Chi regala il vaccino trova un tesoro

Di Rodolfo Casadei
17 Marzo 2021
I concorrenti dell’Occidente ora hanno un ottimo modo per sfilare al nemico l’egemonia globale: inondare i paesi poveri di dosi di siero contro il coronavirus. A costo di perderci soldi e di lasciare i propri cittadini a bocca asciutta. Dopo tutto, essere “buoni” paga sempre
Carico di Coronavac, vaccino anti Covid cinese, all'aeroporto di San Paolo, Brasile

Cina, Russia, India, Emirati Arabi Uniti: i paesi che sembrano avere meglio accolto l’appello di papa Francesco «ai responsabili politici e al settore privato affinché adottino le misure adeguate a garantire l’accesso ai vaccini contro il Covid-19 e alle tecnologie essenziali necessarie per assistere i malati e tutti coloro che sono più poveri e più fragili» non sono, come ci si aspetterebbe, quelli di tradizione cattolica e protestante europei e nordamericani. 

Questi ultimi, afflitti da problemi di penuria e di organizzazione, sono concentrati nel disperato sforzo di recuperare il ritardo nella campagna di vaccinazione delle loro popolazioni: alla fine di febbraio l’Unione Europea aveva vaccinato appena il 6 per cento dei residenti, contro l’81 per cento di Israele, il 57 per cento degli Emirati Arabi, il 14 per cento della Serbia. Invece cinesi, russi, indiani ed emiratini riversano milioni di dosi dei loro vaccini anti-Covid nei paesi africani, asiatici e latinoamericani, spesso gratuitamente o combinando forniture a pagamento e doni. Mentre gli europei più che promettere di finanziare Covax, il programma di vaccinazioni dell’Oms per i paesi poveri, non riescono a fare. 

Siamo dunque davanti ai prodromi di una grande rivoluzione spirituale, di cui sarebbero araldi alcuni paesi emergenti? Decisamente no. Quelle a cui stiamo assistendo sono piuttosto intelligenti azioni di politica estera da parte di cinesi, russi, indiani ed emiratini all’insegna della “diplomazia dei vaccini”, azioni che mirano a ridisegnare alleanze e a modificare o rafforzare sfere di influenza geopolitica. Non la filantropia o la devozione al Papa, ma la volontà di potenza e gli imperativi geopolitici spingono alcuni paesi emergenti a dare la priorità all’esportazione dei vaccini in loro possesso rispetto alla vaccinazione della propria popolazione. Per comprenderlo è sufficiente passare in rassegna le iniziative dei suddetti attori.

Mappa dei vaccini anti Covid distribuiti nel mondo da Russia e Cina
Mappa dei vaccini anti Covid distribuiti nel mondo da Cina e Russia (clicca per ingrandire)

La Cina ha studiato la sua offensiva diplomatica centrata sul vaccino sin dai giorni in cui l’epidemia si è manifestata sul suo territorio. A tutti i summit regionali di promozione della Belt and Road Initiative (Nuova via della seta) che si sono tenuti da remoto durante l’estate 2020, la Cina ha introdotto il tema della lotta al Covid nell’ordine del giorno. Il primo è stato il summit Cina-Africa per la solidarietà contro il Covid-19 del mese di giugno, dove Pechino ha promesso una corsia preferenziale per le forniture dei vaccini insieme a cancellazioni di debito e relazioni economiche rafforzate. Un mese dopo un discorso simile è stato tenuto in occasione del vertice fra Cina e paesi della Lega araba. Sempre in luglio Pechino ha promesso 1 miliardo di dollari ai paesi dell’America latina e dei Caraibi per l’acquisto dei vaccini. Stesso discorso è stato rivolto dalla Cina al Forum delle isole del Pacifico. 

I nuovi conquistadores

Alla fine di agosto il presidente Xi Jinping si è dedicato a un giro di telefonate con capi di Stato di molti paesi, cominciando con Mohamed VI re del Marocco, per fare pubblicità ai vaccini che la Cina stava preparando, assicurando che sarebbero stati «un bene pubblico globale».

All’inizio di quest’anno Wang Yi, ministro degli Esteri cinese, ha compiuto un tour di nove paesi dell’Africa e del Sud-Est asiatico offrendo vaccini e investimenti. Allo Zimbabwe, paese in grandi difficoltà economiche nel quale la Cina ha ripreso a investire, sono state donate 200 mila dosi di Sinovac, uno dei due vaccini di produzione cinese già pronti. Alle Filippine che hanno ordinato 25 milioni di dosi di Sinovac i cinesi hanno aggiunto in omaggio altre 500 mila dosi. 

In tutto 13 paesi sono stati destinatari di spedizioni gratuite, fra essi nazioni poverissime come Cambogia, Nepal e Sierra Leone; alla lista Pechino dichiara di volere aggiungere altri 38 nomi. Inoltre quantitativi importanti sono stati destinati ad alleati strategici come il Pakistan (che riceverà 22 milioni di dosi) o a importanti partner commerciali come la Turchia (50 milioni di dosi). La Serbia è diventata il primo paese dell’Europa continentale per percentuale di popolazione vaccinata contro il Covid grazie anche all’acquisto di 1,5 milioni di dosi dell’altro vaccino cinese, il Sinopharm, quantitativo superiore a quelli relativi ai vaccini Pfizer, AstraZeneca e al russo Sputnik V che pure Belgrado ha acquistato. Anche l’Ungheria ha approvato il vaccino cinese e ne ha ordinato un quantitativo. 

Ma è in America latina che i cinesi sono salutati come i salvatori della salute pubblica: in Cile e in Colombia a celebrare l’arrivo delle prime dosi di vaccino cinese per via aerea sono stati i capi di Stato in persona; il Messico ha approvato il Sinovac con procedura d’urgenza per poter ricevere le prime dosi lo stesso giorno che arrivavano in Colombia, il 20 febbraio. E che Pechino abbia mire strategiche sul cortile di casa degli Stati Uniti lo si capisce dal fatto che non si è limitata a fornire i propri vaccini, ma ha stretto accordi per testare in loco i suoi vaccini nella fase sperimentale, svilupparli e produrli localmente. Per la precisione, le sperimentazioni di fase III di 5 vaccini cinesi si sono svolte o si stanno ancora svolgendo in 18 paesi dell’America latina, del Sud-Est asiatico e del mondo arabo. In Brasile in particolare è stato coinvolto l’Instituto Butantan di San Paolo, il più grande produttore di biofarmaci dell’America latina. Qui però la strategia cinese ha conosciuto una battuta di arresto: i test hanno dimostrato che l’efficacia del Sinovac è solo del 50,4 per cento. Questo spiega, secondo i detrattori, perché la Cina preferisca esportare i suoi vaccini anziché usarli per immunizzare la sua popolazione, e perché il cinese medio preferisca aspettare l’arrivo in Cina di Pfizer e AstraZeneca anziché utilizzare i ritrovati locali…

Quelli che porgono il braccio a Putin

Altro paese che preferisce esportare le sue dosi di vaccino anziché immunizzare i suoi cittadini è la Russia: col 2,7 per cento appena di popolazione locale vaccinata, Mosca preferisce fare incetta di ordini dall’estero, che secondo le autorità ammonterebbero già a 1,2 miliardi di dosi (dato probabilmente esagerato) da parte dei 26 paesi (dato confermato) dove Sputnik V è stato approvato con procedure speciali. Fra essi mancano quelli dell’Unione Europea, dal momento che l’Ema (l’ente farmaceutico dell’Unione) afferma di non poter procedere nell’approvazione del vaccino russo per mancanza di documentazione. Fino ad oggi solo l’Ungheria e San Marino (che non appartiene all’Unione Europea ma intrattiene un rapporto di unione doganale con la stessa) hanno autonomamente deciso di acquistare dosi del vaccino russo. Nel caso ungherese è evidente la volontà del premier Viktor Orbán di mettere con questa mossa in difficoltà Bruxelles, dove molti vorrebbero imporre sanzioni al suo paese per presunte violazioni dello Stato di diritto. La stessa strategia di alzare il prezzo dell’allineamento politico del proprio paese con l’Occidente si nota nei casi del Messico di Andrés Manuel López Obrador e della Serbia di Aleksandar Vučić: entrambi hanno acquistato dosi di Sputnik V per la buona ragione che le forniture di vaccini occidentali erano interrotte, ma anche come forma di ricatto geopolitico nei confronti rispettivamente di Stati Uniti e Unione Europea. 

Per parte sua, la Russia punta, come la Cina, a creare difficoltà a Washington nel suo cortile di casa strappando autorizzazioni a molti paesi dell’America latina. C’è già riuscita non solo in Messico, ma in Argentina, Bolivia, Nicaragua, Paraguay e Venezuela. E punta sull’Africa, dove parte in svantaggio rispetto alla Cina ma dove sta riguadagnando terreno: l’ente specializzato dell’Unione Africana ha deliberato l’acquisto di 500 milioni di dosi di Sputnik V e l’Algeria ha concluso un accordo con la Russia per produrre localmente su licenza il vaccino russo. Il discorso propagandistico di Mosca, secondo il quale il suo vaccino è sicuro ed efficace al 91 per cento come comprovato da uno studio apparso su Lancet e l’autorizzazione dell’Ema non arriva per motivi meramente politici, fa presa sugli interlocutori.

I piani di India e Emirati

Un’altra potenza in ascesa impegnata nella diplomazia dei vaccini è l’India di Narendra Modi. L’India è il più grande produttore al mondo di vaccini, in parte su licenza di multinazionali farmaceutiche occidentali e cinesi e in parte locali. Un miliardo di dosi del vaccino AstraZeneca sono in corso di produzione presso il Serum Institute di Pune, proprietà del miliardario indiano Adar Poonawalla, destinate a paesi a basso e medio reddito. In termini geopolitici, la diplomazia dei vaccini indiana è anticinese: ha per obiettivo di contrastare la crescente influenza di Pechino sui paesi asiatici vicini dell’India. Il successo più spettacolare l’ha ottenuto col Bangladesh, che aveva già firmato contratti per usufruire del cinese Sinovac ma poi ha cambiato idea e ha accettato l’offerta indiana e ha ricevuto milioni di dosi attraverso il Serum Institute. Con meno dell’1 per cento della sua popolazione vaccinata, l’India ha inviato milioni di dosi di AstraZeneca praticamente gratis in Nepal, Bangladesh, Myanmar, Maldive, Sri Lanka, Seychelles e Afghanistan. Senza dimenticare di contribuire al Covax dell’Oms con 200 milioni di dosi donate dal Serum Institute, mentre la Cina nel momento in cui scriviamo è ferma a 10 milioni di dosi donate all’ente multilaterale.

Per finire, se si considerano tutti i parametri, il paese con la migliore performance in materia di vaccini anti-Covid sono gli Emirati Arabi. Gli Emirati hanno già vaccinato il 58 per cento della popolazione residente (circa 9 milioni, costituiti per quasi il 90 per cento da immigrati), hanno autorizzato sul proprio territorio l’uso di quattro diversi vaccini stranieri (Sinopharm, Pfizer, Sputnik e AstraZeneca), hanno stretto accordi per produrre in loco alcuni di essi, e hanno intrapreso una politica di donazioni a paesi strategicamente o commercialmente importanti per i loro interessi. Seychelles ed Egitto hanno ricevuto ciascuno 50 mila dosi di vaccino Sinopharm dono degli Emirati. Non è andata bene invece l’operazione che aveva per obiettivo la Malaysia, paese con cui l’emiro Khalifa bin Zayed al Nahyan vorrebbe promuovere maggiori scambi finanziari e commerciali: ricevuta da Abu Dhabi l’offerta di 500 mila dosi gratuite di Sinopharm, il governo malese ha ringraziato precisando che prima di accettare era necessario che l’ente di controllo locale desse la sua approvazione. Quando questa è arrivata, la Malaysia aveva già deciso di acquistare altri vaccini, quelli di Pfizer, AstraZeneca e Sinovac, l’altro vaccino cinese già presente sul mercato.

I paesi occidentali cercano di recuperare terreno: gli Stati Uniti hanno stabilito di versare 2 miliardi di dollari al fondo Covax, l’Unione Europea 2 miliardi di euro (di cui in realtà 1,5 sono propriamente tedeschi). All’ultima riunione del G7 Emmanuel Macron ha proposto di inviare in Africa il 5 per cento delle dosi di vaccini europei ed americani attualmente disponibili. Rimontare cinesi e russi in Africa non sarà facile.

@RodolfoCasadei

Foto Ansa

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