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Brasile. Bolsonaro non è un galantuomo ma il «disastro socialista» non è una fake news

Per Corriere e Repubblica il nuovo presidente ha vinto grazie a populismo e «retorica intollerante». Ma i brasiliani hanno abbandonato il Pt di Lula perché sono stanchi di crisi economica, criminalità e corruzione

Leone Grotti
03/01/2019 - 2:00
Esteri
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L’1 gennaio è iniziato il mandato del 38mo presidente del Brasile, Jair Bolsonaro, che a ottobre ha interrotto 15 anni di dominio assoluto socialista, ottenendo il 55 per cento dei voti e superando lo sfidante del Pt (Partito dei lavoratori), Fernando Haddad. Nel suo discorso di insediamento, condito dai consueti toni forti, la guida del Psl (Partito social-liberale) ha rispolverato i cavalli di battaglia che gli hanno permesso di vincere a sorpresa le elezioni: lotta alla criminalità e alla corruzione, valorizzazione delle radici giudaico-cristiane in opposizione al politicamente corretto e all’imposizione dell’ideologia gender, apertura del sistema economico e privatizzazioni per creare nuovi posti di lavoro, semplificazione burocratica e riforma delle pensioni, svolta geopolitica per rafforzare i rapporti con gli Stati Uniti a scapito di quelli con Cina, Venezuela e Cuba.

«DISASTRO ECONOMICO»

Il presidente gode del favore del 65 per cento dei brasiliani e il sostegno popolare verso Bolsonaro è tutto fuorché sorprendente. Il Brasile sta infatti faticosamente cercando di uscire dal «disastro economico causato dai governi Pt» (Financial Times): tra il 2015 e il 2016 il Pil del Brasile è crollato del 7 per cento, il reddito pro capite è diminuito del 40 per cento e la disoccupazione si attesta al 13 per cento (quella giovanile è il doppio). La produzione industriale è disastrosa e gli investitori esteri si sono dileguati. Un simile quadro economico è a stento credibile se si considera che il Brasile è un’economia emergente con immense risorse agricole, ampi giacimenti di oro, argento e ferro, oltre a essere una dei più importanti produttori di acciaio e petrolio al mondo.

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SCANDALO CORRUZIONE

Se i brasiliani hanno abbandonato il Pt dello storico leader Lula, condannato per corruzione a 12 anni e un mese di carcere, è anche per lo scoppio dello scandalo Lava Jato, uno dei più gravi casi di corruzione della storia, che ha svelato come il Pt abbia intascato in mazzette circa 2,5 miliardi di euro. Ma più in generale, i brasiliani sono stanchi della gestione socialista del potere: il Pt infatti ha usato «per 15 anni lo Stato per rafforzare il partito», come spiegato a Tempi dal giornalista brasiliano Reinaldo Azevedo:

«Il partito di Lula ha trasformato lo Stato brasiliano in una proprietà del partito. L’amministrazione federale dispone di circa 25 mila incarichi di fiducia di libera nomina senza concorso pubblico. Questo è assurdo. Poi ci sono migliaia di posti nelle aziende statali e nelle fondazioni pubbliche. Così si raggiunge la cifra favolosa di 100.313 incarichi (dati relativi al 2015), cioè il 16 per cento dei 618.466 funzionari pubblici. Queste persone sono state scelte tra i militanti del partito. Se il sistema ha retto è per l’altra faccia della medaglia: una politica assistenzialista aggressiva che ha reso milioni di poveri prigionieri di pochi benefici, che per chi non ha niente sono pur sempre qualcosa».

FAKE NEWS

L’intenzione di Bolsonaro di liberalizzare il possesso di armi e di abbassare l’età penale ha inoltre scandalizzato molti media occidentali, ma anche in questo caso bisogna ricordare che nel 2017 in Brasile sono state assassinate 63 mila persone e il codice penale favorisce l’arruolamento da parte del narcotraffico di minorenni per compiere gli omicidi più efferati. È difficile dire ora se le politiche aggressive di Bolsonaro saranno in grado di far uscire il Brasile dalla crisi e di risolvere i suoi tanti problemi. Di sicuro è assolutamente parziale, per non dire incomprensibile, il modo in cui i due principali quotidiani italiani, Corriere della Sera e Repubblica, hanno affrontato e analizzato il “fenomeno Bolsonaro”, scrivendo del suo insediamento.

Secondo il Corriere, infatti, il presidente ha vinto a sorpresa le elezioni solo grazie a fake news e alla «sua retorica omofoba, razzista e misogina». Anche per Repubblica il suo è «un successo politico nato sull’intolleranza» e alimentato da «dichiarazioni populistiche, sessiste e omofobiche». Bolsonaro non parla certo come un galantuomo e si è dovuto scusare pubblicamente per diverse battute infelici fatte in passato, ma il Brasile cerca disperatamente una via di uscita dalla crisi. E il fallimento delle politiche di Lula non è un fake news.

@LeoneGrotti

Foto Ansa

Tags: brasilejair bolsonarolulasocialismo
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