Caso Uva, rinviati a giudizio sei poliziotti e un carabiniere

Di Chiara Rizzo
21 Luglio 2014
Giuseppe Uva è morto nel 2007 in ospedale, dopo essere stato fermato dai carabinieri. Dopo la richiesta di imputazione coatta del gip, oggi anche il gup di Varese ha respinto l'istanza di archiviazione della procura. Processo al via il 20 ottobre

Sei poliziotti e un carabiniere sono stati rinviati a giudizio oggi dal giudice per l’udienza preliminari di Varese Stefano Sala, per omicidio preterintezionale nel caso di Giuseppe Uva, l’uomo morto il 14 luglio 2008 in ospedale, dopo una notte nella caserma dei carabinieri locale. La procura di Varese, attraverso il procuratore Felice Isnardi, aveva chiesto il non luogo a procedere, respinto dal gup, che invece ha fissato la data della prima udienza per il 20 ottobre prossimo.

LA VICENDA. Il caso di Giuseppe Uva ha avuto un percorso predibattimentale parecchio tortuoso. La ricostruzione finale del pm Agostino Abate, il primo che ha seguito la vicenda dall’inizio, ipotizzava che la morte di Uva fosse avvenuta la mattina del 14 giugno 2008, alle 10.30, all’ospedale di Varese per “La combinazione, continuata per ore, di sedativi con l’alto tasso alcolico riscontrato nell’organismo”: Uva, era stato arrestato la notte tra il 13 e il 14 giugno, alle 3.50 del mattino. Secondo i carabinieri – e nella ricostruzione del pm Abate – Uva, fermato già in stato di ubriachezza insieme ad un amico, aveva dato in escandescenze in caserma, arrivando ad episodi di autolesionismo, che gli avevano provocato gravi ferite, tanto che i militari avevano dovuto chiamare due medici della Guardia medica per sedarlo e quindi portarlo al reparto di psichiatria dell’ospedale varesino.

IMPUTAZIONE COATTA. L’11 marzo scorso questa versione, tra le polemiche, è stata rigettata dal gip Giuseppe Battarino, che ha respinto la richiesta di archiviazione della procura e rilevato varie incongruenze giudiziarie, disponendo l’imputazione coatta dei otto membri delle forze dell’ordine. Per il gip Battarino, che riprende la testimonianza dell’amico di Uva arrestato con lui Alberto Bigioggero, Uva sarebbe stato trattenuto “per un’ora e mezza in un presidio di polizia senza necessità operative”, mentre fuori dalla porta l’amico lo avrebbe sentito urlare per il dolore. Battarino ha criticato duramente anche l’operato del pm Abate, che non avrebbe dato credito al testimone Bigioggero e che, sempre secondo il gip, lo avrebbe ascoltato solo una volta e dopo molti anni, durante un interrogatorio “degradante, atto a umiliare il cittadino e avvilirlo, in contrasto con la Convenzione per la salvaguardia dei diritti dell’uomo”. Nei confronti del pm Abate tra novembre e dicembre 2013 sono state inviate al Csm due richieste di azioni disciplinari, una dal ministero della Giustizia, l’altra da parte della procura generale di Cassazione che lo accusa di essere “venuto meno agli obblighi generali di imparzialità, di correttezza e di diligenza”.

LA VERSIONE DELLA FAMIGLIA UVA. Il difensore della famiglia di Giuseppe Uva, Fabio Anselmo, ritiene che «Giuseppe è morto per lo stress fortissimo subito in via Saffi unito a un prolasso della valvola mitrale, di cui già soffriva. Il corpo è lì a dimostrare quel che ha patito, compresa l’ipotesi più orrenda: la Tac sul cadavere ha evidenziato aree gassose che sarebbero effetto di una lesione traumatica intestinale e del retto». Il gup Sala di fatto oggi ha accolto questa ricostruzione dei familiari di Uva, che si sono costituiti parte civile. La sorella di Giuseppe, Lucia, ha commentato «Dopo quattro anni ce l’abbiamo fatta: i giudici hanno stabilito che ci vuole un processo. Dedico questo processo al pm Agostino Abate, che non ha mai voluto cercare la verità. Mio fratello non ha mai fatto atti di autolesionismo ma è stato picchiato in caserma».

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