Perché la paura dell’inflazione si sta ridimensionando
Al presente non esiste il rischio di un ritorno di un’inflazione persistente nell’eurozona e quindi la politica monetaria della Bce rimarrà “compiacente” per parecchio tempo. Nessun timore sui rischi di un’impennata dei prezzi.
Sono diverse settimane che il timore di un’impennata dell’inflazione tiene banco tra gli investitori, timorosi che la ripresa economica e il rincaro delle materie prime possa mandare fuori giri il motore dell’economia, con pesanti ricadute sul reddito fisso e sull’azionario. Ma negli ultimi dieci anni i continui avvertimenti sull’inflazione non si sono alla fine mai concretizzati. Al contrario, la principale preoccupazione degli operatori è stata quella di evitare la minaccia della deflazione, ovvero il contraltare più insidioso dell’inflazione.
Quanti falsi allarmi inflazione
La storia del mercato è ricca di false partenze per quanto riguarda l’inflazione. La crisi finanziaria del 2009 e tutte le misure straordinarie associate delle banche centrali non sono riuscite a generarla. Il quantitative easing è in piedi da un decennio eppure ha prodotto a malapena un barlume di inflazione. L’aumento dell’inflazione potrebbe rappresentare un’incognita se si attivasse un’accelerazione importante delle retribuzioni che, a cascata, costringerebbe le banche centrali a diminuire gli stimoli monetari. Si tratta di una possibilità che continuerà a tenere desta l’attenzione di chi opera sui mercati, ma che non si realizzerà a breve termine.
In questo scenario, l’azionario continua a offrire discrete opportunità, in particolar modo i comparti più ciclici come il settore energia, i finanziari e gli emerging markets. L’azionario diventa così sempre più interessante. La maggior parte delle società quotate ha infatti già comunicato i risultati del primo trimestre e si è trattato delle migliori trimestrali da molti anni a questa parte.
Profitti meglio del previsto
La ripresa sarà robusta nel resto dell’anno e ci si possono aspettare ulteriori revisioni al rialzo delle previsioni negli Stati Uniti, ove le aspettative per l’anno in corso sono già salite del 15 per cento così come in Europa. L’aumento delle attese sui profitti aziendali comprime il rapporto prezzo/utili, finora considerato spropositato dagli addetti ai lavori. È la dimostrazione che quando si esce da una fase recessiva e si entra in una fase di ripresa focalizzarsi troppo sui multipli – come appunto il rapporto prezzo/utili – può generare confusione.
Se prendiamo come esempio l’indice S&P 500, il rapporto prezzo/utili da gennaio a oggi è sceso, nonostante le quotazioni siano salite all’incirca del 12 per cento. Tuttavia la reazione del mercato a questi numeri è stata piuttosto distaccata: in parte perché molti addetti si erano già posizionati sull’azionario prima del tempo, in parte perché sempre più operatori seguono l’aumento dell’inflazione e gli effetti su mercati e aziende.
L’incognita volatilità
In Europa, la spinta delle vaccinazioni dovrebbe dare vigore alla ripresa in modo simile a quanto avviene negli Stati Uniti. Quanto alla maggiore volatilità osservata negli ultimi tempi, la principale preoccupazione è legata a un aumento dei rendimenti obbligazionari a lungo termine, che appunto potrebbe rallentare la corsa delle borse. In aggiunta, si avvicina il periodo estivo, che senza dubbio presenta una maggiore volatilità, ma si ritiene abbia ancora senso rimanere investiti con un approccio diversificato.
Francesco Megna, autore di questo articolo, è commerciale settore banking
Foto Ansa
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