Via del Corso è la strada più affollata di Roma, dove i negozi, nonostante la crisi, sono pieni di gente. È anche la meglio addobbata, ricca di luci e decorazioni. Magari non tutti coloro che montano le lampadine sono consapevoli del valore simbolico che nelle Feste hanno le luci, ma se il Natale è la memoria della Luce che squarcia le tenebre, non guastano un po’ di luminarie lungo le vie principali della città.
Fino all’anno scorso qui era allestito un “cielo” di lampadine verdi, bianche e rosse che formavano tre fasce: nel cuore della Capitale un richiamo alla Nazione nella festa più significativa dell’anno. Cambiati sindaco e amministrazione, a Natale 2013 romani e non romani che vanno da piazza del Popolo a piazza Venezia alzano lo sguardo e vedono lo stesso “cielo”, ma i colori sono cambiati: al posto del tricolore c’è un bell’arcobaleno!
Non è un errore; il vicesindaco Luigi Nieri ha rivendicato i «segnali simbolici importanti, scegliendo luminarie rainbow»: il segnale di fare dell’Urbe «la capitale dei diritti», che sarà seguito dall’istituzione del registro delle unioni civili, «un pezzo fondamentale dell’idea di città che stiamo costruendo». Non scomodiamo l’etica, è sufficiente l’estetica per non capire proprio cosa abbia a che fare la bandiera gay con il Natale. Vero è che le rivendicazioni delle lobby di settore hanno assunto un profilo maniacale, se non lasciano in pace neanche la Festa di un Dio che diventa bambino e viene nel mondo.
«Venne fra la sua gente, ma i suoi non l’hanno accolto» (Gv 1,11): si è portati a pensare solo a un rifiuto esplicito, come quello che ha riguardato direttamente il Verbo Incarnato e tanti suoi testimoni, fino a oggi, nella vita bimillenaria della Chiesa. Ma vi è pure la dimensione della deformazione priva di senso: prima ancora del profilo della Fede, è in discussione il buon senso. Oscurato dalle “luminarie rainbow”.