
Come Spaemann ha risposto all’emergenza antropologica

Sociologo della cultura all’Università di Bologna, campus di Forlì, Leonardo Allodi è impegnato da anni nello studio e nella diffusione in Italia del pensiero del filosofo cattolico Robert Spaemann (1927-2018). Si ricordi, per esempio, il volume da Allodi curato Persone (Laterza), e i numerosi saggi a lui dedicati. Allodi è però anche il direttore di una collana di testi di e su Spaemann pubblicata dall’editore Cantagalli: “Spaemanniana”. Da poco è disponibile proprio l’ultimo volume, L’umano e l’essere. Pensare il reale secondo Robert Spaemann, scritto da Paulin Sabuy Sabangu e con prefazione di Allodi stesso. Ne parliamo con lui.
Professore Allodi, perché si rende necessaria una collana dedicata al filosofo cattolico tedesco?
È mia convinzione che l’opera di questo grande pensatore del Novecento sia destinata a diventare per vastità e chiarezza (che è la maggior virtù di quella ingenuità istituzionalizzata che è la filosofia, dice Spaemann), una memorabile eredità del pensiero e dello spirito europei, fondati sul principio di un diritto naturale universale. La riscoperta del concetto greco di natura, la questione del rapporto fra natura e ragione, la questione della teleologia, insieme all’originalità dell’approccio critico a questioni cruciali della cultura contemporanea, inducono a impegnarci in una trasmissione rivolta soprattutto ai più giovani in un tempo così povero di autentici maestri. Soltanto una riscoperta dei fondamenti classici e cristiani del pensiero europeo possono trarci fuori da questa crisi. I volumi che precedono l’ultimo uscito vanno in questa direzione: le Meditazioni di Spaemann sul Libro dei salmi (opera su cui ha meditato papa Benedetto XVI), il volume Nozioni elementari di morale, ma anche i due volumi di Martin Mosebach sul cristianesimo copto e sull’Eresia dell’informe con in appendice un saggio di Spaemann sul rito della S. Messa) vanno in questa stessa direzione.
Nella prefazione che firma al volume di Sabangu, lei scrive che l’emergenza antropologica dei nostri tempi richiede più che mai una riflessione, come quella spaemanniana, sull’essere e sul significato dell’umano. Come possiamo descrivere tale emergenza e in che senso Spaemann ci fornisce le chiavi per provare a fronteggiarla?
Dire emergenza antropologica significa rilevare uno smarrimento antropologico, una crisi di senso ormai individuata da molti sociologi della cultura. Charles Taylor ha parlato di tratti della nostra cultura e società contemporanee che gli uomini sperimentano come una perdita e un declino «anche se la nostra civiltà si sviluppa». La perdita di orizzonti morali comuni e l’affermarsi di una cultura del narcisismo, una razionalità strumentale che ha prodotto una incapacità di deliberare quali «debbano essere i nostri fini ultimi», una sostanziale perdita di libertà. Quando T.S. Eliot parla di «terra desolata», di «uomini di paglia», intende questo. O quando Romano Guardini parla di slealtà moderna, questo parassitario perseguire fini cristiani rinunciando ai “mezzi” cristiani (cioè la metafisica della verità e l’esempio di Cristo), vede, nella crisi antropologica odierna qualcosa di terribile e salutare insieme). Costringerà l’uomo europeo a uscire dalle nebbie del nichilismo banale. Ecco: l’intera opera di Robert Spaemann offre a queste diagnosi desolate uno sviluppo positivo, fornisce i mezzi filosofici per uscire da un pluralismo etico senza più certezze.
Una riflessione cruciale del filosofo tedesco riguarda il tema della libertà e il suo rapporto con l’uomo. Come viene definita dallo studioso cattolico e quale relazione ha con Dio?
Questa sua domanda sul rapporto fra libertà e fede mi ricorda un episodio riportato da Robert Spaemann in un volumetto che ho tradotto alcuni anni fa per Morcelliana. Spaemann ricorda un parroco che ogni tanto ritornava ospite nella sua casa paterna a Dorsten. «Era un uomo arguto, di formazione elevata, felice di vivere, che fumava volentieri sigarette». Erano gli anni Quaranta quando lavoratori prigionieri che venivano da Russia, Polonia e Ucraina furono inviati nei dintorni e collocati in baracche. Questo sacerdote, continua Spaemann, «con la bicicletta andava dai contadini, raccoglieva alimenti e li portava nelle baracche. Si interessava a questi lavoratori prigionieri, consentendo loro di fare la doccia nella sua casa, divenendo per loro come un padre», racconta Spaemann. Un giorno il sacerdote fu tradito, arrestato e inviato nel campo di concentramento di Dachau. Dopo sei mesi tornò, consunto e bisognoso di riposo: «Ma dopo alcune settimane lo vidi di nuovo braccio a braccio con i lavoratori prigionieri. Allora gli chiesi se fosse ancora il caso di mettersi così apertamente in pericolo e la sua risposta fu: “Io sono un prete cattolico e non posso comportarmi diversamente”». Ecco che cosa significa libertà per Spaemann: un’idea forte alimentata da convinzioni profonde senza le quali essa neppure può, forse, esistere.
Nell’intervista inclusa nel volume, Sabangu chiede a Spaemann perché ritiene L’abolizione dell’uomo di C.S. Lewis un saggio illuminante per capire la crisi del mondo moderno. Quali sono le contraddizioni così bene messe a fuoco da tale opera?
Ho trovato spesso richiamato, nelle opere del filosofo tedesco, il saggio di C.S. Lewis del 1943. Un testo di notevole preveggenza, che interessa molto Spaemann soprattutto per i richiami al concetto di natura, della natura umana e della sua grande capacità di resistere. Notevoli le «illustrazioni della legge naturale» che troviamo nell’appendice Illustrazioni del Tao. Per Spaemann L’abolizione dell’uomo è una espressione letterariamente riuscita della situazione di un mondo moderno le cui contraddizioni interne hanno finito per venire alla luce in modo drammatico, come dice Sabangu. L’Ulisse di Joyce, L’uomo senza qualità di Robert Musil, L’operaio di Ernst Jungter: sono opere che, come quella di Lewis, ci aiutano a comprendere la situazione odierna, “l’apoteosi della spersonalizzazione” che attende gli uomini ridotti a “funzionari” e a macchine. Senza un “Tao” di valori assoluti, dice Lewis, l’uomo non può trovare se stesso né contare su una comune regola umana.
Quali saranno i prossimi titoli di “Spaemanniana”?
Il settimo volume riproporrà la traduzione di Sergio Belardinelli della più importante opera di filosofia politica di Robert Spaemann: Per la critica dell’utopia politica. Con temi come “le convinzioni in una civiltà ipotetica”, “teologia, profezia, politica, critica della teologia politica”, “morale e violenza”. La prima edizione italiana dell’opera Limiti. Sulla dimensione morale dell’agire, 46 brevi saggi di Robert Spaemann che spaziano dalla filosofia morale (la responsabilità come concetto etico fondamentale, l’ontologia dei concetti di destra e di sinistra), a temi del nostro tempo (la distruzione della dottrina giusnaturalistica della guerra, la questione dell’eutanasia, l’ethos mondiale come progetto, ecc.), sarà l’ottavo volume. Qualche mese prima che ci lasciasse, avevo fatto notare a Robert Spaemann che esisteva un libro che egli ignorava di aver scritto. Quando gli invia il progetto, la raccolta di 11 suoi saggi sul “coraggio di educare”, fu felice di approvarlo. Sarà il nono volume della Collana.

di Paulin S. Sabangu, L’umano e l’essere. Pensare il reale secondo Robert Spaemann, Cantagalli, 122 pagine, 15,20 euro.
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