
Cosa ci dicono i risultati a sorpresa delle elezioni in Romania e Polonia

Dei due sindaci uscenti di capitali dell’Europa dell’Est che si sono presentati alle elezioni presidenziali dei loro paesi, uno ce l’ha fatta, l’altro non è detto che ce la faccia. L’indipendente europeista Nicusor Dan, sindaco di Bucarest, ha vinto con ampio margine il secondo turno delle elezioni presidenziali rumene, seguite col fiato sospeso dalle principali capitali europee e soprattutto da Bruxelles perché in testa dopo il primo turno si trovava il candidato ultranazionalista George Simion.
Al secondo turno delle presidenziali polacche il prossimo 1° giugno si presenteranno, come previsto dai sondaggi, Rafał Trzaskowski, dal novembre 2018 sindaco di Varsavia e uomo di fiducia di Donald Tusk, l’attuale premier del governo di centrosinistra salito al potere nel dicembre 2023, e Karol Nawrocki, presidente dell’Istituto nazionale per la memoria sostenuto dai conservatori del PiS, il partito guidato da Lech Kaczynski che ha governato per otto anni di seguito la Polonia, fra il 2015 e il 2023.
Come si spiega la rimonta di Dan in Romania
Entrambi i risultati presentano aspetti sorprendenti: Dan ha vinto con 7 punti percentuali di distacco (53,6 a 46,4) benché dopo il primo turno si trovasse sotto al suo avversario di 20 punti (41 a 21). L’eccezionale rimonta si spiega anche con una partecipazione al voto passata dal 53,2 per cento del primo turno al 64,7 del secondo, ma non solo. Una serie di fattori hanno ribaltato i pronostici iniziali.
Il primo è stato l’assenza quasi totale di Simion, candidato dell’Alleanza per l’unione dei rumeni (Aur), dai dibattiti televisivi dopo il primo dell’8 maggio scorso, dal quale era uscito nettamente perdente. A quel punto il vincitore del primo turno ha deciso di non confrontarsi più direttamente col suo avversario e si è dedicato a una tournée all’estero che doveva servire a rassicurare le capitali e le istituzioni europee sulle sue intenzioni e a raccogliere i voti degli elettori rumeni fuori dal paese. In realtà fra questi ultimi aveva già fatto il pieno al primo turno, sfiorando il 61 per cento (quasi 20 punti percentuali più del risultato totale).
Non sono bastate le rassicurazioni di Simion su Romania e Nato
Nelle interviste e negli incontri all’estero ha soprattutto cercato di scrollarsi di dosso le etichette di candidato filo-russo, euroscettico e sciovinista, che avrebbe messo in crisi i rapporti con Ungheria, Moldavia e Ucraina per rivendicazioni di confine. Simion si è dunque presentato come un futuro presidente consapevole della minaccia russa e fautore della permanenza della Romania nella Nato e nell’Unione Europea, nonostante le sue critiche a Bruxelles accusata di “centralismo” e di non aver vegliato sugli sprechi, le inefficienze e gli episodi di corruzione relativi ai fondi di coesione europei che hanno caratterizzato la vita politica rumena negli anni. Come fanno di solito i politici in vantaggio nei sondaggi, Simion ha evitato di confrontarsi faccia a faccia con l’avversario, ma così non ha potuto rispondere alle sue accuse e ha proiettato un’immagine di debolezza.
Gli ambigui rapporti tra Simion e il Psd
Il secondo fattore che ha pesato sul risultato finale sono stati gli ambigui rapporti fra il candidato ultranazionalista e il Psd, il Partito socialdemocratico al potere in un governo di coalizione, erede del partito comunista di Nicolae Ceausescu e forza dominante dello scenario politico rumeno post 1989 insieme al Partito liberale (Pnl). Simion aveva raccolto la maggior parte dei voti al primo turno nelle campagne e fra gli espatriati, fra elettori delusi dell’egemonia dei due partiti istituzionali e soprattutto del Psd, visto come il partito dell’assistenzialismo di Stato che negli anni si è ridotto ai minimi termini mentre i dirigenti del partito si arricchivano o restavano coinvolti in casi di corruzione.
La reazione dei socialdemocratici davanti al voto di protesta è stata particolarmente machiavellica: dopo che il loro candidato era arrivato solo terzo nel voto poi annullato dalla Corte costituzionale del 24 novembre scorso col 19 per cento, i leader del Psd hanno deciso di non presentare un loro uomo e hanno dichiarato di sostenere il candidato della coalizione di governo di cui sono parte, cioè il liberale Antonescu che poi è arrivato terzo col 20 per cento ed è rimasto escluso dal ballottaggio. A quel punto il Psd non ha dato indicazioni di voto per lo scrutinio decisivo, mentre il suo presidente aveva attaccato al primo turno Dan dandogli del travestito…
È nato così il sospetto che il Psd volesse in realtà favorire la vittoria di Simion, per poi poter concludere con lui accordi post-elettorali, che sarebbero arrivati fino alla creazione di una nuova coalizione di governo (il primo ministro socialista Ciolacu si è dimesso dopo il voto del primo turno) fra i due partiti. Questi sospetti hanno allontanato da Simion parte dei voti anti-Psd che aveva ottenuto al primo turno.
Il peso delle minoranze nel voto in Romania
La terza ragione del sorpasso di Dan su Simion riguarda il voto delle minoranze: i 19 milioni di abitanti della Romania comprendono 1 milione di ungheresi e una cifra sconosciuta ma prossima ai 2 milioni di rom. E mentre, a differenza di altri politici rumeni di estrema destra, Simion non ha mai attaccato i rom, sono note le sue diatribe con i rumeni di origine magiara. Il candidato di Uar ha definito il partito della minoranza ungherese (l’Udmr, ideologicamente prossimo alle posizioni di Viktor Orban e al suo Fidesz) “terroristi” e ha preso parte agli scontri fra gruppi etnici al cimitero militare di Uzvolgye nel 2019. Nonostante Viktor Orban abbia mostrato vicinanza con Simion, gli ungheresi di Romania hanno votato in massa per il suo rivale Dan.
Il sorprendente primo turno delle presidenziali in Polonia
Anche il risultato del primo turno delle presidenziali polacche è piuttosto sorprendente: mentre i sondaggi della vigilia indicavano una forbice di 5 punti percentuali a vantaggio di Trzaskowski (già molto ridotta rispetto agli 11 accreditatigli all’inizio dell’anno), gli exit poll a oggi disponibili attestano che solo due punti (31,1 per cento contro 29,1) separano il candidato progressista da quello conservatore; con l’aggiunta che il candidato della destra radicale, Slawomir Mentzen, sempre secondo gli exit poll, avrebbe ottenuto molti più consensi di quelli che i sondaggi gli attribuivano (15,4 per cento anziché 12).
La forbice fra i due candidati principali è andata chiudendosi nell’ultimo mese e mezzo soprattutto a causa della diffusa insoddisfazione nell’opinione pubblica nei confronti del governo Tusk, entrato in carica nel dicembre 2023, e a errori di comunicazione di Trzaskowski nell’organizzazione dei dibattiti con gli altri candidati del primo turno.
L’errore comunicativo di Nawrocki in Polonia
Il risultato avrebbe potuto essere ancora più serrato se anche Nawrocki non fosse incorso a sua volta in un infortunio comunicativo, dichiarando durante un dibattito di possedere un solo appartamento, mentre in realtà ne possiede un altro nella città di Danzica, come il portale di notizie Onet ha scoperto. Le contraddittorie spiegazioni circa i suoi rapporti col vecchio inquilino dell’appartamento hanno ingigantito un caso obiettivamente marginale.
L’infortunio di Nawrocki è stato parzialmente riequilibrato dal caso delle pubblicità elettorali a favore di Trzaskowski su Facebook pagate dall’estero. La legge polacca vieta il finanziamento delle campagne elettorali con fondi provenienti da paesi stranieri. Al momento attuale non è stata ancora appurata l’origine dei pagamenti, mentre è stata individuata l’organizzazione che ha fornito i materiali (filmati e interviste) utilizzati per realizzare le pubblicità: si tratta di una Ong polacca che di nome fa Azione per la Democrazia e che per presidente ha un ex assistente parlamentare di una deputata di Piattaforma Civica (Po), il partito di Donald Tusk.
Le incognite sul ballottaggio in Polonia
A questo punto il ballottaggio del 1° giugno si presenta ricco di incognite. La somma dei voti dei candidati dei partiti di governo (oltre a Trzaskowski c’erano il liberale Szymon Hołownia e Magdalena Biejat della sinistra che in Europa sta nello stesso gruppo del Pd italiano) arriva al 41 per cento, mentre quella dei candidati dei due partiti di opposizione di destra (PiS e Confederazione) sarebbe 44,5 per cento. Nawrocki conta di fare il pieno dei voti che al primo turno sono andati a Mentzen.
Alle elezioni del 2020, che Trzaskowski, già allora candidato, perse di poco sull’attuale presidente Duda, i voti ricevuti dal candidato di Confederazione al primo turno risultarono equamente spartiti fra i due contendenti del ballottaggio, stavolta invece i sondaggisti dicono che gli elettori di Mentzen si riverseranno su Nawrocki al secondo turno. Esisterebbero già accordi per una coalizione di governo fra PiS e Confederazione in caso di vittoria alle presidenziali, di crisi di governo ed elezioni anticipate.
Per segnalare la sua apertura alle posizioni della destra radicale Nawrocki si è mostrato durante la campagna elettorale in compagnia di George Simion, il candidato alle presidenziali rumene arrivato in Polonia per sollecitare il voto dei suoi cittadini colà immigrati. Siccome i voti di Confederazione potrebbero non bastare, il candidato del PiS compie gesti che potrebbero attirargli i consensi anche di quel 6 per cento di elettori che al primo turno hanno scelto Grzegorz Braun, estremista allontanato da Confederazione per le sue posizioni antisemite.
Chi corteggia Trzaskowski
Anche Trzaskowski deve corteggiare i voti di candidati che non fanno parte della coalizione di governo, in particolare quelli della sinistra estrema di Adrian Zandberg (5,2 per cento secondo gli exit poll), la cui formazione (Razem) ha abbandonato l’anno scorso il governo Tusk giudicandolo troppo moderato. Per Donald Tusk la vittoria di Trzaskowski è fondamentale, perché gli permetterebbe di realizzare più compiutamente il suo programma di governo, attualmente zavorrato dai veti del presidente uscente Duda: in Polonia il capo dello Stato ha facoltà di opporre un veto alle decisioni del governo se queste non sono approvate dal 60 per cento almeno dei deputati. L’attuale maggioranza parlamentare supera di poco il 53 per cento.
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