Caffarra. Il comandamento di costruire

Di Massimo Giardina
20 Aprile 2012
«La politica deve scegliere: confermare la crisi o edificare la casa degli uomini. Sradicato dalla proposta cristiana, questo paese non va lontano». Intervista al cardinale Carlo Caffarra. «Uno dei peccati più gravi di omissione della comunità cristiana italiana è l’esperienza di una fede per cui quel che celebri la domenica non ha nulla a che fare con il lunedì»
Il cardinale di Bologna Carlo Caffarra (foto Ansa)

Dove capita ancora in Italia che famiglie, giovani, imprenditori si radunino a migliaia per sentir parlare di politica, e per di più dalle voci commiste di un politico e di un cardinale? Certo, in quel che è successo la sera di venerdì 13 aprile, a Barzanò, paesotto sperduto in alta Brianza, dove circa mille e duecento persone si sono stipate in un palazzetto per passare una serata con l’arcivescovo di Bologna Carlo Caffarra e il vicepresidente della Camera Maurizio Lupi, c’era la curiosità di ascoltare anche il porporato televisivo Bruno Vespa.

Ma a Barzanò anche il grande intrattenitore ha dovuto mettere da parte lo show e piegarsi a una roba abbastanza robusta imposta dalla relazione del cardinal Caffarra: “La questione educativa come questione politica”. Mica Grillo e Cinquestelle d’avanspettacolo che – dicono adesso i sondaggi – sembrano sfruttare l’Italia frullata da un casino alla greca e salsa di procure per una marcetta elettorale su Roma. No, “Costruiamo il futuro”, la fondazione che ha organizzato la serata, è stata fondata da Lupi (eletto proprio nella circoscrizione brianzola) con il lungimirante scopo di scavare una trincea di popolo alla bisogna (e non c’è dubbio, “la bisogna” è arrivata, visto il crepitare di fuoco antileghista e antiformigoniano in Lombardia).

E Caffarra, scomodandosi dalla sua Bologna “perbene”, di fuoco alle polveri ne ha portato nella “tribale” Brianza. Dentro e fuori il palazzetto di Barzanò. Dentro: in una relazione senza una sbavatura di consolazione religiosa, dove ha spiegato al popolo che non bisogna farsi illusioni: «L’educazione è diventata impensabile», poiché il “pubblico” pretende di esserne il gestore ultimo e poiché neppure si comprende più Socrate, il cui processo «ha posto nella coscienza dell’Occidente la consapevolezza che la persona ha una propria trascendenza, anche nei confronti delle leggi dello Stato». Per Caffarra «l’opera di scristianizzazione è compiuta». L’«ospite inquietante» che ha preso possesso della casa comune ha sloggiato tutti i nostri padri. Da Abramo ad Aristotele, da Platone ad Agostino, da Atene a Roma, la civiltà si è affermata nel pensare filosoficamente e nel conquistare politicamente libertà e dignità della persona umana. In pochi secoli, “soggetto utilitario” e “ sistema utilitaristico” hanno fatto piazza pulita dell’uomo come essere sociale introdotto dal pensiero giudaico-greco-romano e portato a compimento dal cristianesimo.

L’utilitarismo ha ridotto il “Bene”, la ricerca di felicità, verità, giustizia, insomma, ciò che agostinianamente «è comune nella sua interezza a tutti contemporaneamente», in affare privato, opinabile, controvertibile, ultimamente insensato e su cui innesta il suo assoluto dominio il potere dominante (con le sue ideologie mutevoli ma sempre incentrate sulla cancellazione della libertà come “io-in-relazione-con”, con l’altro e l’Altro). In linea di principio l’analisi caffarriana potrebbe essere sottoscritta da posizioni di socialismo umanitario e marxismo non dogmatico.
Fuori dal palazzetto, il cardinale ha accettato di riprendere il discorso con Tempi

Eminenza, lei dice che è venuta meno una coscienza della verità intesa come capacità di discernere il bene dal male per l’uomo. Viene da concludere che c’è poco da scandalizzarsi se non registriamo altro che la scomparsa di ogni morale privata e pubblica e una mancata coscienza delle giustizia.
Dipende da come noi intendiamo la giustizia. Se la intendiamo come la costruzione di un insieme coerente di regole associative, formali e procedurali o se interpretiamo la giustizia come attitudine che mi rende abitualmente capace di riconoscere l’altro nella sua dignità di persona. Se la recepiamo nel suo primo significato non è più possibile parlare di giustizia. Purtroppo questa è la nostra situazione. Pensiamo di poter costruire una società fra soggetti affettivamente asociali dove la persona umana non ha più nessun rapporto originario con l’altro. Ma allora ci si domanda: perché devo essere morale? Quale utilità mi porta? Ma il problema giustizia va di pari passo con la metamorfosi che ha subìto il concetto di libertà. Abbiamo costruito il concetto di libertà su tre grandi eventi: la liberazione del popolo d’Israele dall’Egitto, l’esperienza della polis democratica greca e la struttura giuridica romana. Questi tre differenti momenti hanno un punto in comune: la libertà come bene condiviso, res publica. Non è pensabile la capacità di affermare se stessi senza un rapporto con l’altro. 
Il cristianesimo ha elevato queste tre grandi esperienze facendole proprie, infatti san Paolo definisce la libertà come la capacità di essere «servi gli uni degli altri» (Gal 5,13). 

In cuor suo, cosa pensa della situazione politica italiana così critica? 
Il politico ha un ruolo fondamentale perché attraverso le sue scelte può confermare la crisi o cominciare a ricostruire la casa dentro la quale l’uomo sta sempre più male, ha perso la speranza e in cui i giovani fanno fatica a pensare a un futuro. Una cosa mi sembra ormai chiara: la costruzione di una comunità italiana che voglia sradicarsi dalla proposta cristiana non porta da nessuna parte. Noi siamo stati generati dal Vangelo. L’Italia è stata per secoli culla ed esempio internazionale di cultura e di civiltà. Ora sembriamo in un vicolo cieco e subiamo la supremazia dell’economico sul politico. Se vogliamo invertire questa tendenza demolitrice, i politici devono capire che non si costruisce niente se non si prende coscienza della visione che si ha della persona umana e delle scelte coerenti che ne conseguono.

Un tempo i cristiani erano soggetti protagonisti in questo compito di costruzione sociale e politica della società italiana. Ora non più. Cos’è accaduto?
Questo è uno dei peccati più gravi di omissione della comunità cristiana italiana di questi anni. L’assimilazione della dottrina sociale della Chiesa ha subìto un assordante silenzio che è segno di una malattia più seria: l’esperienza di una fede per cui quello che celebri la domenica non ha nulla a che fare con il lunedì. Significa che la fede non è rilevante per le categorie umane come il lavoro, gli affetti, la malattia, l’educazione dei figli, la distribuzione della ricchezza; la fede è come se ne fosse estranea. La soluzione non sta neanche in un opposto, come alcuni hanno cercato di proporre, ovvero in un cristianesimo inteso come una religione civile, una religione scristianizzata presa solo come modello etico. Su questo la cristianità italiana deve fare un serio esame di coscienza. Negli ultimi anni lo stiamo facendo e ci si rende sempre più conto di come uscire da questa situazione, ma la Chiesa ha mancato.

Qual è la cura? 
C’è una sola cura: la fede in Gesù Cristo. In un mondo scristianizzato c’è solo un modo per porsi dentro come uomo di fede: l’incontro con Cristo ti fa incontrare in modo vero ogni persona umana. Zaccheo quando incontra Cristo cambia il suo rapporto con l’altro, lo dimostra il fatto che prima era un ladro, poi dona metà del suo e restituisce moltiplicato per quattro ciò che aveva rubato. Quest’uomo non è cambiato perché ha sentito una predica sul settimo comandamento, ma perché è stato a tavola con Cristo. Lo stare a tavola con Cristo gli ha cambiato la vita. Questa è la cura perché la fede nasce sempre da un incontro: è il modo di porsi del cristianesimo. È anche un modo democratico, non crede?

Twitter: @giardser

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