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Custodia cautelare, «l’opinione pubblica chiede un’espiazione anticipata»

In Italia si ricorre alla carcerazione preventiva più che nel resto d'Europa. Per Giovanna Di Rosa (Csm) questo accade «perché ci sono molti stranieri senza dimora fissa, per la lunghezza dei processi e perché l'opinione pubblica spinge per un'immediata espiazione».

Chiara Rizzo
21/04/2012 - 6:56
Interni
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In Italia il 43,8 per cento delle persone detenute è ancora in attesa di giudizio: si tratta di 27 mila persone che aspettano una condanna definitiva e di queste, la metà, 13.493, sono in attesa del giudizio di primo grado. Secondo le Statistiche penali annuali del Consiglio d’Europa, nel 2009 le persone in custodia cautelare in carcere in Germania e Regno Unito sono state il 16 per cento, il 20 per cento in Spagna, il 23 per cento in Francia. In Italia il 50,7 per cento. Perché? Tempi.it ha cercato di capirlo con Giovanna Di Rosa, membro del Consiglio superiore della magistratura, e prima magistrato di sorveglianza a Milano.

Perché c’è disparità tra quello che avviene nel nostro paese e il resto d’Europa?
Il ricorso alla custodia cautelare si può giustificare verificando la qualità della popolazione detentiva, che in Italia è soprattutto straniera. Ciò significa che per il giudice spesso si pone il problema di concedere gli arresti domiciliari avendo davanti uno straniero che non ha un domicilio, motivo per cui anche reati di piccola entità vengono espiati in carcere. C’è poi anche un grandissimo problema da considerare per l’Italia ed è quello delle “porte girevoli”, cioè di tutti quei detenuti in attesa di primo giudizio, che entrano in carcere spesso per pochissimo tempo, appena tre giorni. Sono tutte situazioni specifiche del nostro sistema.

Come si spiega che circa la metà della popolazione carceraria sia composta da persone in custodia cautelare, mentre leggi e giurisprudenza prevedono ferrei paletti per il ricorso a tale misura? In Italia c’è un abuso della custodia cautelare?
Le norme sono elastiche e lo è anche l’interpretazione del giudice, che fa una valutazione di insieme sulla possibilità di inquinamento delle prove e di reiterazione del reato. Ma c’è anche una forte e diffusa comunicazione mediatica sulla sicurezza, che chiede una pena immediata. Questo non posso dire che influenzi il giudice, però qualche domanda me la fa porre. Pensiamo al clamore mediatico eccessivo sul pranzo di Pasqua del comandante della Concordia: è come se in generale ci si aspettasse un’espiazione immediata. Detto questo, non posso dire però nemmeno che c’è un uso indiscriminato della custodia cautelare. Il problema che un giudice si trova davanti in questi casi, spesso, è la possibilità di reiterazione del reato e in carcere c’è anche una buona parte della popolazione nomade, che di per sé ha forte esperienza di reiterazione dei crimini.

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Ci sono 13 mila presunti innocenti in carcere, sono tantissimi. E di questi solo 5 mila sono stranieri. Per tutti gli altri qual è la giustificazione?
Sono tantissime persone è vero. Ma il problema è anche l’eccessiva lunghezza dei processi, nel nostro paese il sistema processuale è ingolfato. Per questo la Corte europea dei diritti dell’uomo ha applicato nei confronti del nostro paese delle sanzioni.

Esistono dati sulla percentuale di accoglimento delle richieste di custodia cautelare dei pm in Italia? Non c’è anche un problema di “appiattimento” dei gip che devono accogliere o rigettare le richieste, sulle posizioni dei pm? L’esperienza dimostra che, nella maggior parte dei casi, queste richieste hanno un parere positivo.
Non esiste una percentuale sulle richieste di accoglimento, ma posso assicurare che non c’è appiattimento. E dove fosse rilevato, da componente del Csm, assicuro che sarebbe un dato rilevante per la valutazione ai fini della professionalità. Noi non abbiamo statistiche su questo, ma tutte le anomalie del sistema giudiziario, come potrebbe essere questa, vengono rilevate attraverso il parere dei capi ufficio giudiziari o dei consigli giudiziari. Non ci sono state note che abbiano rilevato questo problema, per cui non mi sento di dire che sia questa la causa di questi numeri enormi.

Ma i consigli giudiziari, o i capi ufficio giudiziari, non sono certo noti, anche nell’ambiente della magistratura, per la severità di giudizio o critica verso i colleghi.
Guai a pensare al sistema come se fosse fondato e formato sui rapporti personali: il sistema del governo autonomo della magistratura conosce diversi filtri. Prima di tutto permette a tutti di partecipare, oltre all’onere di segnalazione del capo dell’ufficio giudiziario, poi c’è il parere del consiglio giudiziario e poi del Csm, pensare che si sia tutti d’accordo significa solo riportare notizie per sentito dire. Assicuro che se ci fosse un appiattimento, verrebbe denunciato.

Tra le misure cautelari, non è prevista solo la custodia in carcere. Anche per il caso di tossicodipendenti, ad esempio, non sarebbe migliore il ricorso ad alternative al carcere?
A Milano, dove ho lavorato e dove da tempo sono stati avviati profondi rapporti tra l’amministrazione penitenziaria e quella del territorio per favorire misure alternative, ci sono anche due esperienze in corso che riguardano le misure cautelari per i tossicodipendenti. C’è una postazione del Sert all’interno del Tribunale, e al momento di decidere sulla custodia, il Gip, o il giudice monocratico nelle direttissime, permette dei colloqui con gli operatori del Sert. Questo progetto è partito anche in altre città, si chiamava “Dap prima” ma poi si è arenato. Non so dire perché.

Tags: arresticarcereCsmcustodia cautelareGiovanna Di Rosamani pulitetangentopoli
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