Corruzione, il Csm propone gli agenti provocatori. Gallo: «Attenti al limite tra indagine e istigazione»

Di Chiara Rizzo
15 Gennaio 2015
L'idea in un documento sulla riforma della giustizia da presentare al parlamento. Intervista a Marcello Gallo, professore di Diritto penale e accademico dei Lincei

Lo strumento per combattere la corruzione secondo il Csm potrebbe essere l'”agente provocatore”. In un documento preparato dalla Commissione per la riforma della giustizia e che potrebbe confluire nella relazione che il Csm farà al Parlamento, si propone che si riprendano contro le mazzette alcuni degli strumenti già oggi in atto per la lotta alla criminalità organizzata, tra cui appunto la possibilità che uomini sotto copertura si infiltrino tra i presunti criminali per “beccarli” in flagrante. La figura dell’agente provocatore è prevista dal nostro sistema dal 1990, per esempio nell’ambito del contrasto al traffico di stupefacenti, al terrorismo e al mercato illegale delle armi. Pur avendo questa arma permesso alle forze dell’ordine di concludere positivamente varie operazioni, nei fatti non sono mancati i problemi, che sono già sfociati in processi ai danni di vari agenti sotto copertura, processi che hanno coinvolto anche di spicco. «Il punto è capire quando l’agente si limita a osservare, controllare e contenere il piano criminale concepito o portato a termine da altri. Ma se l’agente in qualche modo contribuisce alla realizzazione del piano, diventa quanto meno complice», spiega a tempi.it Marcello Gallo, accademico dei Lincei, professore emerito di Diritto penale all’Università di Roma-La Sapienza, uno dei massimi esperti italiani in materia.

Professor Gallo, cosa pensa dell’idea del Csm di impiegare agenti provocatori per contrastare la corruzione?
Non ho letto il documento specifico preparato dal Csm, perciò parlo in linea teorica. Il problema di questo tipo di idea – l’agente provocatore come strumento per portare alla luce il disegno criminale e far arrestare i colpevoli – è: dove esattamente si trova il limite oltre il quale l’agente finisce per istigare? Nel caso in cui si dimostri che l’agente ha di fatto istigato il piano e lo ha reso possibile e allettante, anch’egli commette un reato vero e proprio. Supponiamo per esempio che un certo ladro che si chiama signor Rossi sia sotto controllo, e che l’agente provocatore gli metta a disposizione per esempio gli strumenti per compiere una nuova rapina, dato che il signor Rossi non li ha a disposizione. Ebbene, anche se dopo la rapina l’agente arrestasse il signor Rossi, a quel punto l’infiltrato ha di certo travalicato il limite. Come si fa a capire qual è questo limite? Va valutato caso per caso, in base alle circostanze e ai comportamenti di tutti i protagonisti.

Attualmente agenti provocatori sono impiegati nel contrasto al traffico di droga. Però sono stati aperti diversi processi contro molti di questi infiltrati, compreso l’ex numero uno del Ros, il generale Giampaolo Ganzer…
La interrompo subito. Al di là di singoli personaggi di spicco, dei quali non mi interessa parlare, la questione anche nel caso del traffico di droga è puramente fattuale. Quando l’azione dell’agente provocatore si innesta dentro un piano in atto, con la scusa di aiutare e di fornire indicazioni ai criminali oppure suggerendo l’idea stessa, c’è il rischio che il reato venga commesso per istigazione dell’agente provocatore. Evidentemente ciò lascia aperto un quesito importante dal punto di vista penale: il criminale si sarebbe determinato a mettere in piedi il traffico di droga senza l’istigazione dell’agente, o senza le sue indicazioni? Se la risposta è no, si delinea un’ipotesi di istigazione al reato e di concorso. Questo vale nella lotta al traffico di stupefacenti come per qualsiasi tipo di reato.

Anche nel caso della corruzione?
Sì, certo. Solo se l’agente si innesta su un piano in corso e poi lo sventa o lo impedisce, allora e solo allora sarebbe “scriminato”, cioè tutelato dalla legge. Se egli invece “stuzzica” e fa sorgere il proposito di corrompere o di essere corrotto, anche se poi sventasse il piano, quanto meno sarebbe imputabile di concorso nel reato, anche in quello di corruzione.

Quali misure andrebbero introdotte, secondo lei, per contrastare la corruzione?
Direi il controllo preventivo. Servirebbero esami a tappeto su tutti quegli atti che precedono gli abusi d’ufficio. E per fare questo servirebbero indagini. È chiaro che la prova non è facile di raggiungere, ma si possono usare le intercettazioni ambientali (certo, pur nel rispetto della privacy). Bisognerebbe andare più a fondo non appena si ha la percezione di un atto abnorme.

Perché? Non avviene già così?
No, oggi spesso ci si ferma all’esame formale di un atto, si verifica cioè se un documento sia o meno conforme ai parametri di legge, ma questo chiaramente non basta per individuare la corruzione.

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