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Chi non muore nemmeno vive

Secondo Risé il destino dell’Occidente non è il trionfo della tecnica e delle sue astrazioni. «Noi siamo natura. Solo il selvaggio si salva»

Riccardo Paradisi
24/07/2017 - 1:00
Cultura
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modernità

Articolo tratto dal numero di Tempi in edicola (vai alla pagina degli abbonamenti) – Vita selvatica, un libro-dialogo tra Claudio Risé e Francesco Borgonovo, esce in sincronia con l’estate, stagione evocatrice di «quelle forze profonde che spingono a un cambiamento positivo e vitale», come le definisce Risé, dichiarando così l’intento di questo “manuale di sopravvivenza alla modernità”. Un discorso, quello di Risé, che muove dalla constatazione di aggirarci ancora nella terra desolata raccontata un secolo fa da Eliot. Desolata non solo sub specie ecologica ma nel senso più profondo e originario dell’esser tagliata via dalla partecipazione all’acqua di vita elargita dalla sofianica anima del mondo e dallo spirito. A essere particolarmente investiti dall’archetipo della terra desolata, dice Risé in questo colloquio con Tempi, sono soprattutto i giovani: «Sono loro ad avvertire il disagio più profondo nel mondo liquido
e a sentire più forte la spinta a vivere».

Risé è un uomo di vasti e profondi interessi: saggista, polemologo, psicanalista junghiano, fu lui negli anni Novanta a mettere a tema in Italia la tragedia dell’assenza dei padri, la questione del maschile e della wilderness, contribuendo a mantenere aperta un’alternativa culturale ed esistenziale per le nuove generazioni. Generazioni private di quei riti di passaggio fondamentali che consentivano a un ragazzo di diventare finalmente un uomo. Togliendo i riti di passaggio, abolendo l’iniziazione al dolore e alla compassione, abbiamo generato una società di eterni adolescenti.

Vita selvatica «nasce dal bisogno di un vecchio uomo quale io sono di utilizzare la sua condizione in modo più nutriente possibile, trasmettendo quello che so e quello che sono». Darsi in nutrimento nell’arida terra desolata significa anche ricordare che «l’uomo e la sua anima non possono vivere senza una relazione con la bellezza, il divino, il tempo». Da oltre un secolo e dopo la desertificazione prodotta dalle ideologie novecentesche noi siamo alla disperata ricerca di «forme senza le quali non si vive: spazi, perimetri, limiti elargitori di senso e identità, che siano essi un orto, un poema o una visione del mondo». Sopravviviamo, consumando le riserve di una lunga storia culturale, ma rischiamo ormai una vita completamente scollegata da qualsiasi partecipazione al divino, la vera fonte di energia profonda e inesauribile abbondanza.

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Vita-selvaticaIn questo interregno ci si apre innanzi la tentazione dell’abdicazione all’umano, la resa alla tecnica. Dimensione che tuttavia Risé non demonizza – è un’invenzione dell’uomo – e tuttavia la tecnica contiene un pericolo elementare qualora dovesse diventare la nostra sfera esistenziale dominante: «Non respira, non vive, non affonda le sue radici nella terra. Da psicoanalista io sono diventato molto concreto, ho capito che noi siamo soprattutto natura. La nostra pancia e questi miliardi di batteri che ci portiamo dentro sono il nostro più grande tesoro. La tecnica costituisce una dimensione fattuale ma non può diventare un’ideologia, un discorso». Per un filosofo come Emanuele Severino invece la tecnica è lo stesso destino dell’Occidente. Da che l’Occidente ha cominciato a pensare, dice Severino, lo ha fatto lungo la linea logica della techné, della volontà di potenza che la sottende. «No, io non condivido questa posizione», replica Risé. «Non credo che la tecnica sia il destino dell’Occidente, io credo che il destino dell’Occidente sia Gesù Cristo il quale accetta la morte come sviluppo della vita: Egli muore e risorge sussumendo nella sua vicenda il ciclo stagionale della morte e della rinascita ma al tempo stesso rompendo l’immanenza di questo eterno ritorno con la verticalità trascendente della Croce che apre i cieli alla terra. È per questo che l’Occidente è coraggioso: perché crede nella resurrezione».

Il risveglio dei popoli
È tuttavia necessario ristabilire quella forte relazione personale con il mondo naturale e selvatico «che è contenitore di quei saperi e di quelle discipline che facevano dire a Leonardo da Vinci che il Selvadego è colui che si salva». Siamo esseri irriducibili alla tecnica e alla società dello spettacolo, impossibile essere risolti dentro questa scena di mondo. Da qui l’ottimismo di Risé che nota «la fine dell’eclisse di Dio in tutto il mondo». Tuttavia colpisce l’ostinazione con cui gli europei continuano a reiterare seriamente il ridicolo. Dopo ogni massacro jihadista ripetiamo macchinalmente che “non muteremo il nostro stile di vita”, quando lo stile di cui parliamo è la vita dei lotofagi: un libertinismo devitalizzato e cerebrale, gli stati alterati di massa, un consumismo da straccioni. «Ma a ripetere questo mantra effettivamente ridicolo è il potere», precisa Risé. «Alla gente comune questa formuletta suscita solo fastidio. Non a caso in Europa cresce il populismo, gli inglesi votano per la Brexit, l’America per Trump. Reazioni che allarmano l’establishment, terrorizzato dal risveglio della forza originaria dei popoli e degli individui la cui inquietudine metafisica è stata per decenni sedata con dosi enormi di pornografia, profilassi pacifista, farmaci antidepressivi, intrattenimenti circensi offerti dall’industria della sottocultura di massa. Sedata soprattutto dalla rimozione e dalla tabuizzazione della morte anche per i suoi evidenti rapporti con la trascendenza e il Padre creatore. Questo ha indotto a dimenticare una verità profonda e cioè che sono la privazione e la morte a rendere attraente la vita e a darti la forza di affrontarla».

Madri surrogate e cattedrali
Non è un caso che l’Europa non generi più figli. La caduta della vitalità secondo Risé è in relazione con la caduta del desiderio e della fertilità: da qui l’esplosione del mercato riproduttivo, l’unico in continuo sviluppo nella tarda modernità. Un business, quello della maternità surrogata, intorno a cui ruota un giro d’affari globale da 10 miliardi di dollari e a cui si tenta di spianare ulteriormente la strada presentandolo come una conquista delle donne. «Una falsità. Non a caso contestata anzitutto dal più avveduto mondo femminista. In Francia la campagna contro l’utero in affitto è guidata da Sylviane Agacinski che ripete da anni: “La madre surrogata è la nuova schiava. Ma la sua schiavitù è mascherata da progresso tecnologico”». Del resto l’attacco all’identità materna e paterna, maschile e femminile è in pieno svolgimento. «La cosiddetta teoria del gender, la punta di lancia di questa offensiva (un bluff scientifico dove si confondono le proprie opinioni con i fatti), mira al declassamento di padre e madre e alla riduzione di maschile e femminile a un debole e manipolabile genere neutro».

La terra desolata del resto è il regno delle astrazioni e l’intellettualismo costituisce il grande rischio per l’equilibrio di un’umanità che abita un universo di acciaio e silicio. «A me piace ricordare un passaggio dell’Amleto di Shakespeare dove si ricorda il rischio di quel procedere unilaterale del pensiero e della coscienza che finisce con il rendere l’uomo incapace di azione concreta. Amleto dice: “La coscienza ci rende tutti vigliacchi e il naturale colore della decisione viene inquinato dalla pallida tonalità del pensiero, così imprese di grande significato, con questo sguardo, spingono lontano le loro correnti e fugano l’azione”. Questo concetto è molto importante. La liquidità è la perdita della capacità di azione. Non a caso un puer robusto come Trump di fronte alla stanchezza del Vecchio Continente ha domandato: “L’Europa ha ancora voglia di vivere?”». È la domanda a cui dobbiamo rispondere. «Io credo che la risposta sia in questa forza vitale e spirituale che non ci dà tregua. Shakespeare, Goethe, Eliot: è con loro e gli alti ideali di vita e di bellezza ereditati da 2500 anni di una storia straordinaria che dobbiamo confrontarci. Le nostre cattedrali, la nostra musica: carne, cuore e spirito. Il mondo è percorso da un movimento autentico, non virtuale: siamo di fronte a una splendida sfida consegnata soprattutto ai giovani».

Tags: modernitaoccidentetecnica
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