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«Solo la Chiesa e l'Ungheria aiutano i cristiani dell’Iraq e della Siria»

Il patriarca di Baghdad Louis Raphael Sako ci racconta la situazione in Iraq. «I cristiani non devono lamentarsi e piangere, ma essere uniti fra loro»

Rodolfo Casadei
13/02/2018 - 1:00
Esteri
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I 19 vescovi caldei di tutto il mondo, guidati dal loro patriarca Louis Raphael Sako, hanno incontrato papa Francesco in visita ad limina il 5 febbraio scorso, subito dopo che il pontefice aveva dato udienza al presidente turco Recep Tayyip Erdogan. La curiosa coincidenza sembra non avere turbato gli animi. Come ha detto Sako a Vatican News: «Siamo colpiti dalla preoccupazione del Papa per la situazione in questa parte del mondo. È a conoscenza della situazione in Turchia ma anche di quella in Iraq, Iran e Siria. Come cristiani, abbiamo sentito in maniera molto forte la sua vicinanza. Ci ha anche detto, qualora avessimo una qualche iniziativa o proposta da presentare, di venire a comunicargliela, e che sono pronti a fare tutto ciò che è possibile per noi». Due giorni dopo il patriarca ha partecipato alla conferenza stampa con cui Aiuto alla Chiesa che soffre ha presentato la sua iniziativa prevista per il 24 febbraio per sensibilizzare l’opinione pubblica mondiale sul dramma dei cristiani mediorientali vittime della guerra e della persecuzione: sarà illuminato con fasci di luce rossa il Colosseo, simbolo del sangue dei martiri. In contemporanea la stessa cosa sarà fatta con la cattedrale maronita di Sant’Elia ad Aleppo e con la chiesa di San Paolo a Mosul, nella quale il 24 dicembre scorso è stata celebrata la prima Messa dopo la liberazione dell’Isis. Ha trovato anche il tempo di un’intervista con noi sui più recenti sviluppi della situazione che vivono i cristiani in Iraq.
Patriarca Sako, si rincorrono voci e notizie contrastanti sulla situazione nella piana di Ninive: secondo alcuni sarebbe in corso un’occupazione di proprietà di cristiani da parte di gruppi che arrivano da altre regioni del paese. Cosa c’è di vero? Cosa si sta facendo per riportare i cristiani e gli yazidi nelle loro località della piana di Ninive occupate e devastate dall’Isis?
Prima di tutto i cristiani non devono lamentarsi e piangere, ma essere uniti fra loro per potere dialogare con gli altri. Prima di tutto devono essere loro a non vendere le case che gli appartengono: devono tornare e ricostruire i rapporti di fiducia con la gente dei villaggi vicini, compresi quelli di religione shabak (una minoranza presente nella piana di Ninive, affine all’islam sciita – ndr). Bisogna ristabilire la convivenza, senza perdere tempo a gridare che si sta compiendo un cambiamento della composizione demografica della popolazione della piana di Ninive. Non c’è nessun piano ufficiale per modificare la demografia della regione. Però ci sono due problemi: le condizioni di sicurezza, che non sono ancora perfette, e il fatto che oggi il controllo militare della piana di Ninive è parcellizzato. Ci sono zone sotto il controllo delle forze armate del governo centrale, altre sotto il controllo dei peshmerga curdi; a seconda del villaggio, si trovano forze dell’esercito, peshmerga, forze di mobilitazione popolare, milizie cristiane. Se succede qualcosa di grave, i cristiani devono creare delegazioni unitarie e andare a negoziare coi curdi o con il governo centrale, a seconda della zona. Fare chiasso sui media non giova a nulla. I cristiani hanno il diritto di difendere le proprie case e proprietà da tentativi di sottrazione, ma devono loro per primi averne cura: ci sono casi di cristiani che in segreto vendono le loro proprietà a gente di fuori.
Nel prossimo mese di maggio si svolgeranno elezioni politiche generali in Iraq. Cosa auspica la Chiesa in vista di queste elezioni? Cosa chiede ai cristiani e a tutti gli iracheni? Possono queste elezioni essere un’occasione per progressi politici veri?
Abbiamo rilasciato una dichiarazione nella quale auspichiamo che gli iracheni si rechino numerosi alle urne e votino per persone all’altezza della responsabilità politica. Cioè persone oneste favorevoli al cambiamento, indipendenti, contrarie allo scontro settario, che non diano la precedenza agli interessi confessionali, etnici, partitici o ai loro interessi personali. Ma che mettano al primo posto i diritti di cittadinanza e l’interesse nazionale. Ci sarà certamente un grande ricambio, perché 72 degli attuali deputati non possono ripresentarsi per varie ragioni. Per quanto riguarda i cristiani, li abbiamo invitati a presentare una sola lista e a tentare anche singole candidature in altri partiti. Per legge i cristiani hanno diritto a 5 rappresentanti nel parlamento, ma possono essere di più se riescono a farsi eleggere presentandosi in liste diverse da quelle dei partiti che si presentano come cristiani. Attualmente non c’è unità politica fra noi: c’è una coalizione caldea, due coalizioni assire, un partito filo-curdo che è il Consiglio popolare cristiano di Erbil e una coalizione siriaca. Sto per tornare in Iraq, e lì vedremo cosa si può fare per riunificare le forze o per arrivare a un compromesso.
Che valutazione dà della cooperazione internazionale per il restauro e la rinascita della piana di Ninive? Chi sta facendo bene e chi si sta impegnando troppo poco?
La Chiesa universale ha aiutato molto, e il cardinale segretario di Stato Pietro Parolin ci ha assicurato di avere rivolto appelli a tutte le conferenze episcopali occidentali perché aiutino i cristiani dell’Iraq e della Siria, e infatti molti ci hanno soccorso. Ma per quanto riguarda i governi, solo l’Ungheria, che non è un paese ricco, ci ha aiutati. Se ogni paese occidentale desse 1 milione o 2 di euro, potremmo restaurare tutto: le case e le scuole bruciate verrebbero ricostruite e la gente tornerebbe. Questa storica presenza cristiana ha un senso, ha una missione: aiutare la maggioranza musulmana ad aprirsi, a promuovere la pace, a riconoscere i diritti di cittadinanza, ad apprezzare la stabilità e la coesistenza nell’armonia.
Dai giorni della riconquista militare della piana di Ninive nell’ottobre 2016 il numero dei cristiani in Iraq è aumentato o diminuito? È continuato l’esodo o avete registrato rientri?
L’esodo continua perché le famiglie sono divise e vogliono riunirsi. È diminuito di intensità, ma prosegue. C’è qualche caso di famiglia che è rientrata, soprattutto a Baghdad dove le condizioni di sicurezza sono migliorate. Ora tutto dipende dalla stabilità nella piana di Ninive e dalla ripresa dell’economia, cioè dalla possibilità di trovare lavoro. Se riusciamo in questo, le famiglie che si sono trasferite in Turchia, in Giordania e in Libano potrebbero rientrare e recuperare le loro case e proprietà.
Comincia la Quaresima, che è un tempo forte per fare attenzione ai fratelli e alle sorelle che si trovano nel bisogno e nella difficoltà. Ovunque in Iraq, in Siria, in Egitto i cristiani hanno perso molto o tutto a motivo della loro fede, e questo è il tempo opportuno per aiutarli e infondere in loro la speranza di un futuro migliore. Tanti lo stanno già facendo: tanta gente comune manda i suoi risparmi personali, e questa cosa mi commuove. Ricevo donazioni di 100, 500 euro da privati di tutto il mondo, e so quanto sono preziose, perché sono come l’elemosina della vedova al tesoro del tempio. Le uso tutte per assistere il rientro delle famiglie negli insediamenti della piana di Ninive: delle 20 mila famiglie costrette a fuggire nell’estate del 2014, 7 mila finora sono tornate. Purtroppo a Telkeff sono rientrate solo 20 famiglie, e a Batnaya nessuna, perché l’80 per cento delle abitazioni sono distrutte e il controllo della località è conteso fra le forze armate governative e i peshmerga. Noi avevamo restaurato 50 case, ma poi sono cominciate le tensioni fra governativi e curdi. Dobbiamo trovare il modo di tenere unita la piana di Ninive.

@RodolfoCasadei


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Tags: Cristiani PerseguitatiIraqlouis raphael sakoPapa FrancescoPiana di NiniveSiria
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