
Com’è industriosa la mia vallata

Una delle cose che rimangono impresse, incontrando Mario Moro alla Bresaole Del Zoppo a Buglio in Monte, Sondrio, è una sorta di contrasto. Il contrasto tra la serenità senza tempo delle Alpi che circondano questo borgo della Valtellina, la verde tranquillità delle pendici ricoperte di boschi che è impossibile non ammirare dai finestroni del grande gazebo da esposizione riadattato per accogliere uffici amministrativi e direzione dell’azienda, la pace di questo paesino così vicino a Milano eppure così lontano dal caos della metropoli, e la sensazione di essere comunque, anche quassù, nel cuore vibrante della nostra economia. È l’effetto delle parole di questo giovane imprenditore 39enne che con le sue società porta avanti secolari tradizioni artigianali di queste terre “fuori dal mondo”, e intanto racconta delle sue attualissime battaglie a Bruxelles in difesa della bresaola, in veste di presidente del consorzio dei produttori Igp valtellinesi, o della quotidiana lotta per impedire che la burocrazia e una mentalità sempre più antiproduttiva soffochino la crescita della sua fabbrica di sci.
Se in Italia nascono sempre meno aziende manifatturiere (nel numero di Tempi di marzo lo abbiamo chiamato “inverno demografico industriale”), il problema, oltre a un deficit di speranza nel futuro, secondo Mario Moro è proprio «la mancanza sul territorio delle risorse necessarie ad avviare imprese nuove. E anche di idee. Manca la visione». E da queste valli la visione dev’essere in qualche modo facilitata, a chi ha occhi per vedere, perché in effetti di visione la famiglia Moro ne ha da vendere da generazioni.

La storia delle imprese dei Moro comincia a Chiavenna nell’Ottocento, racconta Mario, con un bisnonno, Carlo, che «è andato in America ed è tornato con il primo mulino ad acqua con cui ha iniziato a fare la pasta». Specialità pizzoccheri, ovvio. Era l’alba del celebre pastificio che porta il nome della dinastia e che adesso, dopo oltre un secolo e mezzo, e dopo essere passato nel tempo al nonno di Mario e poi al padre Franco e ai cugini (nel frattempo precorrendo con successo, tra l’altro, la moda del “senza glutine”), è ancora in attività, sebbene sotto altre insegne. «Mio bisnonno Lorenzo Scaramellini, invece, aveva avviato a Chiavenna e a Madesimo una piccola bottega di caramelle, che poi sotto la guida di mio papà e di mio zio è cresciuta tantissimo». Per intenderci: «Nei primi anni Novanta in Italia c’era la Perfetti, poi veniva la Scaramellini». Oggi l’azienda fa parte della Sperlari e si è trasferita altrove, ma Moro ricorda che «è stato mio padre all’epoca ad aprire la zona industriale di Gordona».
La sfida della materia prima
Chiaro che un ceppo simile non poteva starsene a lungo con le mani in mano. E così, accanto a un’incursione nel settore del trasporto aereo (Elitellina), ecco che papà Franco e suo fratello Lorenzo, zio di Mario e tecnologo alimentare, decidono di comprare la Del Zoppo «che allora – siamo nel 1992 – aveva già una lunghissima storia ma era poco più di una piccola macelleria». Se oggi la Del Zoppo è tra i primi produttori di bresaole della provincia di Sondrio e quindi del mondo, leader nella lavorazione di bresaola di qualità in vaschette (a marchio proprio o in private label) e per la vendita al banco taglio gastronomia, con quasi 200 dipendenti, due stabilimenti, otto linee di affettamento e oltre 4 mila tonnellate di bresaola prodotta ogni anno, è stato anche grazie al partner industriale ingaggiato nel 2000 dopo la scomparsa di Lorenzo: con l’aiuto dei Fratelli Beretta e la forza delle relazioni con la Gdo costruite da Franco negli anni alla guida della Scaramellini, «dal 2001 in poi c’è stata la vera e propria esplosione della Del Zoppo».

Una crescita quasi tumultuosa proseguita per anni in doppia cifra. Oggi però messa a repentaglio da quelle che Mario Moro, amministratore delegato dal 2020, definisce «oscillazioni folli del prezzo della materia prima». Il problema, spiega, è la disponibilità di carne di manzo di qualità, inadeguata a soddisfare una domanda che a livello mondiale continua a crescere velocissima. E il paradosso – per usare un termine benevolo – è che a fronte di questa opportunità «le politiche del Green Deal aggravano il problema demonizzando l’allevamento dei bovini in Europa. Una volta c’erano sovvenzioni anche per gli operatori di questo settore, adesso li spingono a chiudere con le tasse sulle emissioni». Il risultato è che, per colpa delle politiche europee, la carne bisogna andare a cercarla fuori dai confini d’Europa. Ma qui al danno si aggiunge la beffa, perché comprare carne extra Ue significa far fronte a «prezzi stellari per effetto dei dazi di importazione». La nuova Commissione di Bruxelles ha aperto all’ipotesi di tornare a incentivare gli allevamenti, concede Moro, «ma per ora è solo un’idea, prima che sia messa a terra chissà quanto tempo passerà. Mettici in più il tempo che ci vuole per allevare un bovino… Due, tre anni almeno».
Dal salume allo sport
Se a tutto questo si aggiunge la battaglia per la tutela dei salumi italiani da etichette fuorvianti come “bresaola vegana”, è chiaro che in questo pacifico angolo di paradiso l’impresa di Moro è tutt’altro che tranquilla. Anche perché non è mica l’unica. Dal 2012 infatti Mario Moro guida a Gordona – e rieccoci dalle parti di Chiavenna – quella che fu alla fondazione, nel 1906, la prima fabbrica di sci italiana. La Persenico-Spalding che contribuì all’ascesa della mitica “Valanga azzurra” aveva da poco chiuso i battenti quando, nel 1999, Luciano Panatti, l’allora responsabile tecnico dell’azienda liquidata e già allenatore della Nazionale di sci, convince l’amico Franco Moro a far “rifiorire” quella tradizione. Il primo paio di sci prodotto da Penz Srl con il marchio Blossom Skis (nome che evoca appunto la fioritura) esce dal laboratorio nel gennaio del 2000. Ma la vera svolta arriva nel 2012 quando la società passa totalmente in capo ai Moro, e tocca proprio a Mario, all’epoca giovane sciatore a livello agonistico e maestro di sci, prendere in mano le redini, o meglio le racchette, e lanciarsi in pista. «Producevamo circa 4 mila paia di sci per 1,2 milioni di euro di fatturato, eravamo in sette e c’era tutto da sistemare. Tutto vuol dire tutto: mi facevo personalmente anche sei-otto ore in furgone pur di avere il materiale in tempo per rispettare le consegne della stagione. Mi ci sono fatto le ossa». Decisamente, non è stata fatica sprecata: «Nel 2014 abbiamo iniziato a crescere e non ci siamo più fermati», racconta Moro. «Oggi facciamo 12 mila paia di sci, fatturiamo quasi 5 milioni e siamo 25».

La maggior parte degli sci realizzati dai Moro in Valchiavenna sono commercializzati da aziende di tutto il mondo (specialmente svizzere e tedesche) con marchi propri. La chiave del successo di Blossom è un prodotto di qualità “hand made” e la scelta di «offrire un servizio che nessun altro può permettersi con questi numeri, sia in termini di personalizzazione del prodotto ma anche di relazione e soluzione dei problemi».
Manodopera cercasi disperatamente
Blossom continua a investire ogni anno in macchinari e nuove tecnologie. Dopo la bresaola, un’altra eredità storica delle valli sondriesi, un’altra eccellenza di questo territorio rilanciata in ottica innovativa. Eppure proprio la crescita dell’impresa sta diventando l’ennesima sfida per Mario Moro. «La produzione aumenta del 10-15 per cento all’anno e l’incremento potrebbe essere anche maggiore. Invece – sembra incredibile – ci vediamo costretti a rifiutare ordini perché mancano le persone». Spiega il patron di Blossom che trovare dei giovani con la giusta manualità e propensione al lavoro «sta diventando drammatico». Perché si tratta di doti che si acquisiscono solo fino a un certo punto attraverso la formazione. È una penuria che Moro, che pure non ha ancora superato i 40, vede coi propri occhi aggravarsi un anno dopo l’altro, tanto da fargli sospettare che dietro ci sia proprio un problema generazionale.

In più, «oltre a sostenere la crescita, dobbiamo anche gestire i pensionamenti», continua l’imprenditore: «Sostituire oggi un addetto specializzato che lavorava per noi magari da 20 anni e più, può essere estenuante. Non tanto per le conoscenze da trasmettere, quanto per la “volatilità” delle nuove leve, che magari entrano in azienda, fanno dieci mesi e poi per i motivi più disparati se ne vanno». Vanificando un investimento.
Una fonte interessante di manodopera, per altro già formata, Moro l’ha trovata in Tunisia (ebbene sì, anche lì si producono sci). Peccato che per via dei meccanismi dei cosiddetti “decreti flussi” ci vogliano mesi, da sette a dodici, per riuscire a “importare” un lavoratore dall’estero. Intanto le stagioni passano e la pazienza pure. Fortuna che Blossom si basa su un modello di business che calza perfettamente a un’azienda di dimensioni artigiane. Ma più che fortuna, forse anche questa è visione.
* * *
Una versione di questo articolo è pubblicata nel numero di giugno 2025 di Tempi. Abbonati subito per sfogliare la versione digitale del mensile o accedere online ai singoli contenuti del numero.
0 commenti
Non ci sono ancora commenti.
I commenti sono aperti solo per gli utenti registrati. Abbonati subito per commentare!