«Non chiedere la grazia non significa essere innocenti, ma solo non riconoscere il codice che ti ha condannato», scriveva il 15 agosto 2013, Francesco Merlo su Repubblica. Lo sdegno dell’editorialista riguarda Silvio Berlusconi, colpevole di non domandare la grazia (sottovoce) ma di esigerla nelle pubbliche piazze. «La grazia – argomenta Merlo – non è una larga intesa ma al contrario un piccolo grande gesto che il capo dello Stato compie con il minimo di pubblicità possibile perché è pudore, è discrezione».
Merlo è uno dei tanti che oggi subordina la concessione presidenziale della grazia al pubblico pentimento di Berlusconi, all’omaggio vassallatico al capo del Csm che gli è impossibile fare.
LA GRAZIA PER SOFRI. Come tanti, Merlo ha cambiato parecchie volte idea. Non occorrono grandi sforzi per ricordare il caso di Adriano Sofri, l’ex leader di Lotta Continua, condannato in via definitiva a 22 anni di carcere per l’omicidio del commissario Calabresi. È passato appena un decennio da quando Merlo non aveva problemi a difendere la sua causa sul Corriere della Sera, dove tesseva le lodi delle larghe intese che si erano attivate per convincere il Presidente della Repubblica a concedere una grazia che, come quella di Berlusconi, non fu mai richiesta dall’interessato.
MERLO: “BRAVO BERLUSCONI”. In un articolo sul Corriere della Sera, nel 2002, Merlo addirittura elogiò Berlusconi, che in una lettera al Foglio si era dichiarato favorevole alla causa di Sofri: Berlusconi «ha fatto un servizio a tutti quelli che non sopportano più Sofri in galera», spiegò Merlo: «Non tanto a quelli che credono nella sua “non colpevolezza penale” (che è materia affidata e già risolta dai giudici), ma soprattutto a quelli che non vogliono fermare la storia a trent’anni fa, magari perché sanno che i propri pensieri di allora erano gli stessi pensieri di Sofri, e che lui sta in prigione in rappresentanza di una generazione, sicuramente al posto di un altro, perché il Sofri di oggi non è il Sofri di una generazione fa». A quanto pare, anche Merlo.
IL PRESIDENTE E LA GRAZIA. Quando si trattava la grazia per Sofri, tutto era diverso, non solo per l’intellighenzia di sinistra ma anche per il capo del Csm, l’allora presidente della Repubblica Carlo Azeglio Ciampi. Nonostante l’assenza di pentimento del reo, Ciampi, per concedergli la grazia, arrivò a sollevare un conflitto istituzionale con il ministro della Giustizia, il leghista, Guido Castelli. E dire che si trattava di un condannato per omicidio. Oggi Napolitano spiega che, per un ex presidente del Consiglio, condannato definitivamente da una sezione feriale al terzo processo per il medesimo fatto, cioè una frode fiscale, «non ci sono le condizioni per l’intervento del capo dello Stato». Conoscendo la vicenda di Sofri e paragonandola a quella di Berlusconi, possono davvero sorprendere i toni “sovversivi” usati dal capo di Forza Italia?