Cormac McCarthy, il materialista che ci tira fuori dal letargo dei teoremi
A 16 anni dall’ultimo romanzo, Cormac McCarthy, Premio Pulitzer per La Strada, ne ha recentemente pubblicati due, The Passenger e Stella Maris. A 15 anni dall’ultima intervista con Oprah Winfrey, ha acconsentito a dialogare pubblicamente con uno scienziato. Notoriamente distante dall’esposizione mediatica, McCarthy ha infranto il silenzio accettando di ospitare a casa sua il fisico Lawrence Krauss con cui ha registrato una conversazione dedicata soprattutto a temi scientifici, anche molto complessi.
Lo dichiarò già a Oprah: «Preferisco stare in mezzo agli scienziati che agli scrittori». In effetti, il celebratissimo autore di Meridiano di sangue si trasferì da El Paso a Santa Fe per poter frequentare assiduamente l’omonimo Istituto di scienze e discutere con menti brillanti che oggi annovera tra i suoi migliori amici.
McCarthy, sereno e lucidissimo
La prima impressione sull’intervista a disposizione su Youtube può portare a una conclusione affrettata e viziata da due errori: primo, gli argomenti sono troppo difficili (si va dalla dialettica tra fisica e matematica alla meccanica quantistica, dall’evoluzione allo spazio pluridimensionale); secondo, McCarthy dice molto poco, risponde spesso solo a monosillabi a fronte della loquacità del suo interlocutore. Come nota in un commento una fan dello scrittore, siamo accerchiati da sapientoni che parlano troppo e McCarthy sembra aver fatto suo il vecchio detto «se hai due orecchie e una bocca, vuole dire che devi ascoltare il doppio e parlare la metà».
McCarthy oggi è un uomo anziano, sulla soglia dei 90 anni, sereno e lucidissimo. Pronto a correggere Krauss quando cita un suo testo sbagliando una preposizione. Pronto ad ascoltare molto e a dire con poche parole quello che vuole dire. Alla domanda su quale sia la sua disciplina scientifica preferita risponde: la fisica.
Matematica o fisica
Il mondo non è una bellissima teoria, ma è un complicato esperimento in corso d’opera. Questo è uno dei punti interessanti che emerge nella prima parte del dialogo. Il fisico, a differenza del matematico, può e deve rinunciare alla bellezza e all’eleganza. Riguardo a certi fenomeni, esistono teoremi matematici che contengono una risposta più bella ed elegante di quella che si manifesta in natura. Il fisico ne prende atto e, fosse anche con il dispiacere di rinunciare a una bellissima teoria, sta al passo della via meno elegante, ma vera, della natura.
Allargando la prospettiva sul quotidiano, potremmo dire che prendere atto della realtà è un passo umile e necessario. Facendo un passo fuori dal dialogo tra Krauss e McCarthy, viene da pensare che siamo piantati dentro lo stesso dilemma, con la pericolosa tendenza a privilegiare “la via matematica”. Siamo assediati da teoremi umani (sulla vita, sulla morte, sul sesso) che, proprio in quanto astrazioni, hanno un’apparenza più bella, magnifica e confortante della nuda realtà.
Ma la vita non è una faccenda confortante, non è scritto da nessuna parte che debba esserlo. Non è riposare nello scenario migliore, è una prova sotto sforzo. Non c’è una soluzione elegante per risolvere i problemi, non è neppure detto che esista una soluzione pacificante.
Evoluzione non è miglioramento
Quando nell’intervista si arriva a toccare il tema dell’evoluzione emerge senza sconti una prospettiva sconcertante. Krauss e McCarthy concordano nel contraddire l’ipotesi, data spesso per scontata, che evoluzione sia sinonimo di miglioramento. Esiste quello che in inglese è espresso dal termine «maladaptation», un tratto più nocivo che utile. L’evoluzione contempla cambiamenti sfavorevoli. Su questo McCarthy si sofferma: «Solo apparentemente l’evoluzione è muoverci per raggiungere ciò che ci aiuta a sopravvivere meglio. Invece siamo ben consapevoli che quello che raggiungiamo non ha niente a che fare con la nostra sopravvivenza. Lo stesso Darwin era perplesso in proposito». Alla vaga teoria che evoluzione, progresso e miglioramento siano sinonimi e descrivano la traiettoria della storia umana, si sostituisce un dato di realtà ben più indigesto. Si sta, dentro un ciclo di trasformazione, corruzione e incognite. Nonostante ciò McCarthy è convinto che saremo ancora qui tra centomila anni.
«E che sarà tra centomila anni?» chiede l’intervistatore. «Avremo ogni genere di opportunità per autodistruggerci», risponde McCarthy. Che è una delle migliori sintesi sulla presenza inoppugnabile del peccato, detta da uno che non usa affatto questo nome e, proprio in tema di evoluzione, ci tiene a precisare di essere materialista e lontano da una visione che contempli un disegno divino.
Carne viva di un mondo in travaglio
La provvidenza cristiana, però, non è una teoria alternativa che elude o addolcisce la visione tutt’altro che idillica appena delineata: il cristiano non crede nella bacchetta magica divina che sistema i problemi, fa memoria della certezza che la presenza di Dio è accanto all’uomo in ogni agonia che l’umanità attraverserà. La Croce della Redenzione non è stata piantata in un campo di girasoli e di allegri girotondi umani, ma nella carne viva di un mondo in travaglio.
E tenersi addosso questa carne viva e ferita senza la compagnia della Croce e senza scendere a compromessi con qualche forma di edulcorazione astratta, è tosta. Ma è in questa terra scabra e violenta che Cormac McCarthy abita. Lo disse già nell’intervista con Oprah Winfrey: «Solo quando le cose sono molto, molto squallide può accadere qualcosa».
Senza l’Incarnazione, sceglie comunque l’incarnazione, costringendo l’occhio a stare in quegli anfratti di realtà indecenti, violenti e irrisolti, dove non c’è teoria bella ed elegante che tenga. È tra i pochi che presidia la nuda terra dell’accadere. E dovremmo stargli appresso, perché compie un immenso atto di carità chi oggi ci tira fuori dal letargo dei teoremi e ci spinge più a fondo nel travaglio.
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