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Chi ascolterà il popolo di Hong Kong?

«Non è una violenza di popolo. La gente è pacifica». La testimonianza di padre Gianni Criveller, appena rientrato da un soggiorno nella città

Gianni Criveller
18/12/2019 - 3:00
Esteri
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Il 13 dicembre si è tenuta al Seminario internazionale del Pime di Monza una veglia di preghiera per la pace a Hong Kong (qui il video). Di seguito pubblichiamo la testimonianza di padre Gianni Criveller, missionario del Pime, appena rientrato dalla città. Padre Criveller ha partecipato all’incontro di Tempi “La libertà è la mia patria”, svoltosi a Milano il 29 novembre 2019 con Lee Cheuk-yan, leader del fronte democratico, testimone oculare del massacro di Piazza Tienanmen.

Da Mondo e Missione – È quasi difficile decifrare le emozioni all’arrivo domenica 1 dicembre e poi alla partenza martedì scorso (10 dicembre) dalla città che è stata missione e casa per oltre 25 anni. L’atmosfera che si respira, lo stato d’animo della gente mi appaiono diversi. La gente sembra intristita e tesa. Si inizia una conversazione, e spesso emerge delusione, rabbia, incredulità e paura.

Le vicende di Hong Kong sono piuttosto lunghe, e credo abbastanza note. La deriva violenta ha finalmente avuto una svolta positiva con le elezioni distrettuali di domenica 24 novembre. La gente si è messa in fila per votare: ovunque lunghe file, alcuni hanno dovuto attendere due ore per il loro turno. Non si era mai registrata una partecipazione così alta. Hanno votati tre milioni di cittadini.

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I risultati sono stati eloquenti: vittoria clamorosa dei candidati per la democrazia, che hanno conquistato il 90 per cento dei seggi. Sono stati i giovani elettori a dare una svolta. Il segnale è chiaro: con grande maturità civica la gente ha mostrato di volere che la politica cambi; la protesta ha un notevole supporto popolare.

Ne è riprova la grande manifestazione di domenica scorsa, 8 dicembre, a cui hanno aderito 800.000 persone, un numero enorme. La terza più grande manifestazione di questi sei mesi. Una marcia per le vie del centro, dal Victoria Park al Charter Garden, assolutamente pacifica. Vi ho partecipato anch’io insieme ad amici. Il clima, nonostante tutto, era di consapevolezza e di dignità civica. Nonostante gli enormi disagi e le perdite economiche che sei mesi di ‘rivolta’ hanno prodotto, la gente dichiara, con grande chiarezza e pacificazione, di volere dei cambiamenti.

Le elezioni, la fine degli assedi nelle due università, la manifestazione con una massiccia partecipazione popolare hanno portato un po’ di calma. La gente comune è tornata al centro della vicenda, ad essere protagonista.
È una grande delusione, una cosa davvero sconcertante, la totale incapacità del governo di cogliere la positività del momento per iniziative che vadano incontro alle richieste della gente. In fin dei conti non si può, in una società postmoderna e sofisticata come quella di Hong Kong, governare contro la volontà popolare così pacificamente e eloquentemente espressa. È chiaro alla gente che le autorità (e in modo del tutto speciale la leader Carrie Lam) non sanno cosa fare; o semplicemente non possono fare alcunché.

È noto che sono molti i cattolici impegnati nel movimento democratico, e più in generale nella sfera pubblica, anche quella governativa. Nonostante che essi siano solo il 6 percento (e altrettanti protestanti), i cattolici hanno un impatto nella vita educativa, sociale e politica assai più grande della loro modesta percentuale. La ragione profonda dell’elevato numero di cattolici impegnati in ambito sociale e politico sta nell’educazione umana e civile ricevuta nelle scuole e nelle associazioni cattoliche. Una formazione che ha contribuito a gettare le basi della coscienza civile di oggi e a elevare la reputazione della Chiesa tra la popolazione. Mentre in molti Paesi del mondo, in particolare di quelli di influenza anglosassone, la Chiesa ha scarsa reputazione presso la popolazione, a Hong Kong la stima rimane altissima. Non pochi dei circa 4000 adulti che ogni anno chiedono il battesimo, lo fanno sulla scorta della loro positiva esperienza nelle scuole cattoliche o per amici in gamba che li coinvolgono. I missionari del Pime, presenti a Hong Kong dal 1858 e le missionarie dell’Immacolata, presenti dal 1968, hanno notevolmente contribuito alla crescita umana, religiosa e civile di Hong Kong.

La lettera di John Tong

La Chiesa ha risposto al movimento popolare con grande attenzione e coinvolgimento, ma ora si trova in una certa difficoltà. Hong Kong non ha il vescovo ordinario. L’anziano cardinale John Tong, un uomo mite, moderato e prudente, richiamato un anno fa alla guida temporanea della diocesi come Amministratore apostolico, fa del suo meglio in una situazione per lui difficile e impensabile. L’ho incontrato due volte nei pochi giorni a Hong Kong. Mi ha fatto piacere che lui stesso, nell’ultimo giorno della mia permanenza, abbia modificato i suoi programmi per passare qualche momento con me. Ho lavorato a suo fianco per quasi vent’anni. Lo conosco bene. Il cardinale Tong non ha mai amato contrasti e divisioni. Mi ha confermato che gli era stato detto che il suo incarico sarebbe stato breve. Non avrebbe mai immaginato di trovarsi di fronte a questo dramma. Mi ha detto che non ha idea di quando sarà nominato il nuovo vescovo. Forse la decisione del Papa di nominare un nuovo prefetto di Propaganda Fide, l’arcivescovo di Manila Luis Antonio Tagle, allungherà i tempi. Tong ha invitato più volte le parti alla moderazione, al dialogo e alla pacificazione. Le sue parole, per quanto sagge e ben calibrate, non hanno l’impatto desiderato.

Nella lettera in occasione dell’Avvento 2019, pubblicata il 29 novembre scorso John Tong propone una riflessione suggestiva sui tumulti di Hong Kong. Egli richiama il significato, originariamente sovversivo, dell’invocazione “Marànathà -vieni Signore Gesù”- e la applica alla situazione di Hong Kong. Riconosce che la gente è provata come i primi cristiani, e che la loro fede è scossa. “Vieni, Signore Gesù! Liberaci dalle prove e dalle difficoltà e portaci calma interiore e pace duratura”. Il cardinale conclude la sua lettera con sentimenti di speranza. “Il Signore Gesù camminerà con noi attraverso la presente desolazione per riaccendere la nostra speranza. Egli metterà la sua mano nelle ferite dei nostri cuori e dei nostri spiriti, e le trasformerà in sorgenti di gioia e perdono”.

Dibattiti e tensioni nella Chiesa

La gran parte del popolo cattolico apprezza le iniziative del vescovo ausiliare, il francescano Joseph Ha. Esprime vicinanza ai giovani, ed è intervenuto, in piena notte a loro fianco almeno due volte: la notte dei primi scontri, lo scorso 12 giugno e la notte del 18 novembre, quando nel corso dell’assedio al Politecnico, il vescovo Ha si è presentato alla polizia alle due del mattino per tentare, senza successo, una mediazione ed evitare una tragedia che sembrava incombere. Ho incontrato il vescovo Joseph per due volte. È scoraggiato per la mancanza di iniziativa delle autorità; è profondamente turbato dalle violenze di polizia e studenti; si affida sempre più alla forza della preghiera.

Alcuni preti e tanti fedeli sostengono le marce pacifiche. Tutti sono per la democrazia e la giustizia, ma non tutti ritengono opportuno che la Chiesa, in quanto tale, si schieri in una battaglia politica.

Negli ultimi anni ho frequentato la chiesa della Santa Croce per celebrare per la comunità di lingua inglese. Anche domenica 8 dicembre vi ho celebrato la Messa e incontrato la comunità, in maggioranza filippina. In questa chiesa è successo l’episodio più grave che ha scosso la comunità cattolica. L’11 novembre scorso la polizia anti-sommossa è entrata nelle sale parrocchiali per arrestare, piuttosto brutalmente, alcuni giovani dimostranti che vi si erano rifugiati. Qualche minuto prima due studenti – entrambi alunni di scuole cattoliche – erano stati feriti dalla polizia, uno dei quali in modo molto grave.

L’azione della polizia dentro gli ambienti parrocchiali ha provocato una fortissima reazione, da parte di molti fedeli, contro i responsabili della parrocchia, che non avrebbero resistito e fermato l’invasione della polizia.
Altre parrocchie, inclusa la Chiesa del Monte Carmelo di Wanchai, hanno invece accolto e soccorso i manifestanti attaccati dalla polizia.

Ne è sorta una discussione nella diocesi, se le porte delle chiese e degli edifici parrocchiali debbano essere aperte o chiuse ai manifestanti che chiedono rifugio, soccorso medico, o la possibilità di riposarsi. Il dibattito tra i preti e i responsabili diocesani non è stato senza tensione e opinioni differenti. Alla fine sarà responsabilità di ciascun parroco, considerate le circostanze concrete, a prendere la decisione se aprire o meno i cancelli e le porte delle chiese.

In attesa di un nuovo vescovo

Nei giorni a Hong Kong ho incontrato anche Peter Choy, uno dei vicari generali, che è stato preside della scuola teologica dove insegno. Sicuramente condivide la richiesta di cambiamento, ma non è sceso in strada con i manifestanti. Si ritiene che, insieme al vescovo ausiliare Joseph Ha, sia uno dei candidati alla successione del vescovo Michael Yeung (morto improvvisamente il 3 gennaio scorso ndr). Roma non ha deciso, e forse prenderà altro tempo. Ma la mancanza di un vescovo con pieno mandato ha reso più acuta la crisi all’interno della Chiesa, e il rischio di una divisione. Mi ha fatto piacere verificare che tra i due candidati si salvaguardi l’unità ecclesiale e un buon rapporto personale. Inoltre è possibile che la Santa Sede stia esplorando altre soluzioni per superare l’impasse che si è creato.
Per il momento è fin troppo chiaro che la Santa Sede ha preferito non prendere una posizione netta e intervenire circa quello che sta succedendo a Hong Kong. Alcuni cattolici ne sono dispiaciuti. Il cardinale Joseph Zen interpreta e rilancia la delusione e la critica di alcuni cattolici. La situazione è davvero complicata, ed è pur vero che un intervento troppo esplicito di Roma circa la vicenda di Hong Kong potrebbe essere persino controproducente.

Le ferite della città

Nei giorni ad Hong Kong ho sentito tante storie, interpretazioni, narrazioni, ipotesi di complotti e persino cose che mi sembravano quasi delle leggende metropolitane. Ci sono teorie molto difficili da verificare circa i motivi della permanenza della rivolta attraverso i mesi e della violenza inusitata che ha colpito la città.
Ma rimangono alcuni fatti che mi sembrano incontestabili: non è una violenza di popolo. La gente è pacifica, e ha parlato, e l’ha fatto con grande civiltà e compostezza. Chi l’ascolterà? Non si può rimanere indifferenti all’appello di una città meravigliosa, che semplicemente chiede di poter partecipare al proprio destino. Quello che la gente chiede è partecipazione alla cosa pubblica, che è un valore preziosissimo, che la Chiesa riconosce e promuove ovunque nel mondo.

Le ferite della città, come riconosciuto dal cardinale Tong, sono profonde. Le si vede nella devastazione di alcuni edifici commerciali, pubblici e delle università, di stazioni dei treni e delle metropolitane. Colpisce la riduzione drastica dei meravigliosi e splendenti addobbi e luci di Natale. Mancano anche le frotte di turisti, e gente che affolli i negozi e i ristoranti. La città si è intristita.

Le ferite toccano le famiglie, dove si verificano divisioni e contrasti: si litiga tra colleghi e si rompono amicizie. Un amico prete mi ha raccontato questo episodio: qualche tempo fa c’era la lettura dal vangelo di Luca che diceva “Pensate che io sia venuto a portare la pace sulla terra? No, vi dico, ma la divisione. D’ora innanzi in una casa di cinque persone si divideranno tre contro due e due contro tre; padre contro figlio e figlio contro padre, madre contro figlia e figlia contro madre, suocera contro nuora e nuora contro suocera”. Alla fine della messa, mi ha detto quel prete, un fedele ha commentato: è proprio quello che sta succedendo oggi a Hong Kong.

Posso testimoniare che i cattolici di Hong Kong credono molto nel valore della preghiera. Ci sono tanti inviti, spontanei e sinceri, alla preghiera per Hong Kong. I social ne sono pieni. Alcuni sono scossi nella loro fede, ma pure c’è chi frequenta la chiesa e la preghiera con più assiduità. Anche la nostra iniziativa di preghiera è stata apprezzata e rilanciata a Hong Kong. Molti nostri amici sanno che preghiamo con e per loro. Chiediamo a Gesù che viene, Signore della storia, il dono della riconciliazione, della libertà e della pace per Hong Kong e per la Cina.

Foto Ansa

Tags: gianni crivellerhong kong
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