Cina, coronavirus: solo il Partito comunista può criticare se stesso

Di Leone Grotti
12 Febbraio 2020
Il regime ha fatto arrestare il giornalista Chen Qiushi e licenziare tre docenti universitari per aver criticato la pessima gestione della crisi
chen qiushi coronavirus

Dopo oltre 40 mila contagiati e mille morti per l’epidemia di coronavirus, in Cina non è cambiato niente. La morte del medico Li Wenliang, che tanto sdegno ha provocato tra i cinesi, non ha cambiato il comportamento del governo. Il Partito comunista continua a gestire l’emergenza come un problema di stabilità interna e non di salute pubblica. Così, nelle ultime settimane, si sono moltiplicati gli arresti di giornalisti e i licenziamenti di professori, colpevoli di aver criticato la gestione della crisi.

«OSPEDALI INADEGUATI»

Da una settimana non si hanno più notizie del giornalista e avvocato Chen Qiushi, che ha avuto l’ardire di recarsi a Wuhan, epicentro dell’epidemia di coronavirus, per vedere con i suoi occhi la gestione dell’emergenza. Chen ha visitato diversi ospedali della città, denunciandone le «condizioni terribili» e soprattutto è entrato in uno dei due costruiti in fretta e furia dal governo per fronteggiare la crisi. Per l’avvocato, si tratta di uno stabile «assolutamente inadeguato a ospitare pazienti malati e infetti. È chiaramente un ospedale militare da campo».

I filmati di Chen, pubblicati anche su Youtube, sono stati visti da centinaia di migliaia di persone e per questo è stato messo nel mirino del governo. Dal 4 febbraio si sono perse le sue tracce e l’8 febbraio, riporta Radio Free Asia, un funzionario della polizia ha comunicato alla famiglia che «Chen è stato rinchiuso in isolamento», senza rilasciare informazioni aggiuntive.

Già a fine gennaio Chen dichiarava in uno dei suoi video: «Davanti a me ho la minaccia del coronavirus, dietro di me ho il regime a darmi la caccia. Ma finché sono vivo continuerò a riportare quanto succede a Wuhan. Se non sono spaventato di morire, posso forse temere il Partito comunista?».

wuhan zhou xuanyi
Zhou Xuanyi e la denuncia dei suoi studenti

«VIETATO CRITICARE IL PARTITO»

Chen non è l’unica vittima dell’ossessione per la stabilità del regime cinese. Il professore di Filosofia presso la Wuhan University, Zhou Xuanyi, è stato denunciato dai suoi stessi studenti dopo aver scritto su Weibo un post nel quale criticava il governo per non aver agito tempestivamente di fronte alla minaccia dell’epidemia. Tra parentesi, il comitato permanente del politburo del Partito ha ammesso gli stessi errori in un comunicato.

Ma nessuno, al di fuori del Partito, può permettersi di criticare il Partito in Cina e così Zhou è stato denunciato per averlo «messo in discussione» e per «odio nei confronti della madrepatria». L’università ha dunque licenziato Zhou il 7 febbraio per aver «violato le linee guida sul comportamento professionale che gli insegnati devono tenere nella “nuova era”» di Xi Jinping.

ALTRI DUE PROFESSORI ARRESTATI

Allo stesso modo, è stata licenziata la docente residente a Hong Kong Zhou Peiyi per aver criticato su WeChat la gestione dell’epidemia. Per le medesime ragioni l’attivista ed ex docente universitario Guo Quan è stato arrestato dalla polizia a Nanjing.

La mancanza di trasparenza e l’assenza di libertà di espressione è costata la vita già a centinaia di persone in Cina. Non solo perché se il governo avesse ascoltato il dottor Li, avrebbe potuto intervenire con un mese d’anticipo. Ma anche perché il sindaco di Wuhan non è stato autorizzato dal governo centrale a prendere misure contro l’epidemia prima del 21 gennaio. Un ritardo fatale che ha aumentato la diffusione del virus e l’ennesima dimostrazione che l’immagine (anche internazionale) del Partito comunista è più importante agli occhi dei leader della salute della popolazione.

@LeoneGrotti

Articoli correlati

0 commenti

Non ci sono ancora commenti.