Custodia cautelare. La tortura italiana che non ha pari in Europa

Di Chiara Rizzo
20 Aprile 2012
Ben 27 mila persone su 66 mila detenute nelle nostre carceri sono ancora in attesa di giudizio. Un'anomalia che rende unico il nostro paese in tutta Europa. Record negativo anche per le misure alternative alla detenzione. Ecco un po' di numeri e grafici per capire perché in Italia, soprattutto a partre da Tangentopoli, c'è un abuso della custodia cautelare.

Secondo i dati più recenti del ministero della Giustizia, alla fine di marzo le persone detenute nelle carceri italiane sono più di 66 mila. Di queste, 27 mila non hanno ancora ricevuto una condanna definitiva (43,8 per cento del totale) e ben 13.493 sono quelle in attesa del giudizio di primo grado. Dati impressionanti, che mettono in luce l’uso massiccio della custodia cautelare nel nostro sistema penale, come ha confermato anche l’VIII rapporto sulle carceri dell’Osservatorio Antigone, in un raffronto tra ciò che accade in Italia e il resto d’Europa (dati 2009 del progetto Space I, Statiques penales annuelles, creato dal Consiglio d’Europa).

Scopriamo così che nel 2009, mentre in Francia le persone detenute in attesa di giudizio sono state il 23,5 per cento del totale, in Germania il 16,2 per cento, in Spagna il 20,8 per cento, nel Regno Unito il 16,7 per cento, in Italia sono stati ben il 50,7 per cento. Sempre dai dati Space I apprendiamo che l’Italia presenta un tasso di sovraffollamento record assoluto in tutta Europa: 148 per cento da noi, secondi solo alla Serbia (157 per cento), mentre in Francia il tasso è stato del 123 per cento, in Spagna del 141 per cento, e nel Regno Unito del 98 per cento (la media europea è del 98 per cento). Eppure, l’Italia è anche uno dei paesi del Vecchio Continente che ha uno dei tassi di criminalità più bassi: 4.500 reati registrati ogni mille abitanti, mentre in Germania sono circa 8 mila, nel Regno Unito 7 mila, in Francia 5.559.

Dato significativo è quello sulle misure alternative, dove di nuovo l’Italia è il fanalino di coda per un record negativo. Mentre in Francia 123 mila persone scontavano pene diverse dal carcere, e nelle sole Inghilterra e Galles 197 mila, in Spagna 111 mila e in Francia 123 mila, in Italia erano appena 13.383.

L’uso massiccio della custodia cautelare, come si evince dai dati, vede sull’altro piatto della bilancia i numerosi paletti imposti dal codice di procedura penale, secondo cui «nessuno può essere sottoposto a misure cautelari se a suo carico non sussistono gravi indizi di colpevolezza» (articolo 273). La giurisprudenza e poi la legge sul giusto processo hanno fatto sì che nel codice fossero inoltre fissati ulteriori paletti per la valutazione, ad esempio che le accuse rese da un coimputato (o da qualcuno a sua volta imputato in un altro procedimento connesso) fossero valutate insieme ad altri riscontri più oggettivi. Per evitare il dilagare delle delazioni è inoltre previsto che non sia utilizzabile come accusa la testimonianza di chi si rifiuta di citare la fonte da cui ha appreso una certa notizia. Il codice di procedura prevede anche che le misure cautelari personali siano disposte quando «sussistono specifiche e inderogabili esigenze attinenti alle indagini» (cioè che ci sia il concreto pericolo di inquinamento delle prove, che però assolutamente «non possono essere individuate nel rifiuto della persona sottoposta a indagini o del’imputato di rendere dichiarazioni, né nella mancata ammissione degli addebiti»); quando ci sia il concreto pericolo di fuga; quando per la personalità dell’indagato, emersa da atti concreti o da precedenti penali, «sussiste il concreto pericolo che questi commetta gravi delitti» (un esempio classico può essere quello di membri della criminalità organizzata, o di assassini che volessero tentare di eliminare eventuali testimoni).

Anche la giurisprudenza ha tracciato il solco preciso entro cui il giudice si deve muovere nel confermare ordinanze di custodia cautelare. Tra le sentenze di legittimità più complete, quella emessa dalle Sezioni Unite di Cassazione nel novembre 2002: nella sentenza si ricorda che anche la Corte Costituzionale «ha ribadito con fermezza che le linee direttive della Costituzione in tema di favor libertatis (sempre a favore della libertà dell’imputato, ndr) pretendono che le decisioni dei giudici ai fini dell’adozione di una misura cautelare siano fondate con il massimo di prudenza su una ragionevole e consistente probabilità di colpevolezza e quindi di condanna dell’imputato».

Per le Sezioni unite di Cassazione i gravi indizi di colpevolezza vanno individuati «in quegli elementi a carico, i quali resistendo a interpretazioni alternative», anche se «non valgono di per sé a dimostrare oltre ogni dubbio l’attribuibilità del reato all’indagato con la certezza propria del giudizio» processuale, tuttavia «consentono di prevedere che attraverso l’acquisizione di ulteriori elementi» a dibattimento «saranno idonei a dimostrare la responsabilità». Le garanzie costituzionali della libertà personale impongono al giudice “un’esaustiva e logica motivazione”. Un’altra sentenza delle Sezioni Unite, del 2006, ricorda tra l’altro che tra queste motivazioni il giudice deve «esporre le ragioni per le quali ritiene non rilevanti i dati forniti dalla difesa e comunque a favore dell’accusato».

Storicamente è stato in particolare tra il ’92 e il ’93 che il ricorso alla misura della custodia cautelare è aumentato drammaticamente, durante la stagione di Tangentopoli. Solo nel primo anno (17 febbraio ’92-31 marzo ’93) vennero firmati 1.356 ordini di custodia cautelare, insieme a 1.119 avvisi di garanzia, così come è ricordato nel libro Eutanasia di un potere di Marco Damilano.

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