
La preghiera del mattino
C’è poco da gongolare se la Russia si sottomette alla Cina

Su Formiche Carlo Calenda dice: «Penso che se dovesse formarsi un governo di centrodestra non durerebbe più di quattro mesi».
Un montezemolianamente cazzaro come Calenda non è capace di trattenersi dal rivendicare la sua idea di democrazia: un sistema governato dall’alto e non condizionato dagli elettori, che devono essere mandati a quel paese, se “sbagliano” a votare.
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Sulla Zuppa di Porro Corrado Ocone scrive: «Per i tratti di “democrazia illiberale” che comunque ha, il potere orbaniano è criticabilissimo. Ma essi fanno il paio con i tratti di “liberalismo autoritario” che studiosi al di sopra delle parti hanno da tempo riconosciuto all’Unione Europea come è oggi, e che consiste proprio in un sostanziale “deficit democratico”. L’influenza monocratica che il potere esercita su media e magistratura è esecrabile, ma per loro è migliore la situazione dalle nostre parti? Ha l’Unione Europea le carte in regola per poter criticare l’Ungheria? Sarebbe forse opportuno fermarsi un po’ tutti e ristabilire un rapporto di fiducia reciproco basato su verità e trasparenza, cioè su un non strumentale esame di coscienza. Solo così potrà costruirsi, e avere un futuro, un’Europa dei popoli e delle liberà».
In Ungheria sono stati adottati provvedimenti poco condivisibili per contrastare la corruzione e che vanno cambiati, però questo, come ci ricorda un vero liberale come Ocone, non riguarda né lo scontro sulla politica estera (nel quale “la polacca” Meloni è contro Budapest) né la battaglia culturale delle idee che non può essere risolta costruendo un sistema sovranazionale che imponga una propria ideologia.
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Su Atlantico quotidiano Michele Marsonet scrive: «Per farla breve, Putin ha bisogno della Cina assai più di quanto quest’ultima abbia bisogno della Russia. A Samarcanda, il presidente russo ha ribadito al leader cinese che Mosca sostiene la politica “Una Cina”, ha condannato le “provocazioni” Usa nello Stretto di Taiwan e apprezzato la “posizione equilibrata” di Pechino sull’Ucraina, ma dovendo per la prima volta riconoscere “dubbi e preoccupazioni” cinesi. La Cina è l’unica grande potenza che appoggia pienamente l’invasione dell’Ucraina, anche se finora Xi si è ben guardato dal fornire un appoggio militare all’alleato. Sa benissimo, infatti, che i rapporti commerciali con l’Occidente valgono infinitamente di più di quelli con Mosca, e non si può escludere che, alla fine, l’intento di Biden di allentare le sanzioni trumpiane possa sortire effetti positivi».
Tanto entusiasmo perché la Russia è diventata vassalla di Pechino, al di là delle imperdonabili colpe di Vladimir Putin, meriterebbe un filo di riflessione critica in più.
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Su Dagospia si scrive: «Non disturbate il vicepresidente di Forza Italia Antonio Tajani: è impegnatissimo a intortare Manfred Weber, presidente del Partito popolare europeo, per non far uscire un documento contro il voto a favore di Viktor Orbán da parte di Meloni e Salvini. “Mi metti in difficoltà con i miei alleati”. Per ora il tedesco Weber, che da un pezzo è in grave difficoltà all’interno del suo partito Cdu, ha bloccato il comunicato. Ma non quello del Partito socialista europeo, durissimo con l’“estrema destra in Italia”».
A una parte non secondaria dell’establishment italiano (anche a un bel pezzo, soprattutto romano, di quello abbastanza di destra) un governo legittimato dal voto dei cittadini fa perdere la testa, di qui l’uso di qualsiasi mezzo per contrastare una possibile vittoria del centrodestra. Questo tipo di disperazione oscura sistematicamente la realtà: per esempio il fatto che Weber (e non Tajani) sin dal 2019 cercava di trovare un raccordo con settori della destra europea (dai polacchi ai liberali austriaci, dal recupero di Orbán al fronte occidentale, sino a intese con leghisti e fratelli d’Italia). Per questo motivo fu fatto fuori da Emmanuel Macron e Angela Merkel e sostituito alla testa della Commissione europea da quella stordita di Ursula von der Leyen. Inoltre, peraltro, ciò che veramente temono i socialdemocratici tedeschi (in polemica con l’atlantista leader della Cdu Friedrich Merz) in una possibile vittoria di Giorgia Meloni, non è tanto il suo passato neofascista quanto il suo presente di fedele alleata di Washington.
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