
Come l’Europa diventò il “luogo della luce”

Trentaquattro anni fa ci lasciava don Francesco Ricci, fondatore della casa editrice e centro studi sull’Europa dell’Est Cseo, amico personale di Karol Wojtyla, responsabile della Commissione internazionale di Comunione e Liberazione. Ricci fu anche animatore di momenti di preparazione del Meeting di Rimini. Di seguito proponiamo estratti inediti di un seminario che gli fu chiesto di tenere alla vigilia dell’edizione del 1981, “L’Europa dei popoli e delle culture”.
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«Durante il mese di pontificato di Giovanni Paolo I (…) non ci accorgemmo di un avvenimento che invece sarebbe poi risultato più incisivo (…). Mi riferisco alla visita che in quel mese fecero in Germania i vescovi polacchi, una delegazione ufficiale con alla testa il cardinale primate Wyszysnki e il cardinale di Cracovia, Wojtyla. (…) in quella occasione, che segnò il gesto di una riconciliazione tra le due Chiese e le due nazioni, Wyszynski lanciò un grande proclama, il proclama della seconda evangelizzazione dell’Europa; un programma cioè di rifare dell’Europa la nuova Betlemme dei popoli. (…) Dopo il viaggio in Germania, alla morte di Giovanni Paolo I fu eletto papa quel Wojtyla che aveva accompagnato Wyszynski in questo pellegrinaggio attraverso la tragedia dell’Europa, in quei luoghi che erano stati l’epicentro della tragedia stessa. Dal giorno della sua elezione, Giovanni Paolo II non ha cessato di compiere gesti e di dire parole che dimostrano come egli abbia assunto come compito l’adempimento di quel proclama lanciato all’Europa, alla Chiesa tedesca, alle Chiese europee e alla Chiesa universale durante il viaggio in Germania. Il più clamoroso di questi gesti è costituito da quel documento uscito proprio nell’ultimo giorno del 1980 che contiene la proclamazione dei santi Cirillo e Metodio a compatroni d’Europa insieme a san Benedetto, nel bel mezzo dell’anno celebrativo di Benedetto stesso. Questa notizia ha illuminato di una luce ancora più limpida e chiara il senso della scelta dell’Europa come tema del Meeting».

Europa, “il luogo delle tenebre”
«Il nome Europa è stato pronunciato per la prima volta in Fenicia, e corrisponde più o meno a “terra del tramonto del sole”. Nella semantica fenicia il significato di Europa non era solo geografico, l’espressione “il luogo delle tenebre” non stava solo a indicare una collocazione geografica, ma anche una dimensione etica. L’Europa rimane Europa, cioè luogo delle tenebre, fino a quando non succede l’avvenimento per cui questa luce che si è levata ad oriente viene portata in occidente; questa luce è il Vangelo, è l’annuncio cristiano. Il periodo in cui l’Europa è la terra delle tenebre corrisponde al primo millennio della storia della salvezza, all’epoca dell’Antico Testamento che si svolge totalmente all’interno della sola cultura ebraica poiché la preoccupazione dei profeti e dei capi autentici del popolo d’Israele è di mantenere l’identità culturale d’Israele, identità fondata sulla memoria dell’Alleanza, totalmente indenne da qualunque influsso delle culture circostanti. (…) Dopo l’entrata nella comunità cristiana di Paolo con la sua urgenza missionaria, con la sua inquietudine di annuncio, si riscontra a Gerusalemme l’apertura della prima comunità cristiana favorita anche da certe operazioni militari dell’esercito romano che costrinsero i cristiani a fuggire da Gerusalemme e a disperdersi nella prima diaspora».
«Per un lungo periodo, le direttrici di questa impresa restarono nell’area orientale del bacino del Mediterraneo, percorsero la penisola anatolica, non si spinsero tanto oltre. Il primo avvenimento che io vi ricordo, l’avvenimento che deve essere nella nostra memoria come un santuario della memoria, è quando Paolo, dopo il suo ennesimo itinerario anatolico, sbarca in Macedonia e, incontrate sulla riva del fiume nei pressi di Filippi alcune donne, incomincia a parlare con loro, e una di queste donne, di nome Lidia, accoglie l’annuncio accogliendo Paolo in casa sua, dando vita così alla prima ecclesia domestica europea. Lidia è stata la prima fra i figli della terra delle tenebre ad aver accolto la luce del Vangelo. Da questo momento comincia la prima vera e propria esperienza di evangelizzazione».
L’incontro con la civiltà ellenica
«La prima evangelizzazione incontra la civiltà ellenistica, che costituiva qualcosa che ancora non aveva né coscienza, né linguaggio di Europa, ma che costituiva una certa unità. (…) Da quel momento comincia un’impresa impressionante: la millenaria storia d’Israele si spoglia della forma ebraica e assume la forma ellenistica, un avvenimento inaudito. Nessuna religione storica ha mai compiuto una simile esperienza. Le grandi religioni orientali non hanno mai operato qualcosa del genere; sono rimaste all’interno della propria monocultura. La liturgia si avventura nella struttura mentale, nella struttura semantica della religiosità pagana ed io credo che si debba citare come un esempio metodologicamente permanente e definitivo, quel modo di fare le chiese allora, prendendo i pezzi dei templi pagani e costruendo con quei pezzi i templi cristiani. (…) la grande impresa umana dell’impero romano ormai fatiscente crolla e durante il crollo avviene questa poderosa opera di “transizione”, di “transitus”, passaggio dalla forma giudaica alla forma ellenistica. Riguarda anche le tribù che dopo la caduta dell’impero romano riprendono la loro esistenza autonoma e invadono territori lasciati liberi: le tribù del nord-ovest, Galli, Celti, Sassoni, Bretoni. L’impulso del Vangelo, la forza dell’Avvenimento spinge all’impresa, umanamente disperata, dell’evangelizzazione di questi popoli. Essa è compiuta soprattutto per opera di alcuni monaci: i due nomi più clamorosi sono Bonifacio e Agostino di Canterbury. Lo storico Bohdan Cywinski afferma che si può datare idealmente la nascita dell’Europa nel momento dell’evangelizzazione di queste tribù: VI, VII e VIII secolo. Questa grande epopea, questi monaci missionari, questi vescovi sono, come dice Jozef Tischner, gli archetipi della nostra umanità, i nuovi europei, gli archetipi della santità del mondo europeo».
I monaci-missionari
«Attorno al IX secolo sta succedendo qualcosa di preoccupante, una crisi politica di conduzione dell’impero che vede una dialettica tra due centri di potere: Roma e Ravenna da una parte, Bisanzio dall’altra. Di fatto, attorno al IX secolo si viene a creare una frattura che poi diventerà tale da aprire un baratro tra quella che verrà chiamata l’Europa occidentale e l’Oriente. Si chiama scisma d’Oriente e avrà conseguenze tali per cui oggi, dopo mille anni, questo abisso è ancora aperto. Ma nel momento stesso in cui sotterraneamente lo scisma si va formando, rinasce la coscienza di alcuni, addirittura discepoli di quel Fozio che fu il teorizzatore dello scisma: due fratelli di Salonicco vanno a Costantinopoli a scuola di teologia con l’intenzione di diventare monaci. Lo Spirito Santo li spinge però a fare quello che non volevano e diventano missionari rieditando così quella figura di monaco-missionario che era stata la protagonista della evangelizzazione dei popoli del Nord. Risalgono il Danubio ed evangelizzano quei popoli che non appartenevano né al mondo ellenistico, né avevano nulla a che fare con le ormai già evangelizzate tribù del Nord. Né la cultura greca né quella latina potevano servire a portare l’annuncio a quella gente, e allora i due monaci cominciano a inventare un alfabeto per scrivere. Da Cirillo, uno dei due fratelli, nasce l’alfabeto cirillico (…)».

Luogo della luce
«I vescovi tedeschi si scagliarono contro quei due poveri monaci perseguitandoli, perché “invadevano” il loro territorio. I guai sono venuti al momento dell’evangelizzazione dei sassoni, evangelizzazione “costrittiva”. Gli eredi questa forma di evangelizzazione legata a Carlo Magno erano i grandi vescovi dell’impero tedesco, i quali non condividevano il tipo di annuncio cristiano di Cirillo e Metodio. E così Cirillo fu costretto ad andare a Roma e a rifugiarsi dal Papa. Qui morì lasciando a Metodio una pesante e faticosa eredità.
Vorrei fare una riflessione morale: le diversità degli ethos ebraico, ellenistico, barbarico e slavo sono enormi, profondissime, tanto da rasentare – almeno teoricamente – l’impossibilità di comunicazione; eppure l’evangelizzazione non solo attraversa questa diversità, ma unisce senza sopprimerla. In questo avvenimento si trova la radice della nostra identità. Quando si dice Europa, si dice un’identità che è definita da questa esperienza: il diverso integrato nell’uno, nell’unità. Questa è l’esperienza originale dell’Europa, il contributo dell’Europa alla civiltà umana. In questa esperienza, l’Europa passa da “luogo delle tenebre” a “luogo della luce”. Di conseguenza se si parla della seconda evangelizzazione si deve riparlare di un avvenimento che ricrea l’unità e nell’unità integra la diversità. E non ci sarà né popolo, né cultura, né civiltà che possa avere altro metodo di inveramento di sé e di compimento del proprio destino e che non debba far tesoro della lezione metodologica della vita di formazione dell’Europa».
Il 70 e il 30 per cento
«In Benedetto da Norcia vedo la sintesi di quel primo processo dell’evangelizzazione della romanità, dell’ellenità e credo che lo possediamo in quanto archetipo dell’uomo nuovo della cultura nostra, latina, mediterranea, di matrice ellenistica. Lo possediamo e nel possederlo lo riduciamo. Non l’ho approfondito perché mi premeva che accanto alla figura di san Benedetto comparissero degli archetipi della nostra cultura, del nostro essere uomini europei, dei quali siamo molto più all’oscuro e mi riferivo ai monaci dell’evangelizzazione dei popoli nordici, mi riferisco soprattutto a Bonifacio e Agostino, senza i quali io non riesco a essere uomo europeo.
Benedetto è il mio 70 per cento perché è l’uomo in cui le mie radici latine, mediterranee, il mio esser figlio di Atene, di Sparta, e naturalmente di Gerusalemme e di Roma si inverano, però quel 30 per cento che mi manca è fatto da Bonifacio, Agostino di Canterbury, Cirillo e Metodio. Senza questo altro 30 per cento io riduco l’immagine dell’uomo europeo. Non riesco a concepire la mia umanità europea senza una complessività di archetipi».
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