Sudditi ma non troppo. Come cambia il Commonwealth dopo Elisabetta II
La morte di Elisabetta II contribuirà al declino della proiezione britannica nel mondo? È certamente presto per rispondere a questo interrogativo, ma sicuramente non si può indicare come segno di un degrado in corso il fatto che la dipartita della sovrana abbia riacceso le aspirazioni repubblicane di alcuni paesi che fino ad oggi hanno avuto come capo dello Stato il monarca britannico: non è affatto necessario riconoscere come vertice delle proprie istituzioni il re d’Inghilterra per fare parte del Commonwealth, nato come ambito di dialogo fra l’Impero Britannico e le sue colonie e dominion, poi evolutosi in associazione di stati “liberi e uguali” nel 1949.
E mentre Antigua e Barbuda e la Giamaica annunciano come imminente il distacco dal trono degli Windsor e il passaggio alla forma di governo repubblicana, paesi come Cuba e il Brasile, che nulla hanno a che fare con il mondo anglofono, dichiarano giornate ufficiali di lutto per la morte della regina.
Sempre meno fedeli al trono d’Inghilterra
Il numero dei paesi del cosiddetto Reame del Commonwealth, che riconosce come suo re o regina colui o colei che siede sul trono del Regno Unito, continua a diminuire anno dopo anno (attualmente sono 15, e oltre al Regno Unito comprendono Antigua e Barbuda, Australia, Bahamas, Belize, Canada, Giamaica, Grenada, Isole Salomone, Nuova Zelanda, Papua Nuova Guinea, Saint Kitts e Nevis, Saint Lucia, Saint Vincent e Grenadine e Tuvalu), ma il numero dei paesi membri del Commonwealth continua ad aumentare (l’anno scorso sono saliti a 56).
Il governo brasiliano ha decretato tre giorni di lutto nazionale fra l’8 e il 10 settembre, come pure il Bangladesh (fra il 9 e l’11 settembre), che è un paese del Commonwealth ma che è anche sempre stato sin dalla nascita (1971) una repubblica; Cuba, che non ha mai avuto rapporti con la corona britannica, ha dedicato a Elisabetta II una giornata di lutto nazionale il 9 settembre scorso, anticipando paesi del Commonwealth che hanno avuto la defunta per proprio capo di Stato come Australia e Nuova Zelanda, dove la giornata di commemorazione della sovrana si terrà rispettivamente il 22 e il 26 settembre.
Pakistan, Australia e Nuova Zelanda
Bandiere a mezz’asta per Elisabetta anche in Pakistan, che è una repubblica dal 1956, lunedì 12 settembre. I due stati dell’Oceania hanno intenzione di trasformarsi in repubbliche, ma senza fretta. Anthony Albanese, il primo ministro laburista australiano, ha nominato un assistant minister (in Italia sarebbe un sottosegretario) per la Repubblica nella persona del deputato Matthew James Thistlethwaite, già giovane protagonista della campagna referendaria del 1999 che si concluse con la sconfitta della proposta repubblicana nelle urne e la riconferma della monarchia, ma allo stesso tempo ha dichiarato che non si terrà nessun nuovo referendum per sostituire il re con un presidente, per lo meno non nel corso dell’attuale legislatura (la prossima comincia nel 2025).
Jacinda Ardern, primo ministro laburista neozelandese, ha spiegato che la Nuova Zelanda diventerà certamente un giorno una repubblica, ma che non sarà il suo governo a fare i passi necessari perché questo accada: «Ho espresso il mio punto di vista varie volte. Credo che la repubblica sia la destinazione a cui la Nuova Zelanda approderà nel corso del tempo. Penso che ciò accadrà nel corso della mia vita. Non la vedo come una misura da prendere nel breve periodo, o come qualcosa in agenda in un momento vicino nel tempo. Ci troviamo davanti a molte sfide. Quello sulla forma istituzionale è un grande e significativo dibattito. Non penso che debba svolgersi rapidamente». Nel maggio scorso si era espressa in modo simile: «Sono sempre stata chiara su questo argomento, pur essendo favorevole alla repubblica: non sono del parere che nel “qui ed ora” del mio mandato di governo sia una cosa per la quale i neozelandesi abbiano un forte interesse».
Crescono i paesi membri del Commonwealth
Di tutt’altro tenore le dichiarazioni del primo ministro di Antigua e Barbuda, paese grande come la provincia di Gorizia e popolato da meno di 100 mila abitanti: immediatamente dopo aver riconosciuto Carlo III come re di Antigua e Barbuda, il premier Gaston Browne ha annunciato che entro il 2025 si terrà un referendum per il passaggio alla forma repubblicana, alla quale lui è favorevole. «Si tratta di una materia che deve essere affidata al voto popolare in un referendum», ha detto parlando dell’assetto istituzionale del paese. «Questo non è un atto di ostilità, o un dissidio fra Antigua e Barbuda e la monarchia; è il passo finale per completare il cerchio dell’indipendenza e diventare una vera nazione sovrana. Non rappresenta nessuna forma di mancanza di rispetto verso il re». Anche la Giamaica ha annunciato un referendum per il passaggio alla forma repubblicana entro il 2025.
Aumenta il numero dei paesi che fanno parte del Commonwealth ma che non riconoscono più il re d’Inghilterra come proprio sovrano (l’ultimo di una lista di una ventina di paesi che comincia con l’India nel gennaio 1950 sono le Barbados, che il 30 novembre dell’anno scorso si sono trasformate in repubblica), ma aumenta anche il numero totale degli stati che fanno parte del Commonwealth: nel 1949 erano 8, oggi sono 56. Fra di essi ci sono anche paesi che non hanno mai fatto parte dell’Impero Britannico e dove l’inglese non è la lingua ufficiale. Si tratta di Gabon, Mozambico, Ruanda e Togo, l’ultimo arrivato nel giugno scorso.
Come è articolato il Commonwealth
Il Commonwealth è articolato in tre organizzazioni intergovernative: il Segretariato, che organizza gli incontri fra i paesi membri e che ha status di osservatore alle Nazioni Unite, la Commonwealth Foundation che sostiene progetti per la partecipazione delle persone alla democrazia e allo sviluppo e il Commonwealth of Learning, che promuove l’educazione e l’istruzione a distanza. I paesi membri possono inoltre valersi dei servizi di una rete di 80 organizzazioni intergovernative, civili, culturali e professionali con sede nei differenti paesi e specificamente accreditate dal Commonwealth in quanto nei loro statuti dichiarano di dedicarsi alle popolazioni e alle istituzioni degli stati che ne sono membri.
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