Carcere e amnistia: la discussione di oggi in Senato con il ministro Palma

Di Chiara Rizzo
21 Settembre 2011
Il Guardasigilli chiude per il momento all'amnistia e per l'emergenza carceri punta su un'estensione dei domiciliari nell'ultimo anno di pena e una revisione della carcerazione preventiva. Ma in Senato oggi è stato denunciato lo stato disumano in cui vivono oltre 67 mila persone detenute

“Le pene non possono consistere in trattamenti contrari al senso di umanità e devono tendere alla rieducazione del condannato” (articolo 27 della Costituzione).

«I 206 istituti penitenziari consentono una presenza regolamentare di 45.732 detenuti e una tollerabile di 69.194 detenuti. Oggi sono presenti negli istituti penitenziari 67.377 detenuti, circa 2 mila in meno della soglia finale di tollerabilità. Il totale dei detenuti in custodia cautelare (quindi ancora in attesa di giudizio e presunti innocenti, ndr.) è del 42 per cento, cioè 28.300 persone, il totale dei detenuti stranieri è del 36.10 per cento, e di questi 12.035 sono in attesa di giudizio, 12.147 in espiazione di pena»: questi i dati illustrati dal ministro della Giustizia Francesco Nitto Palma, nella relazione al Senato stamane su carcere e amnistia. Palma ha anche aggiunto che nelle carceri quest’anno vi sono stati 50 suicidi, e gli atti di violenza su 10 mila detenuti raggiungono una percentuale al 10 per cento, superiore rispetto a quella (2 per cento) di altri paesi come gli Stati Uniti e il resto d’Europa. Sono questi i numeri che raccontano una realtà di degrado e disumanità lontana anni luce dalla dignità della pena prevista sulla carta costituzionale.

Il Guardasigilli ha poi parlato, in senso ottimistico, della concessione di misure alternative: «Si registra un aumento continuo di provvedimenti: gli affidamenti in prova sono passati da 1.818 del 2006 a 9.778 dell’agosto 2011; le semilibertà sono passate da 649 del 2006 a 921 dell’agosto 2011, le detenzioni domiciliari sono passate da 1.618 del 2006 a 8.283 dell’agosto 2011». Ha dimenticato, tuttavia, il ministro di segnalare che il rapporto tra le misure alternative concesse e il numero totale di persone in carcere è irrisorio, malgrado la pena debba proprio tendere ad un reinserimento nella società. Complessivamente si è ricorso alle misure alternative per 18.982 persone, contro le 67.377 chiuse oggi in carcere, spesso anche per 20 ore al giorno sempre in cella. Nonostante ciò, soprattutto, i dati dello stesso ministero della Giustizia hanno verificato che il ricorso alle misure alternative ha funzionato positivamente (quindi senza recidive, e rientri in carcere) nel 94 per cento dei casi.

Secondo il Guardasigilli, i principali nodi che stanno determinando l’emergenza carceri sono principalmente due: «La presenza di detenuti stranieri e l’uso eccessivo della custodia cautelare». Le vie intraviste da Nitto Palma, tuttavia, non vedono l’amnistia come soluzione, perché «è sempre stata utilizzata in passato come strumento emergenziale per risolvere un problema che non si voleva risolvere alla radice». Secondo Palma, invece, oggi andrebbe risolto a partire da alcune linee guida, anche se «siamo costretti nell’immediatezza ad interventi tampone». Primo passo sarebbe l’estensione della legge Alfano 2010 per la detenzione domiciliare nell’ultimo anno di pena. Secondo passo un approfondimento del sistema della custodia cautelare, e poi della disciplina dell’arresto facoltativo in flagranza, per cui la restrizione dovrebbe diventare «l’extrema ratio». Palma apre tuttavia «a una stagione di sereno confronto per definire un progetto globale di giustizia e immagini il carcere come luogo di recupero. In altri termini un progetto che consideri l’edilizia carceraria solo come uno strumento logistico e non la soluzione del problema, che abbia la dovuta considerazione per i detenuti non dimenticando mai che sono uomini e come tali devono essere trattati».

Il dibattito che si è aperto in aula, subito dopo, ha segnato un passo avanti sul tema, perché ha visto convergere gli schieramenti su numerosi punti, e con nuovo vigore sulla richiesta al governo di un radicale cambiamento invece del sistema carcerario. Il vicepresidente del Senato Emma Bonino, ha ricordato che «la situazione delle carceri è un epifenomeno macroscopico di un sistema della giustizia che non funziona, e l’amministrazione della giustizia non è un settore come gli altri, ma il pilastro su cui si fonda la credibilità istituzionale e lo stato di diritto», perciò, sebbene «Lei signor ministro ha detto che l’amnistia non è opportuna, o che per essa non esistono le condizioni politiche, riteniamo che di fronte alla situazione di emergenza e di fronte alla malagiustizia che coinvolge milioni di famiglie, la concessione di un’amnistia sia invece necessaria, urgente e improcrastinabile: ribalto, è la precondizione e la premessa necessaria di qualsiasi riforma». Ha chiesto dunque un ulteriore tempo per approfondire invece i margini di dialogo su questa soluzione.

Ignazio Marino (Pd) ha riferito in aula gli esiti drammatici delle ispezioni della Commissione d’inchiesta sulla Sanità che presiede, in particolare rispetto agli ospedali psichiatrici giudiziari, visitati nel corso dell’anno anche di sorpresa (guarda il video). «Celle luride, affollate al di là della soglia di umana tollerabilità; internati seminudi e madidi di sudore per lo più sotto l’evidente effetto di forti dosi di psicofarmaci», una situazione più cruda poi a Montelupo Fiorentino e Barcellona Pozzo di Gotto dove si trovò «un paziente detenuto coperto da un lenzuolo, ma completamente nudo, con polsi e caviglie strettamente legati agli assi metallici del letto; nel letto è predisposto un foro centrale per feci e urine a caduta libera in una pozzetta posta in corrispondenza del pavimento». Una situazione disumana che ha portato infatti lo scorso 26 luglio al sequestro e allo sgombero immediato delle due strutture. Sulla sanità in carcere (cambiata dal 2008, quando la gestione è stata affidata alle Asl) ha puntato il dito anche Manuela Granaiola (Pd): «Il diritto alla salute dei detenuti e rimasto sulla carta. Dopo l’assegnazione dell’assistenza sanitaria in carcere alle Asl che non hanno né i mezzi, né le conoscenze necessarie, né la progettazione giusta per operare nei luoghi di restrizione della libertà, la situazione si è particolarmente aggravata soprattutto con riguardo ai tossicodipendenti».

E con lei Luigi D’Ambrosio Lettieri (Pdl). Quest’ultimo ha insistito che quella sulle carceri «è una battaglia di civiltà da combattere fino in fondo per il bene collettivo», ribadendo in particolare l’assoluta importanza dell’«adozione delle misure alternative come seri strumenti di riavvicinamento alla società con meccanismi di inserimento agevolati; bisogna fare in modo che le strutture penitenziarie diventino produttive di beni e di servizi destinati all’interno e all’esterno, in modo da impegnare i detenuti e avviarli verso attività lavorative. Bisogna procedere anche alla depenalizzazione dei reati minori».

Un intervento ripreso anche da Marco Filippi (Pd), che ha sottolineato come riguardo al concetto di pena «al centro rimane l’uomo, la persona, come risorsa fondamentale per la società, anche nelle condizioni di reclusione» ha voluto segnalare che «il lavoro può costituire una straordinaria forma di riscatto e di educazione. Ci sono esperienze meravigliose e straordinarie, sviluppatesi grazie alla sensibilità di molte associazioni di volontariato laiche e cattoliche, operanti nei nostri istituti penitenziari, talvolta perfino mal tollerate ed ostacolate dalle stesse strutture. Vanno invece valorizzate. Accendiamo i riflettori su queste isole, facciamone un modello da perseguire». Filippi, così come altri senatori hanno puntato il dito anche su quei dati sul sovraffollamento «significa che 27 mila persone oggi sono detenute, senza che ci sia fisicamente posto per loro», con anche nove persone stipate su letti a castello per tre; sulla cronica assenza di personale specializzato tra educatori e psicologi: «Il sistema penitenziario è costato allo Stato 29 miliardi di euro – ha ricordato Filippi – di cui però solo 11 centesimi al giorno sono stati destinati alla rieducazione» («A Lucca – ha esemplificato la senatrice Manuela Granaiola – ho trovato un carcere con zero attività rieducative e di formazione»).

Servono riflettori accesi di più anche sul piano carceri, che ha sì portato alla costruzione di nuovi padiglioni, tuttavia ancora del tutto inutilizzati: succede a Cuneo, Velletri, Nuoro, Avellino, Livorno, Rieti, Enna e Barcellona Pozzo di Gotto, e questo malgrado il sovraffollamento di quelle stesse carceri, «Per non parlare di Gela, 48 celle senza detenuti dove il personale ogni giorno si limita ad accendere e spegnere la luce». Qui c’è «un sistema che ha bisogno di controlli e razionalizzazioni, non di tagli lineari come è avvenuto nelle ultime finanziarie. L’unico taglio ammissibile è quello sui detenuti».

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