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Gli sputazzi, la Lombardia e l’effetto fenice

Perché chi deve decidere, non decide? Perché ha fifa delle procure. Come dargli torto? E un significativo comunicato dei chirurghi

Emanuele Boffi
16/04/2020 - 4:00
Società
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Fenomenologia dello sputazzo, capitolo secondo. Ieri su Repubblica e Il Fatto è uscita la solita badilata della famosa sostanza, perfino colorita, come nel caso di Michele Serra che, dondolandosi sull’amaca, se l’è pure presa col cielo di Lombardia («è brutto») e i lombardi in generale, gente tapina, magutt con poco sale in zucca, cavernicoli dediti al lavoro che da vent’anni eleggono gente che «ha trasformato il Welfare in un business» (mentre da loro, nel Lazio, l’hanno trasformato in un buco miliardario ripianato con soldi pubblici).

Come scrivevamo ieri, gli sputazzatori non sono gente che va troppo per il sottile. Mischiano tutto, perché tutto fa brodo nella loro brodaglia risentita.

Roberto Saviano, ad esempio, su Le Monde, è riuscito a scrivere parole come le seguenti:

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Un esempio per comprendere questa dinamica è quello di Comunione e Liberazione, un’associazione cattolica della quale, fino alla condanna definitiva, il corrotto Roberto Formigoni era uomo di punta. Comunione e Liberazione è potentissima in Lombardia e detta legge; basti pensare alla percentuale maggioritaria, nelle strutture pubbliche, di medici antiabortisti e della difficoltà che la maggior parte delle donne trova a farsi prescrivere la pillola abortiva, nonostante sia previsto dalla legge: la “tecnica” elusiva è semplice.
I medici obiettori di coscienza hanno molte più possibilità di fare carriera rispetto a quelli non obiettori. Come si potesse, anche ieri, ascrivere questa dinamica mafiosa al concetto di efficienza è stato per me sempre un mistero. E dispiace che i lombardi debbano rendersi conto oggi, sulla pelle loro e dei loro cari, dell’anomalia di certe dinamiche, che lungi dal rappresentare eccezione gettano una luce sinistra sulla regola seguita in generale.

Nessuno vuole decidere

Questo è l’andazzo ed è il solito andazzo di cui si diceva già ieri, con corsi e ricorsi storici che inseguono un uguale ormai noto: la Baggina, la Guardia di finanza, le ipotesi di reato, Gherardo Colombo, l’eterno asfissiante ritorno di Mani Pulite.

Ieri, poi, sul Corriere della Sera sono apparsi due editoriali importanti, per opposti motivi. Il primo a firma di Milena Gabanelli e Simona Ravizza (Lombardia domande inevitabili), il secondo di Angelo Panebianco (La ripresa e i suoi avversari). Il primo metteva in fila tutti i numeri tremendi e i punti di crisi della Regione. Sono quelli di cui si parla in questi giorni: le rianimazioni, la sorveglianza territoriale, la poca autonomia gestionale, le giravolte sui tamponi. L’articolo non è certamente simpatetico nei confronti degli amministratori lombardi (è citato anche il sindaco Beppe Sala), ma su un aspetto – almeno uno – è assolutamente condivisibile. Il problema è che nessuno si prende la responsabilità di decidere.

Per combattere un virus molto deciso, bisognerebbe essere altrettanto decisi, che non significa essere sprovveduti (cautela è d’obbligo di fronte a ciò che non conosci), ma nemmeno immobili. “Non decidere” è di solito una pessima decisione. La soluzione prospettata da Gabanelli e Ravizza è l’ennesima task force, come se non ne avessimo già a iosa. E, in verità, è proprio questo il problema. Una politica impaurita che s’affida ai saggi, agli esperti, ai comitati non per decidere ma per “non” decidere. Bel paradosso.

Se vuoi bloccare qualcosa, fai una task force

Ieri il titolo del Giornale era “Trecento cervelloni e nessuno decide”. Giuseppe Conte ha 2091 dipendenti a Palazzo Chigi, poi ci sono i ministri, coi loro collaboratori, e i sottosegretari, coi loro collaboratori. Poi c’è il Consiglio superiore di sanità, coi suoi collaboratori, l’Istituto superiore di sanità, coi suoi collaboratori, la Protezione civile, col suo comitato tecnico scientifico e relativi collaboratori, il commissario straordinario coi suoi esperti consulenti e collaboratori e ora anche Vittorio Colao, che ovviamente si avvale di altri collaboratori (e ci scusiamo se nell’elenco abbiamo dimenticato qualche altra commissione e qualche altro collaboratore).

Come ognuno bene capisce, quindi, il problema non è avere l’ennesima task force, l’ennesimo tavolo di esperti o l’ennesimo comitato (come diceva quello, “se vuoi bloccare qualcosa, nomina un comitato”). Il problema è esattamente quello che scrivono Gabanelli e Ravizza: bisogna decidere.

Se avessero indagato sul Piano Marshall

Bene. Perché nessuno decide? Gabanelli e Ravizza non si pongono la domanda più interessante, quella che, se avessimo il coraggio di rispondere con onestà, forse potrebbe cambiare la storia di questa crisi. Lo fa, per fortuna, Panebianco, nell’editoriale suddetto.

Elencando i nemici della ripresa (faziosità, statalismo, burocrazia), il politologo bolognese ne aggiunge un quarto: il panpenalismo.

Da ultimo c’è il panpenalismo, la debordante e soffocante presenza del diritto penale in tutti gli ambiti della vita sociale ed economica, a sua volta riflesso della peculiare posizione di forza assunta dalla magistratura inquirente in Italia. Immaginate cosa sarebbe successo in Europa se, quando arrivarono gli aiuti del piano Marshall, tante procure in giro per il vecchio Continente fossero state lì a scaldare i muscoli, pronte a scattare e a bloccare ogni iniziativa anche solo in presenza di qualche vago sospetto di cattivo uso del denaro pubblico. Quasi sicuramente, alla fine, per la maggior parte dei tanti inquisiti/imputati sarebbe arrivata l’assoluzione ma, nel frattempo, non ci sarebbe stata alcuna ricostruzione economica. Né credo che in Italia sarebbe stato possibile, ad esempio, fare l’autostrada del Sole o tutto quanto favorì il boom economico degli anni Sessanta se il virus panpenalista fosse stato allora così diffuso come lo è oggi.

Non hanno paura, hanno proprio fifa

Sala, Gallera, Fontana, Conte, chi volete voi, perché sono indecisi? Gli amministratori locali, i direttori delle Asl, i sindaci, fin giù giù ai vari sottoposti e gli ultimi nella catena di comando, perché sono indecisi? Per una ragione banale: hanno fifa. Non paura, proprio fifa. E hanno ragione ad averla.

Come fai, ti indagano. In vent’anni costruisci un sistema sanitario misto pubblico-privato e finisci in gattabuia, per dire di Formigoni. Ma pensate anche a Beppe Sala: quando fu chiamato a guidare l’Expo, per un tacito accordo – poiché tutti capivamo benissimo che l’esposizione internazionale era un’occasione d’oro per il nostro malandato paese – si chiuse un occhio e anche due per tutta la durata della preparazione e della manifestazione. Che, infatti, andò benissimo. Appena terminata, indagini. Ora andate voi a spiegarglielo a Sala che deve “fare”, “rischiare”, “decidere”. E per cosa, per finire in tribunale? Con l’accusa di “omicidio colposo”, come nel caso del Pio Albergo Trivulzio? E poi, «se uno il coraggio non ce l’ha, mica se lo può dare», chiosava Manzoni a proposito di don Abbondio.

Vale per Formigoni, Sala, chi volete voi, ma vale per chiunque abbia un ruolo di responsabilità a qualunque livello. Questo spiega il proliferare di task force e comitati: tutti stratagemmi per far decidere qualcun altro cosicché, al momento opportuno – perché tutti mettono in conto che quel momento arriverà, prima o poi – avremo qualcuno su cui scaricare la colpa.

Ma non erano i nostri eroi?

Altro esempio, altrettanto significativo e che stavolta non riguarda i politici, vil razza dannata per la maggior parte degli italiani, ma i nostri “eroi”, i medici. Il collegio italiano dei chirurghi ha diramato un comunicato stampa per lamentarsi del fatto che il Parlamento ha ritirato tutti gli emendamenti presentati per la loro difesa «etica, civile e penale».

Scrivono i chirurghi:

«Consummatum est. Come ampiamente prevedibile e ragionevolmente previsto il grande sentimento istituzionale e popolare di entusiasmo e riconoscenza nei confronti di Medici e Operatori Sanitari che si sono spesi allo stremo, in condizioni difficilissime, senza mezzi clinici e protettivi adeguati, e spesso con gravissimo rischio personale (coscientemente accettato per profondo spirito di servizio, al costo di quasi duecento morti) si è dissolto come neve al sole con il ritiro dalla discussione Parlamentare di tutti gli emendamenti presentati per la loro difesa etica, civile e penale».

I medici avevano chiesto che, perlomeno per questa fase emergenziale, si stoppasse «l’atavico tema della Responsabilità Professionale che vede il Medico Italiano colpevole di tutto fino a dimostrazione contraria». Richiesta sacrosanta: e invece, niente. O meglio: hanno promesso loro che si farà «un’articolata Commissione del Ministero della Giustizia». Un comitato, appunto.

«Ma il rischio reale – scrivono ancora i medici – è che mentre la Commissione si accinge ad operare, con i tempi imposti da leggi e regolamenti, per contro studi legali e procuratori legali d’assalto stigmatizzati e deprecati unanimemente in questi giorni da Ordini Forensi e Professionali, Istituzioni, Società Scientifiche e Sindacati, si stiano già armando per avviare innumerevoli cause civili e penali con richieste di risarcimenti a Medici e Operatori Sanitari, colpevoli solo di aver fatto al meglio il proprio dovere assistenziale in condizioni di gravissima emergenza».

Aut aut

Poiché in Italia nessuno è immune al virus dello scaricabarile, anche i nostri medici poi proseguono nel loro comunicato prendendosela con istituzioni, amministratori ed enti pubblici, ma ora sorvoliamo e stiamo sul punto.

Il punto è che il virus nanokiller ci pone di fronte a un aut aut: può avere l’effetto di una pistolettata se affronteremo la crisi con le stesse modalità che abbiamo usato negli ultimi anni (la caccia alle streghe, trovare qualcuno cui dare la colpa) oppure, come scrive Panebianco, favorire l’«effetto fenice» (risorgere dalle proprie ceneri dopo la distruzione). Ma questo avverrà solo a patto che quell’energia creatrice, fantasiosa e primordiale, quasi cromosomica, connaturata nel “tipo italiano” – esiste, esiste – non sia distrugga ad ogni minimo «vago sospetto».

Foto Ansa

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