
La casa dell’anziana sconosciuta con i polsi da rondine
Un piccolo paese della Valtellina. Il sole di novembre, l’azzurro del cielo sbiadito dalla foschia, come da un velo. Manca poco a mezzogiorno. Per strada non c’è nessuno.
Solo la chiesa ha il portone aperto. Si avvicina a piccoli passi una donna molto anziana; si guarda attorno smarrita, come non sapendo dove andare. È vestita decorosamente e tiene stretta a sé la borsetta; sotto al soprabito se ne indovina la estrema magrezza. Le mani e i polsi sono così fini che fanno pensare alle ossa di una rondine. E anche i capelli bianchi, leggermente spettinati, e quegli occhi, gentili e persi in un segreto filo di pensieri, aumentano l’impressione di un mite animale selvatico, che non sappia più trovare la sua tana.
Ma la chiesa è aperta, e come naturalmente la sconosciuta ci si infila. Dentro, le navate sono deserte. Un raggio di luce traversa e taglia le fila di banchi vuoti. La donna si siede, come aspettando qualcosa.
Entra un sacerdote. «Ciao Giuseppina, come stai?», e le fa una carezza. «È presto per la Messa, sai. Stai qui, prega un po’ e poi te ne vai a casa. Torni alle cinque e mi aspetti, che vengo a celebrare».
La donna, docile, annuisce e rimane ferma, lo sguardo vago volto all’altare. Tornare a casa? Ma ha ancora lei veramente una casa? La sconosciuta, paziente, aspetta. La sua casa ormai è questa, col crocefisso in fondo, e la Madonna sulla destra. Casa? La vecchia coi polsi da rondine è a casa qui, e ormai da nessuna altra parte.
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