Cattolici, sveglia! Su Imu, scuola e ospedali vi stanno fregando
Pubblichiamo l’articolo “Questi confondono la laicità con la cartella esattoriale”, che appare sul numero 10/2012 di Tempi in edicola
La vicenda “Imu ecclesiastica” mi ha lasciato molto amaro in bocca. Lo dico da vecchio laicone che ha poi riaggiustato le sue convinzioni, senza per questo diventare beghino né oltranzista all’opposto. Di fatto, il partito anticlericale per pregiudizio e non per giudizio ha vinto come aveva vinto in Europa, visto che la minaccia d’infrazione in Europa è nata (dagli anticlericali italiani), ed è grazie alla sua minaccia che il governo Monti ha partorito il pastrocchio finale. Riepilogo brevemente ciò che non mi convince affatto, perché non credo che la vicenda sia finita. Monti annuncia che la Chiesa pagherà l’Ici (Imu), tra mille tappi di champagne dei media che avevano rimbalzato la campagna. La decisione è dell’esecutivo, non fa parte di interventi sui quali si debba concordare con il Vaticano per vincolo concordatario. Ma che cosa significa in concreto? Nella stesura iniziale del decreto sulla semplificazione fiscale – alla faccia della semplificazione, una nuova botta di aggravi tra cui la nuova patrimoniale proporzionale sui conti vincolati, cioè quelli di deposito ad alto rendimento, ma per carità, nessuno ci fa caso, lo spread scende finalmente e siam tutti bimbi buoni! – la norma tanto attesa non c’è. I giornali ripartono con l’artiglieria. Alla fine la norma ricompare. Ma è scritta in maniera ambigua. Tanto che Monti deve precipitarsi personalmente a fornirne un’interpretazione autentica in una commissione del Senato riunita in mera sede referente. Che cosa dice la norma? Che l’Imu sarà dovuta su quegli immobili a “fini misti” che tanto scandalo e tanto colore avevano suscitato sui media, pronti a sostenere che in Italia esistono migliaia di veri alberghi finti conventi e finti romitori con finte cappelle solo per non pagare le tasse. Pagheranno dunque gli immobili ecclesiastici in cui il fine commerciale è prevalente.
Va bene? No, non va bene per niente. Innanzitutto, il governo e il Parlamento non dicono come si identifichi il criterio della “prevalente” natura commerciale. Poiché si tratta di individuare una platea di contribuenti per una nuova imposta, la cosa rientra nella riserva di legge assoluta stabilita dall’articolo 23 della Costituzione. Invece no, come capita da decenni la riserva viene violata, e saranno i vertici tecnici dell’Agenzia delle Entrate a stabilire per circolare come si identifica davvero il criterio. In metri quadrati dell’immobile per diverse aree d’uso? In flussi di cassa? E si paga rispetto a quali proporzioni? Fisiche? Monetarie? In ogni caso, il vincolo costituzionale di competenza è violato.
Seconda osservazione. L’Imu è un’imposta immobiliare patrimoniale. Farne discendere l’applicabilità da flussi di reddito del proprietario è un abominio. L’Imu si paga per rendita catastale aggiornata verso l’alto, come da disposizioni governative, non per censo di appartenenza. Né tanto meno se il proprietario tiene gli immobili sfitti e dunque non ci ricava reddito, non ci pagherà l’Imu. È solo per la Chiesa che prende vita l’ircocervo della patrimoniale-reddituale.
Terza osservazione. E veniamo alle scuole parificate e alla sanità convenzionata. Qui è concettualmente sbagliato applicare l’Imu a componenti del welfare che, gestiti da privati, accettando condizioni e qualità dell’offerta stabilite dal pubblico e pubblicamente vigilati, fanno comunque a tutti gli effetti parte del sistema pubblico. Per questo solo fatto, gli immobili utilizzati a tal fine devono essere esenti come quelli di Stato. Anzi, lo Stato dovrebbe sempre più incentivare il welfare sussidiario che dal basso si aggiunge a quello che viene dall’alto, pubblico ma con risorse inadeguate a fronteggiare un paese in deficit di formazione, assistenza alle famiglie, agli anziani, ai disabili, agli immigrati.
Quarta osservazione. Non solo è concettualmente sbagliato, ma è questione di lana caprina decidere in che cosa una scuola o una clinica “pubbliche”, anche se gestite da privati ma convenzionati e parificati, siano “a fini di lucro”, visto che comunque devono essere organizzate in forme giuridiche coerenti con la gestione di un’offerta commerciale, dal momento che devono chiedere ai cittadini di sborsare in più di tasca propria rispetto a quello che già pagano con le imposte generaliste per il finanziamento della componente maggioritaria del sistema pubblico, quella gestita da dipendenti pubblici. Assisteremo a visite di pattuglioni di finanzieri in ogni scuola parificata e clinica convenzionata, per verificare che l’utile di bilancio venga reinvestito nell’anno fino all’ultimo centesimo di pareggio e senza accantonamenti o – che ne so – interessi da impieghi bancari per accrescere la redditività della cassa, perché altrimenti si configura il lucro e scattano le cartelle esecutive per il pagamento dell’Imu o il pignoramento dell’immobile?
Che pena, caro il mio lettore. Che pena vedere la laicità dello Stato confondere la libertà delle coscienze con l’esecutività delle cartelle esattoriali di uno Stato ladro.
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