
Lettere al direttore
Che siano sardine, balene o squali, qui si è un po’ come Queequeg, il cannibale del Peqod
Articolo tratto dal numero di marzo 2020 di Tempi. Questo contenuto è riservato agli abbonati: grazie al tuo abbonamento puoi scegliere se sfogliare la versione digitale del mensile o accedere online ai singoli contenuti del numero.
Che dice il nostro Simone Fortunato di Parasite, il film che ha vinto l’Oscar?
Erminio Sacchi via email
La recensione la può leggere in questa pagina. Noi ci siamo divertiti a “citare” la locandina sulla nostra copertina.
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Proprio oggi sono stato incaricato di parlare agli studenti in occasione dell’anniversario della uccisione di Bachelet (sono un giudice del tribunale a Lecco) e ho citato la preghiera del figlio in occasione del funerale. Una preghiera che (pare) abbia poi convinto dei terroristi a cambiare strada. Sono perciò totalmente in disaccordo con l’idea che certi uomini siano così pervertiti dalla ideologia che in fondo non rimane che “abbatterli”. Sarebbe veramente la vittoria completa del male. Il male che genera altro male e dolore. Non credete? Grazie comunque dei vostri servizi. Mi sono abbonato solo per padre Trento e questo vale certamente la spesa.
Enrico Manzi via email
Il giudice Manzi fa riferimento all’articolo “Certi terroristi non possono essere ‘deradicalizzati’. Vanno neutralizzati”, apparso sul nostro sito il 10 febbraio che qui non c’è spazio per riassumere. In realtà, l’articolo poneva l’accento sul dibattito scattato nel Regno Unito dopo l’attentato del 2 febbraio, in particolare sul fallimento dei programmi di deradicalizzazione dei musulmani britannici, che, finora, non hanno portato risultati perché i terroristi sono trattati come «bambini dell’asilo» da correggere, anziché come dei giovani adulti che hanno deciso di combattere una guerra contro di noi. Quindi, no, noi non pensiamo che vadano “abbattuti”, ma pensiamo che il male vada chiamato col suo nome, senza edulcorarlo, altrimenti non c’è possibilità di redenzione. Tra l’altro, questo concetto è uno dei grandi cavalli di battaglia di padre Aldo Trento. Il quale vale sempre la spesa; di un abbonamento sostenitore, ovviamente.
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Caro direttore, il dramma dell’inverno demografico in Italia è causato sì dalle scarse politiche pro famiglia dei vari governi, ma il problema più profondo è un altro; in quanto cristiani dovremmo preoccuparci del fatto che a fronte di percentuali di battezzati che si attestano tra l’80 e il 90 per cento e di cresimati su cifre simili, disponendo in Italia di una presenza capillare di parrocchie sul territorio, l’attività pastorale della Chiesa non riesce a formare una mentalità di fede adulta capace di affrontare, vincendola, la mentalità corrente «sazia e disperata» (come diceva il cardinale Giacomo Biffi) e quindi antinatalista. L’unica realtà che può fornire adeguate ragioni di speranza per sposarsi e donare la vita ai figli è l’avvenimento cristiano, che va presentato secondo una pastorale missionaria in prospettiva di nuova evangelizzazione, quindi con nuovi metodi e nuovo ardore, come diceva san Giovanni Paolo II. Non è più proponibile una pastorale esclusivamente sacramentale che presuppone un popolo cristiano credente che quasi non esiste più. È necessario andare a vedere dove, nella Chiesa, si formano più numerose nuove famiglie, aperte alla vita, dove fioriscono di conseguenza anche vocazioni religiose e al sacerdozio missionario. Come Tempi vi propongo di fare un’inchiesta in questi luoghi ecclesiali, ascoltando le coppie, i presbiteri, i responsabili di queste comunità. Non per esaltare singole coppie, ma per dar modo di aprire sulle vostre pagine uno spazio di incontro per chi avesse a cuore questo problema (cioè nuova evangelizzazione, formazione delle famiglie e apertura alla vita) e volesse orientarsi verso quelle esperienze ecclesiali che, grazie a seri percorsi di fede, generano numerose vocazioni matrimoniali aperte coraggiosamente alla vita.
Alessandro Pacini via email
Ci penseremo. Intanto a pagina 48 trova qualche spunto del cardinale Ruini sulla questione dell’inverno demografico.
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In questi giorni di “ritiro casalingo” per le note vicende del contagio da coronavirus, cercando del materiale sul dibattito della riforma scolastica dell’anno 2000, mi sono imbattuto con una certa sorpresa, in un articolo di Giuseppe Bertagna, pubblicato sulla rivista Ideazione n. 3, maggio-giugno 2000, dal titolo “La scuola nell’epoca del postfordismo”, in cui si parla dell’inversione del rapporto tra economia e sistema formativo. Sono stato particolarmente colpito nel rilevare che diversi rapporti delle agenzie economiche, ben datate, avevano allora previsto il declino economico dell’Italia. Previsioni che si sono, purtroppo, verificate. Oggi, a distanza di più di vent’anni, dobbiamo costatare che permane una incapacità di fondo della classe governante di rispondere alle sfide del tempo presente con realismo e concretezza. Così, sul versante della scuola, permane una scarsa attenzione alla necessità inderogabile di “rifondare” il sistema scolastico italiano le cui conseguenze negative sono ben evidenti nella nostra società. Pertanto, bene ha fatto la vostra rivista a rilanciare con l’ultimo numero, e non solo, il tema della riforma della Costituzione sul problema della scuola libera. Sarebbe un’occasione formidabile per riaprire un dibattito sulla libertà di educazione. Lavorare per abbandonare un sistema che soffoca una libertà fondamentale della persona e quindi della società: la libertà di essere uomini e donne desiderosi di vivere e di studiare.
Giuseppe Salvato via email
Tempi ha il pallino della scuola perché ha il pallino della libertà. L’ardita proposta, come l’abbiamo chiamata ben consapevoli delle difficoltà di portarla avanti, ha questo scopo, innanzitutto. Tenere desta l’attenzione su un tema che, ahimè, è completamente scomparso dal dibattito pubblico, soprattutto, doppio ahimè, in ambito cattolico.
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Caro direttore, ai politici e ai magistrati, infantili e capricciosi e snob, mi permetto consigliare di riflettere su questo passo di Curzio Malaparte: «E non s’intende la storia d’Italia se alla parola libertà, alla parola giustizia, non si sostituisce la parola fame. Perché fame vuol dire speranza» (Vito Teti, Fine pasto: Il cibo che verrà).
Gianmario Gatti via email
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In natura le sardine sono migliaia, unite insieme senza volontà, per poi nutrire i predatori di media grandezza in affanno. Prossimamente si ricorrerà al movimento del “plancton”, ancora di più senza volontà e destinato a nutrire “cetacei” in difficoltà di sopravvivenza. Tenete duro e saluti a tutti.
Sergio Fiordiponti via email
Il primo logo di Tempi era una penna stilografica che infilzava uno squalo. Squali, sardine, cetacei: sempre lì stiamo. Siamo come Queequeg, il cannibale primo ramponiere del Peqod, meraviglioso personaggio dell’immortale Moby Dick di Melville. Forse il nostro rampone non prende sempre la balena e forse non siamo sempre “cattolicamente corretti”, ma di noi potete fidarvi come Ismaele si fidava di Queequeg, perché è «meglio dormire con un cannibale saggio che con un cristiano ubriaco».
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