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Caso Consip, la prova che inchioda la giustizia politicizzata e il “giornalismo da trascrizione”

«Poi non sorprendetevi se gli italiani non si fidano più di magistrati e cronisti». Intervista ad Annalisa Chirico, presidente di "Fino a prova contraria"

Francesca Parodi
12/04/2017 - 11:46
Interni
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consip-renzi-tiziano-matteo-ansa

«La vicenda Consip è un caso inquietante di manipolazione di atti d’indagine. Non si tratta di un complotto, ma di un’azione coordinata di attacco giudiziario e mediatico contro l’ex premier, con un preciso mandante». Con queste parole Annalisa Chirico, giornalista e presidente dell’associazione “Fino a prova contraria”, commenta a tempi.it l’intricata inchiesta su un presunto caso di corruzione che ha coinvolto il padre dell’ex presidente del Consiglio, Tiziano Renzi, l’imprenditore Alfredo Romeo e il ministro dello sport Luca Lotti. Pochi giorni fa infatti il capitano del Nucleo operativo ecologico dei carabinieri, Gianpaolo Scafarto, è stato accusato di aver deliberatamente attribuito una frase, registrata nelle intercettazioni, a Romeo, mentre in realtà era stata pronunciata dall’ex deputato Italo Bocchino. Questa frase era stata utilizzata nel processo per provare che Romeo aveva incontrato Tiziano Renzi per cercare di ottenere una serie di appalti da Consip. Bocchino ha invece spiegato di non aver mai conosciuto Tiziano Renzi, e che la sua frase si riferiva a Matteo, incontrato diverse volte in Parlamento.

«I magistrati romani, che avevano già revocato la delega delle indagini al Noe per porre un argine alle clamorose fughe di notizie, non si sono limitati a rileggere gli atti, ma hanno riascoltato tutte le intercettazioni telefoniche e ambientali raccolte. Ora, sorge spontanea la domanda: in un caso simile, come farebbe un cittadino normale a difendersi? La procura applicherebbe controlli rigorosi e approfonditi come quelli riservati a questo caso? Quante storie ci sono, di cui ignoriamo l’esistenza, di cittadini condannati ingiustamente sulla base di prove fallaci e, intenzionalmente o meno, manipolate?», si chiede Chirico.

La giornalista si è sempre detta sicura, dalle colonne del Foglio, che la vicenda era destinata a sgonfiarsi, «perché nel caso di Tiziano Renzi, indagato per traffico di influenze illecite, mancano non le prove ma gli indizi». L’unico elemento di certezza, sostiene, è che il caso Consip «scopre un male atavico del sistema italiano: il cortocircuito tra politica e giustizia. Ci sono settori della magistratura, assolutamente minoritari, che agiscono con fini politici e non di giustizia. Rappresentano un pericolo permanente per la nostra democrazia. Durante la campagna per il referendum costituzionale, Matteo Renzi è stato sottoposto a un intenso attacco mediatico-giudiziario, la vicenda Consip mirava ad abbattere l’ex premier attraverso il padre». Un caso molto simile a quello di Tempa Rossa, che ha portato alle dimissioni del ministro Federica Guidi (sempre governo Renzi), ma che poi si è risolto in un nulla di fatto. Questa strategia d’attacco usata contro Renzi, rivela Chirico, è la stessa adoperata in passato contro Berlusconi e altri esponenti del Pd, da Graziano a Penati. «È una vecchia storia, quella di inchieste mosse da ragioni politiche, con ampio clamore mediatico e inconsistenti ricadute giudiziarie».

La vicenda Consip, partita da un’inchiesta a Napoli intorno ad appalti sospetti dell’ospedale Cardarelli, si è così trasformata da un caso di cronaca locale a un evento d’interesse nazionale grazie al pm Henry John Woodcock, un magistrato famoso per le indagini rumorose (vedi, tra le altre, quelle intorno a Finmeccanica, alla cosiddetta P4 e alla metanizzazione di Ischia) che hanno coinvolto importanti personaggi di livello nazionale. Il carabiniere Scafarto, spiega Chirico, è un suo stretto collaboratore, oltre che “allievo” del colonnello Sergio De Caprio (noto soprattutto per aver catturato Totò Riina). De Caprio rimase al comando dei Noe fino al 2015, quando fu di fatto demansionato dal generale Tullio Del Sette, coinvolto anch’egli nell’inchiesta Consip e sospettato di rivelazione del segreto istruttorio. «La tesi di una resa dei conti interna all’Arma non è peregrina».

Chirico rileva poi altri elementi dubbi: «Il Noe si occupa, per statuto, di reati legati all’ambiente. Non è quindi chiaro perché si sia occupato di indagare sul caso Consip, prima che l’inchiesta passasse alla procura di Roma». Quello che però è eclatante, secondo la giornalista, è «il rifiuto del carabiniere Scafarto di rispondere ai magistrati riguardo alle modalità di conduzione delle indagini. Molto probabilmente non vuole rivelare il nome del mandante».

Di fronte a questo intricato gomitolo di accuse, mancanza di indizi e intercettazioni manipolate, è facile concordare con il sondaggio su Gli italiani e il sistema giudiziario pubblicato a marzo da “Fino a prova contraria”, che rileva il basso livello di fiducia da parte dei cittadini nei confronti della giustizia. Chirico però sottolinea anche la mancanza di fiducia interna alla stessa magistratura, in questo caso tra i colleghi pm romani e partenopei, emersa quando la procura di Roma ha revocato la delega delle indagini al Noe: «È stato un segnale forte, un chiaro atto di sfiducia». Ma la diffidenza dei cittadini investe anche il mondo del giornalismo: «La revoca delle indagini al Noe è avvenuta a seguito di clamorose fughe di notizie sulle colonne del Fatto quotidiano e de L’Espresso. Siamo alle solite: se la giustizia risponde a fini politici e un giornale è legato alle procure, è normale che i cittadini finiscano per diffidare sia della magistratura che dell’informazione. Il “giornalismo da trascrizione”, come lo ha definito il Garante della privacy, non è giornalismo».

@fra_prd

Foto Ansa

Tags: annalisa chiricoconsipFederica GuidiintercettazionimagistraturaMatteo Renzitiziano renzi
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