Contro il «manicheismo» delle toghe che vedono solo «diversamente colpevoli»
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Articolo tratto dal numero di Tempi in edicola (vai alla pagina degli abbonamenti) – «Il presidente pro-tempore dell’Associazione nazionale magistrati, Piercamillo Davigo, manifesta una visione manichea della realtà. Attorno a sé pare avere esclusivamente politici corrotti; la giustizia non funziona solo per colpa degli avvocati; e gli imputati assolti sono, in realtà, “diversamente colpevoli”». Confermato ai primi d’ottobre alla presidenza dell’Unione delle camere penali, Beniamino Migliucci (nato a Bolzano 60 anni fa) mostra di non voler lasciare cadere la difficile battaglia liberale per la giustizia che ha ingaggiato fin dai primissimi giorni del suo primo mandato, nel settembre 2014. «Con le sue battute e con le sue posizioni di populismo giudiziario – attacca il penalista – Davigo cerca un consenso facile, ma io continuo a credere che la magistratura non dovrebbe cercare consenso. E le posizioni di Davigo sarebbero meno banali e più credibili se soltanto ammettesse quel che non funziona nella sua stessa categoria».
[pubblicita_articolo allineam=”destra”]Migliucci parte dal cuore del contendere: le indagini preliminari. L’Anm ha alzato uno sbarramento di fuoco contro la riforma del Codice di procedura penale bloccata al Senato. In quella riforma si prevede che alla fine delle indagini il pm abbia al massimo tre mesi per decidere se chiedere il rinvio a giudizio o l’archiviazione. «È un provvedimento che rende ragionevole la lunghezza del processo penale – dice Migliucci – e invece l’Anm è contrarissima». Perché? «I magistrati si lamentano che i processi sono interminabili e troppo spesso finiscono con la prescrizione, ma rifiutano una riforma efficace. Viene un doppio sospetto: o ai pm piace la possibilità di tenere sotto scacco l’indagato per un tempo insindacabile, o, a voler seguire la stessa logica di Davigo, che non gradiscano un invito a lavorare».
Per restare alla riforma, Migliucci rintuzza altre prese di posizione di Davigo. Il presidente dell’Anm ha dichiarato la sua perplessità davanti alle «lungaggini» della procedura e si è chiesto: che bisogno c’è di ripetere in udienza gli interrogatori già svolti davanti ai carabinieri? Ma qui il rappresentante degli avvocati alza il tono della critica: «Parte della magistratura da mesi afferma che, per ridurre i tempi del processo, basterebbe affidarsi agli interrogatori effettuati nelle caserme in assenza del difensore al di fuori di ogni contradditorio che, pertanto, non dovrebbero avere alcun valore probatorio. Il punto è un altro, e cioè che la maggior parte dei processi si prescrive invece nella fase delle indagini preliminari dove l’unico responsabile delle lungaggini è il pm. Perciò è inutile allungare i termini della prescrizione dilatando i tempi del processo, senza considerare che dal 60 al 70 per cento del totale dei processi si prescrive prima della richiesta di rinvio a giudizio».
Migliucci ricorda anche gli eccessi della custodia cautelare in carcere, costati 640 milioni di euro dal 1992 a oggi tra risarcimenti per errori giudiziari e ingiuste detenzioni. «In questo paese non piace l’idea che la custodia cautelare sia l’estrema ratio. Ma il 35 per cento dei carcerati oggi è in attesa di giudizio, e non è così in nessun paese europeo. Non siamo mai usciti dall’ombra del vecchio Codice, che parlava di “libertà provvisoria”: come nel film di Manlio Scarpelli, del 1971, siamo tutti sottoposti all’alea di un provvedimento restrittivo». Anche le carceri, dove i detenuti sono oltre 54 mila, tornano a essere un problema: «Stiamo tornando a condizioni insostenibili», ricorda Migliucci. Anche perché nelle nostre prigioni non si lavora, e proprio per questo la recidiva è altissima, al 65-70 per cento». È una situazione che lede anche il principio di uguaglianza. «Se sono recluso nel carcere modello di Bollate, studio e lavoro; altrove non è così. Non è giusto».
Foto Ansa
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