza” di cui parla Guardini? Significa la consapevolezza e la traduzione in atti storici della coscienza che l’uomo non è un assoluto, che la sua esistenza rimanda ad Altro, ed è il rapporto con questa alterità che permette di stabilire la pienezza o il vuoto della vita (NON il potere che il soggetto è in grado di accumulare). «L’uomo medievale vede simboli in ogni dove. Per lui l’esistenza non è fatta di elementi, di energie e di leggi, ma di forme. Le forme significano se stesse, ma al di sopra di sé indicano qualcosa di diverso, di più alto, ed infine l’altezza in se stessa, Dio e le cose eterne. Perciò ogni forma diviene simbolo e dirige gli sguardi verso ciò che la supera». (Cit., p. 30).
Per i medievali non è possibile dire che cosa una cosa è, se insieme non si dice anche che cosa essa significa. Il Potere che uniforma censura la ricerca e l’affermazione del significato, perché metterebbe in discussione la volontà di potenza come unico criterio della vita (individuale e sociale) e della storia. La conseguenza della censura è che insieme al significato compromette anche l’essere. Dante, spiegaglielo tu, adesso che ti stanno ad ascoltare.
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