La Chiesa queer vuole abolire il peccato a scopo commerciale

Di Rodolfo Casadei
27 Gennaio 2022
Perché laicisti, liberal, araldi del post-umano e una quota crescente di ecclesiastici e di battezzati chiedono al cattolicesimo di auto-demolirsi
Un frame del documentario sul coming out di 125 membri della Chiesa tedesca, uscito il 24 gennaio
Un frame del documentario sul coming out di 125 membri della Chiesa tedesca, uscito il 24 gennaio

La manovra a tenaglia è palese: il 20 gennaio i media danno notizia che il Rapporto indipendente sulla pedofilia nel clero dell’arcidiocesi di Monaco e Frisinga punta il dito contro il papa emerito Benedetto XVI accusandolo di negligenza per quattro casi (ci vorrà qualche giorno per scoprire che anche il suo successore card. Reinhard Marx è sotto accusa); il 24 gennaio gli stessi media raccontano che in un documentario trasmesso dalla tivù pubblica tedesca Adf ben 125 sacerdoti, ex sacerdoti e operatori pastorali vari hanno fatto il più grande coming out ecclesiastico della storia, dichiarandosi gay o queer. Fra le loro richieste all’istituzione ecclesiastica c’è quella di modificare la dottrina sulla sessualità umana sulla base delle nuove «scoperte teologiche e umano-scientifiche».

La predica di Lerner e la pedofilia fuori dalla Chiesa

Il quadro è chiaro: l’establishment politico-economico tedesco e i suoi prolungamenti organici all’interno della Chiesa hanno deciso che il cattolicesimo ha bisogno di cambiamenti rivoluzionari per diventare funzionale alla società ultratecnologica del XXI secolo, e per realizzarli ha bisogno di delegittimare le autorità ecclesiastiche passate e presenti.

Alla Chiesa cattolica non viene riconosciuto alcun merito per aver avviato un’opera di trasparenza e di giustizia, di ammissione di colpa e di risarcimento morale delle vittime, che non ha finora trovato imitatori nelle altre istituzioni: pedofilia e abusi sessuali sono moneta corrente nelle caserme e nell’ambiente sportivo, in scuole, orfanotrofi e carceri minorili. In nessuna di queste istituzioni sono state prese iniziative nemmeno lontanamente paragonabili a quelle attivate dalla Chiesa, ma nessuna campagna d’opinione orchestrata dai media, privati o di Stato, è venuta ad agitare le acque.

Invece alla Chiesa si chiede di completare la propria autodenuncia col suicidio, ammantato da rifondazione. Ha scritto Gad Lerner sul Fatto Quotidiano del 22 gennaio: «Di fronte alle dimensioni gigantesche che sta rivelando, sulle due sponde dell’Atlantico, la pratica degli abusi sessuali nella Chiesa, gli argini sono crollati. E appare evidente che tali pratiche di sopraffazione hanno a che fare con la stessa natura gerarchica e patriarcale che differenzia la Chiesa cattolica, e in particolare il suo vincolo di sacerdozio celibatario, (…) Sia Bergoglio sia Ratzinger sanno che la Chiesa uscirà completamente trasformata da questo cataclisma. Cambierà la dottrina e cambieranno le regole del diritto canonico». Per capire che si tratta di carità pelosa basta cercare le parole rivelatrici dentro allo stesso articolo: «Che la catastrofe si compia», «Che crollino le pareti, anche i muri maestri della Chiesa», «azione demolitrice», «disgregazione», «gli argini sono crollati».

Queer per piacere al mercato

Perché laicisti, liberal, araldi del post-umano e una quota crescente di ecclesiastici e di battezzati (vedi i movimenti di protesta tedeschi) chiedono alla Chiesa di auto-demolirsi? Basta dare un’occhiata all’elenco delle riforme che secondo loro adeguerebbero la Chiesa alla società e alla scienza odierne e avrebbero evitato, se adottate già al tempo del Concilio Vaticano II, fenomeni come quelli della pedofilia e dell’efebofilia: abolizione del celibato dei sacerdoti, sacerdozio femminile, benedizione delle coppie omosessuali, liceità dei rapporti omosessuali e del sesso prematrimoniale fra uomo e donna, liceità della contraccezione artificiale, ammorbidimento delle posizioni su aborto ed eutanasia.

C’è una logica commerciale sottostante a queste richieste: appaiono tutte funzionali ad ampliare l’offerta del prodotto cristianesimo e ad allargare il mercato dei potenziali acquirenti. Una logica che, applicata alla fede cristiana, ha già mostrato di avere effetti opposti a quelli che ci si prefiggeva: le confessioni protestanti che hanno modificato la propria dottrina e il proprio diritto canonico nella direzione progressista si stanno disintegrando molto più rapidamente della “conservatrice” (fra mille virgolette) Chiesa cattolica.

La vecchia pretesa di abolire il peccato

Ma c’è un’idea ancora più grave dentro al programma rifondatore: è l’idea di abolire il peccato piuttosto che di combatterlo e di perdonarlo contemporaneamente. I rifondatori non predicano, in continuità con una tradizione pastorale che viene direttamente dal Vangelo («Non sono i sani che hanno bisogno del medico, ma i malati; non sono venuto per chiamare i giusti, ma i peccatori» Mc 2, 17), la misericordia verso i peccatori, ma l’abrogazione di tale condizione: i peccatori non sono più peccatori.

L’idealizzazione della sessualità umana, la sua trasfigurazione fiabesca in un giardino di delizie e di affetti senza ombre, dove perversioni, nevrosi, conflitti e pene d’amore sparirebbero una volta eliminate le ultime vestigia di società patriarcale che stanno annidate nella Chiesa, apparirebbe ridicola (più ridicola dell’idealizzazione del libero amore nelle comuni hippy degli anni Sessanta e Settanta) se non implicasse una tragica dimenticanza: la dimenticanza della realtà del peccato originale. 

Oggi nessuno vuole essere un peccatore

Come al solito i progressisti cattolici arrivano buoni ultimi: l’abolizione del peccato, la negazione della presenza nell’uomo di un’inclinazione fatale al male conseguenza del peccato originale, è già stata perseguita da tutte le ideologie moderne degli ultimi duecento anni. Per Rousseau e per Marx l’uomo non è cattivo, sono la società e le strutture dell’economia politica a renderlo tale: basterà cambiare le strutture per non sentire più parlare di peccato; per Nietzsche e per il nazionalsocialismo il peccato è un’invenzione del cristianesimo, religione dei deboli e dei vigliacchi, volta a reprimere gli istinti dominatori dei forti, che coincidono con le uniche autentiche virtù. Per gli atei scientisti contemporanei alla Richard Dawkins il peccato non esiste perché non esiste il libero arbitrio.

Nella società dell’immagine e della pervasività dei social media il rigetto del concetto di peccato ha assunto nuove valenze psico-sociali: nessuno vuole essere considerato un peccatore, perché questo pregiudica il riconoscimento sociale, danneggia la propria immagine, riduce le chances di successo in un contesto altamente competitivo.

Il mondo permette ma non perdona

Tuttavia la pretesa di cancellare interi capitoli di teologia morale non approderà a un più grande senso di libertà e a relazioni umane prive di sensi di colpa. I peccati non potranno mai essere tutti aboliti, ci saranno sempre comportamenti che la cultura dominante considererà colpevoli, e la colpevolezza sarà tanto più insostenibile quanto più il tradizionale approccio misericordioso della Chiesa cattolica sarà stato sostituito da uno spietato approccio neopuritano.

Le derive del movimento #MeToo, che condannano alla marginalità sociale allo stesso modo sia chi ha compiuto violenze sessuali vere e proprie che chi ha pronunciato parole sconvenienti o compiuto molestie prive di violenza, sono lì a dimostrare la verità di un motto attribuito a G.K. Chesterton: la Chiesa cattolica permette poche cose ma perdona tutto; il mondo permette tutto ma non perdona nulla.

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