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Da Haiti a Odessa, storia di un’invincibile amicizia nella terra del dolore

Port-au-Prince è straziata dalle bande armate, la miseria affama e trasforma le persone in bestie assassine. Ma la missione di suor Marcella Catozza vive. E a Casa Lelia, che ha rimesso in moto l'io dei suoi orfani, sono rinati donne e bambini ucraini

Caterina Giojelli
07/08/2022 - 6:30
Società
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I bambini della Kay Pe’ Giuss ad Haiti

Anastasia ora volteggia con i piatti nei saloni spalancati su Santa Maria degli Angeli, Schneider imbraccia i libri alla Kay Pe’ Giuss. Anastasia ha preso la sua laurea in farmacia a giugno e ora lavora in un grande hotel di Assisi, Schneider ha preso gli esami a settembre e ha studiato come un matto per non perdere l’anno in quell’angolo di paradiso nell’infernale baraccopoli di Waf Jeremie.

Anastasia ha lasciato a Odessa mamma, papà e una sorellina di cui non sa più nulla una mattina di marzo, fuggendo da una pioggia di bombe, Schneider, figlio di una donna violentata in psichiatria, sente gli spari che crivellano Port-au-Prince tutto il giorno. Lei dell’Ucraina e lui di Haiti, i due ragazzi popolano le terre del dolore: li divide un abisso, ma li unisce una formidabile certezza.

«Gli ucraini? Li prendiamo con noi». Come il piccolo Ramel

«Io credo nella fede del popolo cristiano, e fede significa amicizia e significa carità. Così, quando mi hanno chiamato da Perugia – “Suor Marcella, sono venti, appena scesi da un pullman e non sanno dove dormire” – non mi sono fatta domande: “Li prendiamo con noi”. Casa Lelia era vuota, i bambini accolti nel 2019 erano rientrati ad Haiti. Che dovevamo fare, i calcoli? Sono 40 anni che non faccio calcoli e la Provvidenza ci porta tutto quello di cui abbiamo bisogno. E così abbiamo aperto le porte agli ucraini».

Quando scoppia la guerra suor Marcella Catozza pensa a due cose: la prima è a un bimbo alto un soldo di cacio incontrato a Babicë e Madhe, sud dell’Albania. È il 1998, lei è una giovane missionaria che assiste i profughi, lui un bambino con un cappottino sudicio che tira fuori dalla tasca un biglietto: «Mi chiamo Ramel, sono di Mitrovica. La mia mamma ed il mio papà sono restati a combattere per la libertà». La Provvidenza allora si fa avanti sulle gambe di un anziano kossovaro, «siamo il clan di Mitrovica, lo prendiamo con noi».

Casa Lelia, che fu casa per i bimbi di Haiti

La seconda cosa che pensa è ai 23 bambini haitiani della sua formidabile missione, 23 bambini cresciuti tra copertoni in fiamme, tifoni che inghiottono esseri umani, sparatorie e tanta fame da ridurli mucchietti d’ossa, e rinati in Umbria, a Casa Lelia, un casolare in pietra immerso nell’abbacinante bellezza di una collina che guarda Assisi.

La Provvidenza aveva avuto allora il volto dell’amico che le aveva donato i soldi del casolare, di quello che aveva raccolto i soldi del volo, quello degli abitanti di Cannara che per tutto il lockdown continuarono a scaricare casse di viveri e vestiti nel prato davanti alla Casa. Perfino quello di un amico architetto toscano venuto a trovarla, «Marcella, vi manca la piscina», «ci mancano i soldi», e un anno dopo la piscina di sedici metri per i bambini era lì.

I bambini di Haiti quando vivevano a Casa Lelia, vicino ad Assisi

«Qui si fa la Chiesa, mica chiacchiere»

Insomma suor Marcella a fine marzo è ad Haiti, ma attraverso la Fondazione Via Lattea (la stessa che tiene in piedi la missione di Vilaj Italien, dove suor Marcella si prende cura di 150 piccoli orfani alla Kay Pe’ Giuss tra cui 42 disabili gravi, e fa scuola a centinaia di bambini) questi ucraini li prende tutti subito, «non mi si dica che mi muovo per soldi, mai aspettato quelli di Stato o governo. Qui si crede nella decima, nelle offerte per i poveri della comunità, insomma nella carità che è una cosa seria, mica è buon cuore sentimentale. Qui si è fatta Chiesa, mica chiacchiere. Infatti, dopo soli sei mesi, l’accoglienza sta già in piedi da sola».

A Casa Lelia arrivano tre famiglie, due mamme con i loro bambini (cinque piccoli in tutto), Sasha con la moglie e tre figli, di cui uno di 4 anni autistico (è stata la condizione del piccolo a dispensare l’uomo dalla chiamata alle armi), due donne sole, arriva Anastasia. E al gruppo si unirà anche Amin, giunto in Italia con mezzi di fortuna per studiare a Perugia.

Suore, evangelici, buddisti e macellai

«All’inizio era tutto un via vai di suore e volontari di ogni congregazione e angolo della zona per portare i bambini all’asilo, alle elementari e alle medie di Cannara, i tre ragazzi più grandi al corso di formazione per odontotecnico a Foligno, papà Sasha che guidava un pullmino avuto in comodato gratuito dalla Fondazione per recuperarli tutti».

Poi il comune di Cannara «ha messo a disposizione lo scuolabus, la scuola di Foligno ci ha regalato gli abbonamenti per i mezzi, gli amici legati alla nostra storia di Haiti e a cui abbiamo chiesto di vivere con noi la carità, ci hanno portato tutti gli aiuti di cui avevamo bisogno, dai viveri agli indumenti, il macellaio ha iniziato a farci pagare come tagli di seconda scelta dei filetti da paura. L’unione buddisti ci ha donato 25mila euro, si sono presentati dei volontari evangelici, l’arcivescovo di Canterbury è venuto fin qui col vescovo di Assisi e Foligno a piantare un ulivo della pace in giardino».

Anastasia, Sasha e i bimbi resteranno in Italia

Una ditta di asfalti offre subito un lavoro a Sasha, Anastasia segue online le lezioni della sua università, si laurea e viene assunta in un grande albergo di Assisi, le mamme ricevono un contratto di un anno per fare la raccolta della cipolla e impacchettarla sui colli, i grandi continuano il corso intensivo di italiano, tre volte alla settimana, e lo continueranno per tutta l’estate, uno di loro fa già il cameriere in un hotel.

«Sì perché hanno deciso di restare. Il sindaco del loro paese, vicino a Odessa, ha detto a donne e bambini di scordarsi di rientrare: è tutto distrutto, minato, non c’è una casa in piedi. Si parla di vent’anni per la ricostruzione». Va da sé che Casa Lelia non potesse più rappresentare una soluzione abitativa. «Con la Fondazione abbiamo trovato degli appartamenti e abbiamo deciso di garantire la copertura di un anno di costo dell’affitto e utenze. Quanto ai soldi del budget stabilito per l’assistenza agli ucraini, viene impegnato tutto per le loro esigenze: una mamma ha chiesto di poter prendere la patente, il bimbo autistico ha bisogno di medicinali molto costosi».

Anastasia, il giorno della sua laurea

Ricominciare dopo ogni sisma, dopo ogni guerra

Funziona così dai tempi di Ramel, non si aspetta che piovano fondi o certezze, ci si muove al contrario, «li prendiamo con noi». Per fare cosa? Non per fare, ma per essere presenza, proprio come ad Haiti, tra gente che al pari degli ucraini era stata privata di una vita futura immaginabile tra catastrofi e sciagure continue. La presenza generò in fretta operosità, i bimbi impararono a rimettere in moto l’io (qui Tempi vi aveva raccontato la loro storia): altro che passivi destinatari di aiuti umanitari.

E impararono a ricominciare dopo ogni sisma, uragano, malattia, morte, omicidio. Proprio come gli ucraini oggi. Infatti a differenza di tanti progetti iniziati da slancio volontaristico e dall’ansia di “fare”, questo cammina da solo, Anastasia resterà in Italia e le famiglie hanno già ricominciato a vivere. E Schneider?

Haiti dopo l’omicidio di suor Luisa, «Chi sarà il prossimo?»

Sono passati poco più di due mesi dall‘assassinio di suor Luisa Dell’Orto, amica e “chiesa” per suor Marcella, non una tentata rapina finita male, ma un omicidio premeditato ed eseguito a sangue freddo. È questa la pista su cui si stanno concentrando le indagini: la vettura su cui viaggiava la piccola sorella del Vangelo di Charles de Foucauld, colonna portante di Kay Chal, in un sobborgo poverissimo di Port-au-Prince, sarebbe stata appositamente tamponata da un Suv all’interno del quartiere di Delmas, dal quale sarebbero scese persone a volto coperto per spararle e poi fuggire senza prendere nulla.

«Ci salutiamo suor Marcella, domandandoci chi sarà il prossimo», le avrebbe detto pochi giorni dopo un missionario francese ai funerali dell’amica. Suor Marcella le era stata accanto anche all’obitorio, non aveva lasciato il suo corpo fino a quando l’avevano rimpatriato.

«I ragazzini ammazzano per divertimento»

«Sono rientrata anche io in Italia, una settimana fa, per le strade si sparava all’impazzata, non credevo di arrivare all’aeroporto. Quando una macchina dai vetri scuri ci ha tagliato la strada bloccandoci tra altre auto e moto ho pensato che fosse finita». Quel giorno ai banditi premeva solo bloccare il traffico per portare uno di loro che stava morendo dissanguato all’ospedale, «ma per la prima volta in vent’anni so che non siamo più al sicuro. Con l’omicidio di suor Luisa è stato varcato un limite».

La cattedrale di Port-au-Prince è stata data alle fiamme, i religiosi rapiti non si contano. Le bande armate si spartiscono le zone della città sparando a chiunque, «abbiamo paura di uscire, corriamo al portone di notte in continuazione per paura che, come già avvenuto in passato, i banditi assaltino la scuola e la missione. Le strade brulicano di ragazzini di 14, 15 anni strappati alle famiglie e trasformati in piccoli soldati: sparano per divertimento, per il gusto di ammazzare un bianco o anche solo per procurarsi un altro telefonino».

La gratuità tra bestie senza scrupoli

La miseria ad Haiti, dove manca tutto, cibo, medicine, carburante, affama e trasforma gli uomini in bestie senza scrupoli, il paese è in balia di un caos che lascia a terra decine di corpi carbonizzati o crivellati di proiettili ogni giorno. Pane e acqua sono diventati beni di lusso, «i loro prezzi sono quadruplicati. Abbiamo vissuto periodi senza vedere una sola goccia d’acqua per quattro giorni. La situazione era così pericolosa che ci siamo tenuti la fossa biologica piena e straripante per due settimane perché il camion non riusciva a raggiungerci».

La missione di suor Marcella, più volte minacciata dai capibanda, sembra al momento preservata dalle razzie e incursioni quotidiane dei criminali, «sono la prima ad essere arrivata in quest’angolo di Waf Jeremie quando ancora era chiuso ai bianchi e questi criminali sanno che il quartiere è cambiato grazie alle nostre opere del tutto gratuite. La nostra scuola è gratuita, pasti, indumenti, scarpe, libri sono gratuiti. Anche l’ambulatorio pediatrico che avevamo nella missione e dove abbiamo suturato tante teste aperte dai machete negli scontri armati era gratuito». E la gratuità, nell’inferno di chi non ha nulla, paga.

Il compito della vita alla Kay Pe’ Giuss

Da un anno suor Marcella ha vietato ai volontari di raggiungerla, «troppo pericoloso. I nostri educatori arrivano strisciando lungo i muri, nascondendosi sotto le auto, schivando proiettili. Ma non li ho mai visti entrare senza il sorriso». Appena superato il portone infatti spari, sangue, lamiere e latrine rovesciate scompaiono per lasciare il posto a quello splendore che è la missione di suor Marcella, dove la grazia ha il volto di ex bambini dispersi durante un tifone, salvati dalle piaghe e dalle formiche, neonati avvinghiati ai cadaveri di genitori o abbandonati nelle tendopoli dei terremotati, ma ora raggiante di incontenibile allegria.

Bambini amati e rifioriti come i fiori che costellano viuzze e strade colorate della missione, alle prese con il campo estivo giocato sul loro film amatissimo “il Re Leone, il compito della vita”. Fuori si spara, alla Kay Pe’ Giuss si canta più forte degli spari. Schneider è stato bocciato senza nemmeno arrivare a settembre: un giorno è andato alla scuola del quartiere e invece di fare ripetizioni (già pagate anticipatamente) si è trovato a sostenere l’esame a sorpresa. Sembrerebbe poca cosa a chiunque, decine di bande armate stanno dilaniando la sua terra, il suo presente, i suoi coetanei uccidono invece di studiare. Poca cosa ma non per lui, che come Anastasia ha scoperto, abbracciato da bellezza e santità a Cannara, ma soprattutto dalla compagnia dei tanti amici in cammino con suor Marcella nella terra del dolore, che «io sono fatto per questo. Io non sono fatto per la discarica», «io non sono fatta per la guerra».

Prima di un’esibizione al campo estivo di Haiti. A destra, Schneider
Tags: guerra ucrainahaitiMarcella Catozza
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