La Brexit è ancora un enorme punto interrogativo e al momento c’è una sola certezza: poiché nell’ultimo giorno disponibile per chiedere un’estensione del periodo di transizione, il 30 giugno, il premier britannico Boris Johnson non ha avanzato alcuna richiesta, quando il 31 dicembre scoccherà la mezzanotte a Bruxelles (le 11 a Londra) il Regno Unito sarà definitivamente fuori dal mercato unico e dall’unione doganale. Se dunque nei prossimi giorni non sarà raggiunto un accordo tra le parti, i rapporti commerciali tra l’Unione Europea e il Regno Unito saranno regolate dalle disposizioni base dell’Organizzazione mondiale del commercio, con conseguenti danni economici per tutti.
L’accordo non è ancora stato raggiunto e la tensione al tavolo negoziale sale perché presto verranno meno i tempi tecnici necessari per stringere l’intesa. Una volta ultimato, infatti, il testo legale deve essere tradotto in tutte le lingue europee per evitare futuri ricorsi. Secondo fonti europee citate da Euronews, per garantire questo processo l’ultimo giorno utile per raggiungere l’accordo è venerdì 4 dicembre. Probabilmente sarebbe comunque troppo tardi per permettere che l’accordo venga ratificato nell’ultima sessione plenaria del Parlamento europeo, prevista per il 14 dicembre. Ma per superare questo ostacolo, gli eurodeputati hanno dato la disponibilità a incontrarsi in extremis il 28 dicembre. Se il 95 per cento dell’accordo è stato definito, le trattative si sono incagliate su tre punti.
LA PESCA
Il primo riguarda i diritti di pesca, tema fondamentale per la Francia, ma anche per Irlanda, Danimarca, Belgio e Olanda. I pescatori di questi paesi attualmente hanno accesso alle acque territoriali britanniche, le più ricche dal punto di vista ittico, ma dopo la Brexit Londra riprenderà il controllo della propria zona economica esclusiva. In questi anni, grazie alla politica europea della pesca, secondo cui i pescherecce dei paesi Ue hanno pieno accesso alle reciproche acque ad eccezione delle prime 12 miglia nautiche dalla costa, ben il 57% di quanto è stato pescato nelle acque britanniche è stato catturato da pescherecci appartenenti ad aziende europee e solo il 43% da quelli di imprese locali.
Cosa vuole Londra. I negoziatori britannici hanno proposto come nuovo modello l’attaccamento zonale, già utilizzato dall’Ue con la Norvegia. Si tratta cioè di definire, anno per anno, delle quote di pesca basate sulla percentuale di pesce all’interno della zona economica esclusiva di ciascuna parte (un’area di 200 miglia attorno alla costa). Il Regno Unito chiede anche di avere la priorità sulla pesca di alcune specie.
Cosa vuole Bruxelles. L’Ue vorrebbe mantenere il sistema attuale e respinge sia il modello dell’attaccamento zonale sia la ridefinizione annuale delle quote perché, sostiene, rende troppo incerta l’attività delle aziende europee. Inoltre, chiede che i pescherecci britannici non ottengano vantaggi superiori al 18% rispetto allo stato attuale. Per andare incontro all’Ue, Londra ha proposto un periodo di transizione di tre anni. Bruxelles ne chiede uno più lungo.
LA CONCORRENZA
Il secondo punto della discordia riguarda la concorrenza e soprattutto il cosiddetto “level playing field”. Per evitare cioè che il Regno Unito applichi regole e standard più favorevoli alle sue aziende rispetto a quelli europei, Bruxelles chiede parità di condizioni per quanto riguarda rispetto dell’ambiente, norme sul lavoro, tassazione e aiuti di Stato.
Cosa vuole Londra. Il Regno Unito rivendica il diritto ad avere piena sovranità in materia una volta uscita dall’Ue, rifiutando qualunque meccanismo automatico che dia al blocco comunitario il diritto di stabilire che cosa deve fare Westminster. Bruxelles però sostiene che senza parità di standard, è necessaria l’applicazione di dazi e quote per permettere l’accesso al mercato unico alle merci inglesi, dal momento che in caso contrario i posti di lavoro nelle aziende europee sarebbero a rischio. Per venire incontro all’Ue, Londra ha dichiarato che verranno applicati alle materie sopra indicate «i più alti standard», accettando il divieto di «tornare indietro» con normative più lassiste. Ha però rifiutato di prendere come base di accordo la normativa europea, soprattutto per non dipendere, in caso di contenzioso, dalla Corte di giustizia europea.
Cosa vuole Bruxelles. Per cedere sul nodo della Corte europea di giustizia, l’Ue chiede almeno una “clausola di incremento”. Quando cioè una delle due parti eleva i propri standard, anche l’altra è obbligata a farlo approvando norme equivalenti. Un possibile compromesso potrebbe essere raggiunto modificando l’obbligo di approvare nuove norme in un obbligo di prenderle in considerazione. In questo caso, però, Bruxelles vuole che venga nominata una commissione indipendente che stabilisca quando una norma approvata, da una parte o dall’altra, rappresenta un “vantaggio competitivo”, proponendo di conseguenza una soluzione legislativa.
SOLUZIONE DEI CONTENZIOSI
A settembre Westminster, violando il trattato internazionale sulla Brexit, ha approvato una legge sul Mercato interno britannico che dà al governo inglese il potere di scavalcare l’accordo con l’Ue per quanto riguarda l’esportazione di prodotti agricoli in Irlanda del Nord e gli aiuti di Stato. Bruxelles ha messo in mora il governo e il lungo processo che ne seguirà dovrebbe finire alla Corte di giustizia europea. A causa di questo precedente, l’Ue vuole inserire nell’accordo un sistema efficace per risolvere le controversie che potrebbero nascere in futuro.
Cosa vuole Londra. I negoziatori britannici, per non tradire le aspettative della popolazione che ha votato la Brexit nel 2016, non vogliono che l’organo giudicante sia la Corte di giustizia Ue. Soprattutto, però, chiedono che l’ambito della sicurezza e della pesca restino fuori dagli ambiti su cui l’organo giudicante può essere sollecitato.
Cosa vuole Bruxelles. L’Unione Europea vorrebbe affidare il compito di dirimere le controversie alla Corte di Lussemburgo e pretende che ad essa sia possibile ricorrere per la violazione di ogni punto dell’accordo.
I COLLOQUI PROSEGUONO
I colloqui su questi tre snodi proseguiranno senza sosta anche nelle prossime ore e giorni. Alla vigilia di un nuovo round di trattative il negoziatore Ue, Michel Barnier, ha dichiarato che «persistono le stesse divergenze significative». Il premier britannico Boris Johnson è convinto però che ci sia «ancora tempo» per trovare una soluzione positiva. In ogni caso venerdì 4 dicembre il tempo scadrà e si saprà se le parti avranno trovato un compromesso accettabile o se il temuto “No Deal” diventerà realtà.
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