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Chi lotta per la sussidiarietà non può approvare questa riforma costituzionale accentratrice e statalista

Dicono: non possiamo permetterci di far cadere il governo. Ma al posto di Renzi, si troverebbe qualcun altro: magari più saggio e meno arrogante

Peppino Zola
20/07/2016 - 4:00
Politica
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Riceviamo e pubblichiamo.

Caro direttore, pur in mezzo ai tragici eventi che si sono susseguiti in questi ultimi giorni, vorrei inviarti alcune osservazioni circa il referendum costituzionale, che si terrà in data imprecisata, dati i comportamenti ondivaghi del Premier scout di questi giorni. Le intenzioni iniziali dei riformatori erano probabilmente giuste, ma è stato totalmente sbagliato il metodo seguito. Una riforma costituzionale, soprattutto se ritenuta importante e addirittura fondamentale, non può essere portata avanti con maggioranze risicate. Si doveva seguire il metodo del maggiore coinvolgimento possibile di tutte le forze politiche interessate al cambiamento. Si è, invece, voluto seguire la solita strada “muscolare”, che ha diviso il Paese, invece che unirlo sulla definizione delle regole valide per tutti.

La riforma proposta va nella direzione, oramai molto frequente nelle democrazie occidentali (ed anche nella stessa Ue), di una centralizzazione del potere e di un indebolimento dei poteri decentrati e della stessa società civile, clamorosamente contro il principio di sussidiarietà. Questo è l’aspetto che più mi preoccupa di questa riforma, non altro. Tutti parlano del problema del Senato, ma il vero punto non è questo. Vengono cancellate le Provincie (ma come?), vengono indebolite in misura enorme le Regioni, si ignora totalmente il principio di sussidiarietà, ma vengono mantenute le Prefetture, che sono il legame diretto con il potere centrale.

Centralizzazione significa sempre più forte statalizzazione e ciò non può essere approvato da chi per anni ha lottato per l’affermazione del principio di sussidiarietà, che, solo, può garantire maggiore libertà e più efficace iniziativa dl basso. La ministra Boschi, con il suo Premier, incentra tutte le motivazioni del “sì” sulla riforma del Senato, che, invece, appare una riforma confusa, con pochi aspetti utili: modestissimo è il risparmio economico tanto conclamato, facilmente prevedibile è il contrasto istituzionale che potrà nascere nei confronti della Camera, poco chiare sono le reali competenze. Sarebbe stato meglio abolire del tutto il Senato, piuttosto che avere un organismo confuso, per di più non eletto dal popolo.

Non è prevista alcuna riforma della giustizia, che costituisce, invece, uno dei nodi più intricati dell’attuale situazione democratica del Bel Paese. Solo una vasta maggioranza parlamentare poteva immettersi su questa strada. Malgrado il mal di cuore (tanti auguri, in proposito), Berlusconi pare essere tornato a far politica, quando ha detto che il combinato disposto della riforma renziana e dell’attuale legge elettorale (chissà perché chiamata “Italicum”) prefigura un sistema politico molto vicino ad un regime autoritario, munito di una maggioranza spropositata, che per cinque anni può fare il bello e cattivo tempo, il che, visti gli attuali concorrenti in campo, non ci può lasciare tranquilli (basti vedere ciò che ha fatto il Governo in tema di diritto di famiglia). La maggioranza dei deputati sarebbe, poi, di nomina diretta dei partiti, il che lascerebbe scarsissima libertà di scelta agli elettori.

Desidero aggiungere che non voglio cedere ai veri e propri ricatti politici e morali che vengono avanzati nei confronti di chi, come me, vorrebbe votare “no”:

A) Dicono: non possiamo permetterci di far cadere il governo. Se Renzi insistesse nella sua insana e incomprensibile idea di dimettersi in caso di sconfitta (anche se ora le dimissioni sono state dimezzate), non cascherebbe il mondo e si troverebbe un altro premier. Del resto, solo due anni fa Renzi non c’era. Si troverebbe qualcun altro al suo posto, magari più saggio e meno arrogante.

B) Dicono: caduta questa riforma, passerebbero altri 10 anni prima di farne un’altra: falso. Lo stesso Berlusconi si è detto pronto a farne un’altra, con metodo unitario, in pochi mesi. Anzi, paradossalmente, la vittoria dei “no” potrebbe addirittura accelerare il percorso riformatore.

C) Occorre dire alla ministra Boschi che chi vota “no” non è un conservatore, ma una persona (almeno nel caso mio e di tantissimi altri) che vuole riforme vere e serie e non raffazzonate.

Infine, occorrerebbe che Renzi si decidesse a “prendere le misure”. Finora ha creato solo confusione. Ha detto che, perdendo, si dimetterebbe per poi accusare gli altri di personalizzare il referendum. Secondo me, non deve dimettersi, ma rimettersi alla volontà popolare, esercizio per il quale non mi pare molto allenato. Ha detto che l’Italicum non si tocca ed ora, vista la mal parata, dice che si può cambiare. Una linea più coerente e meno ricattatoria contribuirebbe ad un confronto più sereno, che entri nel merito, lasciando da parte pregiudizi ideologici e spettacolari.

Foto Ansa

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Tags: boschiitalicumMatteo Renzireferendumreferendum costituzionalesenatoSilvio Berlusconi
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