Oggi l’Istat ha presentato dati secondo cui nel 2012 il Pil è diminuito del 2,4 per cento. Siamo tornati al livello del 2000. I consumi sono scesi del 3,9, la spesa delle famiglie del 4,3; l’export è salito di un 2,3 per cento a fronte di un calo dell’import del 7,7. La pressione fiscale segna un nuovo record storico: 44 per cento. Il debito straborda le previsioni del governo ed è al 127 per cento.
Mentre accade tutto questo, in Italia si dibatte se si possa trovare un accordo politico con un comico che ogni tanto va un po’ «allo scarampazzo», per dirla con le parole del suo amico Nobel Dario Fo. La risposta è semplice e ovvia: non si può. Non si può, innanzitutto, perché lui non vuole, come anche oggi, Beppe Grillo è ritornato a ripetere senza mezze misure: «Nel Pd hanno la faccia come il culo, fanno il mercato delle vacche». D’altronde, da uno che è nato – con la complicità dei media che oggi vanno a suonare al suo campanello di casa – urlando «vaffanculo» nelle piazze, cosa puoi aspettarti? «Vaffanculo», appunto. E allora perché insistere? Perché usare lunghe perifrasi alla Bersani sugli otto punti da portare in parlamento, perché giocare con le parole alla Renzi sul fatto che «non va inseguito ma sfidato», quando – comunque – la risposta è sempre quel non garbato invito? Sono solo tentativi buffi e goffi che riempiono di ridicolo chi li provi.
Siamo in una situazione grottesca. Per una volta, l’ha scritta giusta Massimo Gramellini sulla Stampa: «I talk show sono diventati surreali, con il bersaniano che parla di Grillo, il berlusconiano che parla di Grillo e il montiano che vorrebbe parlare di Grillo ma nessuno lo ascolta. Grillo, lui parla solo con gli stranieri e sul suo blog, che le televisioni inquadrano come se fosse una persona».
Si dirà: ma Bersani cerca l’accordo (“scouting” lo chiama) coi grillini, non con Grillo. Errore. Questa logica potrebbe funzionare se Grillo fosse il capo del suo partito: a quel punto, il singolo deputato potrebbe – non condividendone la linea – tradirlo. Potrebbe accadere quello che abbiamo visto succedere infinite volte nella storia patria fino ai nostri Fini, Scilipoti o Razzi. Cambi di casacca e via. Ma qui la situazione è più complessa e meno democratica. Come spiega perfettamente Gianroberto Casaleggio nell’intervista video realizzata dalla ex Iena Alessandro Sortino per Piazzapulita, «nessuno viene espulso, gli viene tolto l’uso del simbolo». I grillini non ragionano secondo le vecchie categorie dell’appartenenza politica, secondo cui un cambio di linea del partito (a fronte di una qualsivoglia offerta migliore) potrebbe innescare un cambio di rotta personale. Dal M5S non si esce. Dall’M5S si sparisce (l’esempio di Giovanni Favia vale per tutti). Poi c’è un altra ragione, banalmente numerica: Bersani ne dovrebbe convincere troppi. È un’impresa impossibile che, qualora riuscisse, avrebbe il fiato corto di un governo Mastella-Bertinotti-Prodi.
Grillo non è il capo politico dei grillini. Grillo è il loro mullah. Lui non espelle. Lui emette fatwe. E tutti gli obbediscono perché sono – consapevoli o meno – di far parte di un “non partito” che è fondato su un “non statuto” e che non ha altre regole se non quelle “non scritte”. Un paradosso solo per chi pensi di poter ragionare in termini laici e secondo categorie politiche. Ma Grillo – come spiega il suo guru Casaleggio in eloquenti video – non punta come qualsiasi attore di una democrazia a governare attraverso procedure, compromessi, trattative, scambi. Lui punta al non potere, al fatto che “uno conti uno”, alla decrescita (dove lui fa la parte del maiale Napoleone orwelliano). È un’ideologia totalitaria che è incompatibile con la democrazia, ma compatibilissima con le dinamiche di «una setta», come ha scritto oggi sul Foglio Giuliano Ferrara. Non hanno sedi, non vogliono soldi, non hanno correnti né fronde, non si conoscono fra loro; si affidano solo al dio-web che si rivela attraverso la parola del mullah Grillo e del suo assistente marketing Casaleggio. Ha ragione Ferrara: «Sono una setta o come tale per adesso si presentano. Questo è il loro punto di forza».
Ok. Ma i dati Istat sono i dati Istat. A questo punto Bersani – lo sfortunato Bersani, il vincitore-perdente Bersani – deve scegliere se continuare vanamente a fare scouting fra i grillini oppure tentare l’inaudito e aprire a Berlusconi sulle «cose da fare». Può cercare un dialogo con tutti i singoli eletti grillini (e tanti auguri) oppure fare quello che tutti i giornali di sinistra, tutto il bel mondo di sinistra, tutti gli elettori di sinistra (a parte D’Alema) gli dicono di non fare: un patto col Caimano. Veda lui. Ma dopo Grillo, ci sono solo le conseguenze dei dati Istat.