Berlinguer&Napolitano. Storia segreta del Pci dalle faide all’antipolitica

Di Gianluigi Da Rold
01 Aprile 2016
A Finetti va il grande merito di aver scritto non solo la controstoria, ma la realtà documentata di quello che è accaduto a sinistra, per miopia di una parte del Pci
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Quando decidemmo di dimetterci dal Pci nel gennaio del 1967, il sottoscritto aveva 24 anni e Ugo Finetti 22. Naturalmente le dimissioni furono trasformate in «espulsione per indegnità». Il reale motivo? Eravamo “troppo amendoliani”, convinti dagli articoli, apparsi su Rinascita nell’autunno 1964, di Giorgio Amendola sul partito unico della sinistra italiana, superando il leninismo. Eravamo dei giovani funzionari del Pci milanese, ma Finetti era già un leader: era il presidente del Circolo Banfi, l’organismo che decideva la politica degli universitari comunisti.

[pubblicita_articolo allineam=”destra”]La storia ha voluto che Finetti diventasse ugualmente un leader della sinistra riformista, un ottimo giornalista e un grande storico della complessa vicenda italiana sui rapporti politici nella sinistra. Ha scritto diversi libri, ma tre sono legati da un filo rosso. La Resistenza cancellata del 2003, Togliatti&Amendola. La lotta politica nel Pci del 2008, Botteghe oscure. Il Pci di Berlinguer&Napolitano, uscito in queste settimane, spiegano i ritardi e gli appuntamenti mancati della sinistra italiana. Pubblicati tutti e tre da Edizioni Ares, a Finetti va il grande merito di aver scritto non solo la controstoria, ma la realtà documentata di quello che è accaduto a sinistra, per miopia e settarismo di una parte della dirigenza del Pci, mancando così l’appuntamento con la costruzione di un grande partito e non arrivando a un vero sistema bipolare che Amendola aveva tracciato fin dall’inizio degli anni Sessanta. Di fatto, prima Togliatti e poi Berlinguer hanno ostacolato un disegno ambizioso, per anacronismo ideologico e qualche ragione di bottega, lasciando un’eredità ambigua, travolta dall’implosione del comunismo a livello mondiale.

L’ultimo dei tre libri, Botteghe oscure, svela tutta la pochezza della linea berlingueriana, della «diversità» comunista e della «questione morale». Finetti comincia da una drammatica riunione del vertice comunista nel settembre del 1981, quando si apre uno scontro durissimo tra il “pupillo” di Togliatti, Berlinguer, e il “pupillo” di Amendola, Napolitano. Dalla metà del 1978 la linea di Berlinguer non paga più. I successi del 1975 e 1976 sembrano dimenticati e il Pci perde in percentuali elettorali. È un riflesso della linea politica che muta continuamente e diventa quasi affannosa. Prima Berlinguer vara il compromesso storico, poi opera la scelta della solidarietà nazionale e del governo della «non sfiducia», poi quella dell’alternanza e ancora quella del «partito perno» e del «partito nuovo». Tentativi poco convincenti, che sembrano cadenzati sul lento declino della “casa madre”, l’Unione Sovietica e soprattutto l’ideologia leninista, che per Berlinguer resta sempre una «grande lezione della storia».

Un mese prima della riunione di quella direzione del 1981, il segretario comunista ha rilasciato un’intervista al direttore di Repubblica, Eugenio Scalfari, che suscita polemiche all’interno del partito. Berlinguer accentua l’attacco ai socialisti, sottolinea la «diversità del Pci», rilancia la «questione morale», lascia la porta aperta al dialogo con i cattolici rappresentati in politica da Ciriaco De Mita. Scalfari dirà che Berlinguer ha creato il «nuovo partito d’azione di massa». In questo modo il Pci si trova in una sorta di «confusione perfetta». È per questa ragione che Napolitano attacca e Berlinguer replica con durezza: «Un compagno della segreteria ha creduto di dover correggere una posizione presa dal segretario del partito in una intervista. Ha portato un danno obiettivo al partito nel momento della lotta con altre forze». Alla fine Berlinguer, con un vero processo, allontanerà Napolitano dal vertice del Pci.

La «straordinarietà» continua
I problemi resteranno tutti insoluti. Il famoso dialogo con i cattolici (scoperto addirittura da Togliatti nel 1936 in Spagna ai tempi della guerra civile e poi rilanciato in Italia) zoppicherà a lungo. C’era stata l’avversione verso Pio XII, l’ammirazione per Giovanni XXIII, ma anche l’attacco contro Giovanni Paolo II, il Papa polacco che guardava alla grande svolta guidata da Lech Walesa. L’eredità di Berlinguer sarà alla fine quella di un leader che si è sforzato di allontanarsi dall’Urss e di reinventarsi un finanziamento senza l’intervento diretto dei sovietici. Ma la storia dell’«amministrazione straordinaria» non sarà cancellata, i veri comparti di «fondi neri» sopravviveranno.

Resterà la logica di un leader che aveva un perimetro ideologico comunista, che non ha mai voluto collegarsi alla grande tradizione riformista europea e occidentale. Resterà la «diversità» e la «questione morale» che alimenteranno inconsapevolmente antipolitica, qualunquismo di sinistra e un giustizialismo devastante. Ha scritto su Facebook Giorgio Napolitano a Finetti: «Lei ha ricordato con grande attenzione – salvo sempre possibili ulteriori chiarimenti – il confronto interno al Partito comunista tra gli anni 60 e la scomparsa di Berlinguer».

Foto Ansa

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