Uno contro tutti. Berlusconi contro i poteri di Palazzo che brindano all’atto con cui sembra concludersi l’inseguimento allo Spartaco che da vent’anni sfida i medesimi poteri riuniti sotto il mantello paternalistico-retorico-affaristico che sovraintende lo Stato dei cittadini.
Davvero, non c’è niente di che brindare. Nel 1998, Paolo Mieli confessò a questo giornale che già dal primo avviso di garanzia filtratogli dalla procura di Milano e che da direttore del Corriere della Sera egli consegnò in un titolo a nove colonne a Berlusconi, premier da soli due mesi, «fummo tutti antagonisti al Polo» (ma «quando andò al potere l’Ulivo non si può dire la stessa cosa»). Da allora, nulla è cambiato. Per questo l’Italia è franata. Perché i poteri si sono concentrati nella caccia giudiziaria a una parte politica e nelle divisioni pro o contro Berlusconi.
Spiacenti per i Battista e per le Spinelli dei due maggiori quotidiani di sistema: il ventennio e il diavolo non hanno il marchio del “regime berlusconiano” ma hanno piuttosto l’impronta – questo sì, marchio infamante che passerà alla storia – della democrazia manomessa e piegata alla persecuzione dell’imprenditore e politico che il sistema di Palazzo ha ritenuto essere razzisticamente inferiore e quindi da avversare con ogni mezzo, dalla piazza alla persecuzione giudiziaria estesa alla identificazione del giornalismo con gli atti di accusa delle Procure.
Perfino a uomini del Pd e a illustri costituzionalisti in queste ultime settimane è stata tolta di bocca la parola garantista. E perfino Pierferdinando Casini, che pure con Berlusconi ha rotto (e in malo modo) da tempi non sospetti, ha dovuto ammettere, in prossimità del voto di decadenza, che «non si può liquidare così, come storia criminale, un ventennio».
C’è un modo per uscirne? Sì. La grazia di Napolitano. Scandalo? E perché? Con Adriano Sofri, condannato con sentenza definitiva per omicidio, i poteri (Berlusconi compreso) si mobilitarono con petizioni sostenitrici l’atto di grazia. E ciò avvenne benché Sofri (come Berlusconi) la disdegnasse, ritenendosi (come Berlusconi) vittima di un’ingiustizia. Infine, l’editorialista di Repubblica non la ottenne (benché Ciampi l’avesse già attivata) solo perché il ministro di Giustizia scatenò un conflitto istituzionale invalicabile. Oggi non c’è nessun leghista al governo. Però è vigente l’articolo 681 del Codice di Procedura penale. Il quale prevede la grazia per motu proprio del presidente. Dunque? Dunque sarebbe cosa pacificante il paese che il Quirinale la concedesse al leader di quella parte politica nei cui confronti i poteri di Palazzo furono «tutti antagonisti».