
Contro la tirannia della normalità

Caro direttore, e così il potere ha deciso che oggi possiamo tornare alla c.d. “normalità”, tanto agognata e tanto sognata, come il mito della felicità. Ma quale felicità e quale “normalità”? Purtroppo, la normalità viene fatta coincidere con la possibilità di tornare a comprare le cose che la pubblicità ci impone; con il permesso di tornare a farci tagliare i capelli secondo la moda che, in questi mesi di prigionia, abbiamo visto mostrare nell’eterna televisione; con la libertà di tornare a cazzeggiare tra uno spritz e un aperol; con la possibilità, per i ricchi, di tornare a investire secondo i desideri di Soros; con il tornare a correre per la città vestiti in modo improbabile; con il sentire cantare Vasco Rossi che la vita un senso non ce l’ha; con il ributtare indietro le giuste domande che la quarantena obbligata aveva fatto sorgere nel cuore inesauribile di tanti; e così via. Insomma, la normalità viene fatta coincidere con il ritorno al solito tran tran piccolo borghese, come se, peraltro, desse in passato grandi soddisfazioni.
La verità è che, senza un riferimento certo e solido in un criterio ultimo che non viene da noi, non è possibile un ritorno a una novità di vita che renda veramente serie frasi come «ce la faremo» e «andrà tutto bene». Lo ha scritto, con il solito stile efficace ed essenziale, l’abate generale dei cistercensi Mauro Giuseppe Lepori nella lettera Rapiti dallo Spirito Santo per la Pentecoste 2020: «L’avvenimento della Risurrezione di Gesù non cambia solo la risposta alla nostra attesa ma l’attesa stessa. Gesù risorto è una realtà che cambia la forma della nostra attesa, del nostro desiderio, anche dell’attesa che si risolva a tutti i livelli la situazione difficile in cui ci troviamo ora». Senza questo passaggio (che è il passaggio del battesimo), la “normalità” ritorna ad essere banale.
In questi giorni, ho cominciato a leggere un altro libro del grande ed inesauribile G.K. Chesterton, intitolato Il profilo della ragionevolezza (Lindau) e dedicato all’aspetto socio-politico ed economico, nel quale G.K.C., ispirandosi alla dottrina sociale della Chiesa (la grande dimenticata anche da parte di tanti cattolici), critica sia il collettivismo comunista che il capitalismo occidentale, puntando sulla valorizzazione della persona, con tutte le sue capacità creative e produttive. Nella parte finale e riassuntiva di tale libro, Chesterton, riferendosi all’influenza negativa esercitata sia dal capitalismo che dal comunismo (il tutto aggravato dal fatto che ora i due aspetti spesso si incrociano), parla di una sorta di “tirannia della normalità”.
I due sistemi, infatti , tendono a normalizzare tutto, affinché la persona umana, con tutta la sua potenzialità, abbia il minor potere possibile. E poi, sottolineando il paradosso allora ed oggi esistente, aggiunge che il pensiero dominante non è “in rivolta contro il Re”, ma “in rivolta contro il cittadino”. Infatti, oggi, tutto congiura contro la persona e la sua (pericolosa) potenzialità, affinché il potere reale sia sempre più “normalmente” sulla scranno del Re. Infatti, oggi abbiamo visto che il potere organizza e finanzia, come nelle più classiche delle dittature, manifestazioni contro l’opposizione.
Caro direttore, il coronavirus ha messo in luce un fattore che dovremmo sempre tenere presente. Se vogliamo che un cambiamento veramente avvenga, la persona deve tornare a essere protagonista della storia. La persona non sola, ma nell’appartenenza alla comunità che la fa crescere e la consola. I cristiani cattolici hanno tutti gli elementi per testimoniare e indicare questa strada. Speriamo che non si disperdano in sottolineature secondarie e non essenziali. Se così fosse, la normalità ci sotterrerà, nelle intenzioni del potere. Ma noi sappiamo che le tenebre non prevarranno. Però, svegliamoci.
Foto Ansa
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