
Cuba, il regime comunista non cambia e ora taglia le gambe anche ai privati

La famiglia Castro ha apparentemente abbandonato la guida di Cuba (ma non quella del partito comunista), eppure per l’isola non è cambiato niente. Anzi, sotto la presidenza di Miguel Diaz-Canel il regime ha deciso di tagliare le gambe all’impresa privata con una nuova legge. La riforma entrata in vigore il 7 dicembre è stata lodata da molti giornali per avere liberalizzato l’utilizzo di internet e degli smartphone. I nuovi regolamenti, però, limitano fortemente la possibilità di fare impresa per i cubani, che sono stati incoraggiati ad aprire attività private otto anni fa.
A partire dal 2010, 600 mila cubani sono diventati “cuentapropistas”, lavoratori autonomi, aprendo ristoranti, negozietti, saloni di bellezza, panetterie e bar. Tanti hanno intrapreso l’attività di affitta-camere, altri hanno puntato tutto sulla propria automobile diventando tassisti. Così sono stati creati 400 mila posti di lavoro e oggi, a fronte di uno stipendio statale mensile di 848 pesos (33 dollari), un tassista può guadagnare senza troppi sforzi dieci volte tanto. Almeno era così fino al 7 dicembre.
RIFORMA «DEVASTANTE»
La nuova riforma, definita «devastante» dall’Economist, ha l’obiettivo di scoraggiare il mercato nero e l’evasione fiscale. Nonostante alcune misure controverse siano state immediatamente ritirate dal governo a seguito della protesta dei cubani, come quella che impediva ai ristoranti di avere più di 50 tavoli o quella che impediva alle librerie di svolgere il servizio di caffetteria, altre sono rimaste. I guidatori di taxi ad esempio potranno comprare benzina solo nei distributori ufficiali attraverso apposite tessere, mentre adesso la maggior parte dei tassisti la acquista al mercato nero, dove costa molto meno. Il governo ha anche richiesto che i proprietari delle classiche auto anni Cinquanta (Chevrolet, Plymouth, Ford) superino una revisione tecnica per poter proseguire la professione. La conseguenza immediata è stata il ritiro di 2.167 licenze su un totale di 6 mila in una settimana. Altrettante persone sono rimaste dunque senza lavoro.
La riforma obbliga anche i lavoratori autonomi a versare il 65 per cento dei propri guadagni in banca. Potranno ritirarli per spenderli nella propria attività attraverso apposite tessere che permettono acquisti solo in determinati negozi statali. I datori di lavoro che vogliano assumere più di 20 dipendenti, inoltre, dovranno pagare tasse molto onerose, così come coloro che aprono negozi nella capitale. La logica che sta dietro alla misura è: aprire un’impresa per sopravvivere va bene, farlo per arricchirsi “troppo” no.
«CHE COSA CI RIMANE?»
Un piccolo commerciante che ha aperto un negozio nel centro dell’Avana dovrà pagare a causa della riforma il triplo delle tasse rispetto a prima. «Essere un cuentapropista è l’unico modo per avere una vita migliore senza abbandonare il paese», dichiara all’Economist. «Se ci portano via anche questo, che cosa ci rimane?».
La legge appena approvata dimostra che Cuba non cambia. Non conta se la carica di presidente è ricoperta da un Castro o da un Diaz-Canel, il regime perde il pelo ma non il vizio. Al popolo è permesso sopravvivere, ma solo se la sua fonte di sostentamento viene dal partito comunista, che deve controllare tutto per evitare che una qualsiasi iniziativa umana sfugga al suo controllo.
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