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Oltre la macchietta trumpiana. Chi è Kast, probabile prossimo presidente del Cile

Avvocato, cattolico, con nove figli, il candidato repubblicano è favorito al ballottaggio. Nazionalista e pro mercato, è stato raccontato come un impresentabile o un eroe. Un ritratto

Paolo Manzo
23/11/2021 - 6:17
Esteri
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Antonio Cast, candidato repubblicano alla presidenza del Cile, festeggia il risultato del primo turno (foto Ansa)

Avvocato, cattolico, 9 figli, il 55enne José Antonio Kast del Partito Repubblicano ha ottenuto il primo posto alle presidenziali di domenica 21 novembre in Cile con il 27,91 per cento dei suffragi, davanti al 35enne ex leader studentesco Gabriel Boric, fermo al 25,83 e alleato con il Partito Comunista.

Kast è il favorito al ballottaggio

Di Kast in Italia si è scritto molto (a sproposito), riducendolo a macchietta neofascista, definendolo come un semplice candidato dell’ultra destra caduto dal cielo, paragonandolo al presidente brasiliano Jair Bolsonaro, da cui lo divide un QI assai più elevato, e descrivendolo come un “supporter” di Augusto Pinochet, di cui il fratello fu ministro. Certo, dell’ex dittatore defunto ha più volte in passato elogiato l’eredità economica lasciata in eredità, così come è vero che suo padre, un militare emigrato in Cile dopo la Seconda Guerra mondiale, era un nazista, come del resto tutti i militari tedeschi di quell’epoca. Peccato solo che Kast non abbia nulla di “estremo”.

Per rendersene conto basta ascoltarlo quando parla in modo disarmante e sottovoce, anche se nei contenuti poi promette un approccio duro contro la criminalità ed è a favore di un ruolo ridotto dello Stato nella vita delle persone. «Lavoreremo per ripristinare la pace, l’ordine, il progresso e la nostra libertà», ha detto non appena sono stati ufficializzati i risultati del voto di domenica scorsa, e adesso è lui il favorito per vincere il ballottaggio del prossimo 19 dicembre.

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Nazionalista e pro mercato

Kast ha vinto perché ha girato il Cile in lungo e in largo come nessun altro candidato, più di tre o quattro volte, a differenza di Boric che invece è stato bloccato dal Covid-19 in piena campagna elettorale. L’elettore tipo di Kast è una persona dal profilo molto chiaro: nazionalista, conservatore, uomo/donna della strada, che crede nel suo lavoro e non nel ruolo dello Stato come regolatore della vita dei cittadini. I suoi riferimenti internazionali vanno da Donald Trump a Marine Le Pen e tocca continuamente i tasti che mettono in discussione l’immigrazione, l’ordine pubblico e la sicurezza dei cittadini. Il suo elettore è eterogeneo: integra settori popolari che amano l’ordine e un settore agiato, molto cattolico, contrario al cambiamento della Costituzione.

«Vedo che alcuni pensano che tutto rimarrà uguale, che potremo continuare a spendere risorse che non abbiamo, che potremo continuare a prendere in prestito. Questo potrà durare un paio d’anni, ma se si continua con la stessa politica di aumentare le tasse, limitare il commercio estero e nazionalizzare tutte le risorse naturali, finirà male. Chiaramente, il Cile sta attraversando un processo di deterioramento economico molto elevato», ammonisce spesso Kast, che ha già annunciato che ridurrà le tasse sulle società del 17 per cento se verrà eletto. «I cileni il prossimo 19 dicembre sceglieranno tra un futuro di crescita e il comunismo», ha detto ieri ma, di certo, in vista del ballottaggio, ha molti margini di crescita. Per rendersene conto basta fare due calcoli sulle percentuali di chi è arrivato, al primo turno, alle spalle di Kast e Boric.

Per chi votano gli altri

Terzo, con il 12,8 per cento dei suffragi è infatti l’economista di origine italiana Franco Parisi, un populista di destra che non ha fatto campagna in Cile ma che ha mobilitato i suoi elettori solo attraverso Internet e social network, evitando di tornare in patria per paura di essere arrestato a causa del mancato pagamento degli alimenti a figli. È quasi certo che Parisi darà il suo appoggio a Kast di qui a poco meno di un mese e, anche se così non fosse, i suoi elettori al ballottaggio di certo non voteranno mai per l’ex comunista Boric. Stesso discorso per il quarto del primo turno dell’altroieri, ovvero l’avvocato Sebastián Sichel, il candidato del partito Vamos Chile del presidente uscente Sebastián Piñera, di centrodestra, che ha ottenuto il 12,79 per cento dei voti e ha già detto che non darà mai l’appoggio alla sinistra radicale di Boric. Idem i suoi elettori. Già così, sommati i voti di Parisi e Sichel, se Kast confermerà la sua performance il prossimo 19 di dicembre, sarà lui a guidare il Cile sino al 2026.

Di certo, il più grande naufragio elettorale è stato quello delle coalizioni del centro che avevano governato gli ultimi 30 anni nel paese andino, venti per mano della Concertación – l’alleanza della democrazia cristiana con i socialisti – e altri dieci con il centrodestra di Piñera. Appena quinta Yasna Provoste, della coalizione social-cristiana, con l’11,61 per cento, seguita da Marco Enríquez Ominami, un socialdemocratico indipendente, che ha raggiunto il 7,61 per cento dei voti e dal professore maoista Eduardo Artés, che ha raccolto appena l’1,47 per cento dei suffragi. Tutti voti, questi, che al ballottaggio andranno quasi certamente a Boric ma, numeri alla mano, che non dovrebbero mettere in pericolo la vittoria di Kast.

Tags: cileDonald Trumpjair bolsonaroSudamerica
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