La preghiera del mattino

C’è un motivo se il piano della Meloni per l’Africa si chiama “Mattei” e non “Graziani”

Giorgia Meloni in Etiopia

Giorgia Meloni in Etiopia

Sul sito di Tgcom 24 si scrive: «A quella di Meloni seguirà anche una missione imprenditoriale, come promesso nel bilaterale a Roma, proprio per sostenere l’Etiopia nel programma di riforme e di trasformazione economica, mettendo a disposizione, spiegano dall’esecutivo, la competenza delle imprese italiane e favorendo il reimpegno nei fori competenti».

Mentre il Sudan si rivolge a Vladimir Putin per trovare una mediazione che blocchi una nuova guerra civile, mentre la Nigeria cerca aiuto da Pechino e Tunisi medita di entrare nei Brics perché il Fmi non aiuta la sua economia, Giorgia Meloni svolge un’intensa attività diplomatica in Africa su tutti i fronti: anche in Tunisia e in Nigeria, e in Libia, Egitto e Algeria, spiegando nella visita in Etiopia la sua idea di un “piano Mattei” per il Continente nero. È però criticata dagli ambienti italiani più deliranti dell’antimelonismo perché non accompagna la sua visita nel Corno d’Africa con una presa di distanza dal colonialismo fascista degli anni Trenta. Pur immerso nei propri deliri chi l’attacca dovrebbe riflettere su come la premier abbia proposto un piano ispirato a Enrico Mattei, comandante partigiano, ucciso quasi sicuramente dai colonialisti francesi per i suoi rapporti con il Fronte nazionale di liberazione algerino, e lo ha fatto illustrando, appunto, un piano “Mattei” non un piano “Rodolfo Graziani”.

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Su Huffington Post Italia Giampiero Mughini scrive: «Sono fra quelli che hanno votato il Terzo Polo, ma Calenda e Renzi si sono solo digrignati i denti. La sequela di insulti del primo al secondo è roba mai vista. Prendere lezione da Togliatti: parlare sempre e comunque porta solo guai».

E a proposito di Palmiro Togliatti, nel descrivere la coppia Carlo & Matteo non è male citare uno dei principali riferimenti dell’antico leader del Pci: «Perché, essendo nell’uno sdegno e nell’altro sospetto, non è possibile operino bene insieme». Dal Principe.

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Su Startmag Francesco Damato scrive: «“A livello europeo” ha denunciato Weber, “la solidarietà non funziona. Ringrazio il governo italiano per il modo in cui accoglie i migranti e cerca di salvarli e aiutarli”, altro che lasciarli morire in mare o boicottarne i soccorsi, come grida il Pd della Schlein e affini. “Il governo tedesco e francese, ma anche gli altri, non possono stare a guardare. Devono portare volontariamente i migranti con un diritto di asilo sul loro territorio”, ha detto Weber rinfacciando peraltro al suo stesso paese i sei miliardi di euro spesi a favore della Turchia per farle contenere il traffico di migranti e i soldi che si stentano a trovare per aiutare, nella stessa direzione, la Tunisia».

Anche per affrontare l’epocale nuova ondata migratoria c’è bisogno di più Europa. Ma c’è bisogno di un più Europa “consapevole” delle proprie contraddizioni, la principale delle quali è di essere una istituzione che si sostituisce in tanti campi alle sovranità nazionali, senza avere una Costituzione e quindi senza contare sulle basi di una vera legittimità democratica. L’intervento di Weber è rilevante perché pone il problema di questa “consapevolezza” politica aprendo a una nuova fase non più dominata né dalla logica tecnocratica delle burocrazie di Bruxelles, né da quella bottegaia di Angela Merkel, né da quella bottegaia-tecnocratica di Emmanuel Macron.

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Su Dagospia si riprende un articolo di Conchita Sannino per La Repubblica dove si scrive: «Dispersi, soprattutto nelle regioni del Sud, ma non solo. Invisibili, almeno fino a quando non incrociano precarietà, sfruttamento, fragilità esistenziali. In qualche caso, il reclutamento criminale. Erano 83 mila i ragazzi che, alla chiusura degli scorsi scrutini, sono stati bocciati solo perché non hanno raggiunto la soglia minima delle presenze. Rischiano almeno di raddoppiare, nel 2023. È la piaga dispersione scolastica. Che assegna la maglia nera al Mezzogiorno, ma ha un picco nell’area metropolitana di Napoli».

Ecco un richiamo ragionevole ad affrontare due delle questioni più urgenti per la nostra realtà nazionale: il sistema dell’istruzione/formazione e il rilancio del Mezzogiorno. Quando si parla della ricostruzione di una cultura (di destra e di sinistra) adeguata a sostenere una nuova crescita dell’Italia, è con nodi come quelli che richiama la Sannino che bisogna fare i conti. Abbiamo bisogno di una discussione all’altezza di quella che dopo l’Unità d’Italia seppe gettare le fondamenta di un sistema scolastico e universitario informato sulle innovazioni straniere ma profondamente inserito nella tradizione nazionale, e servono anche imprenditori come quelli che nel Secondo Dopoguerra seppero sostenere un sistema di formazione tecnico/professionale coerente con i bisogni del nostro sviluppo economico. Dobbiamo superare una lunghissima fase in cui gli interventi sul sistema educativo e di formazione sono stati ispirati più dalle convenienze politiche (quando andava bene) o da mediocri scelte tecniche, che da una reale ispirazione culturale e sociale. Mentre si gestisce l’esistente, come è necessario, dunque bisognerebbe impegnarsi anche in un grande confronto di idee. Così anche sulle sorti del Mezzogiorno è indispensabile tornare a una discussione all’altezza dei Fortunato, dei Nitti, dei Salvemini, dei Gramsci, dei Compagna, dei Saraceno, guardando oltre il contingente.

Foto Ansa

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