
Elogio di un eroe impresentabile

Questo articolo di Ben Weasel, musicista, leader della storica band punk rock di Chicago Screeching Weasel, è tratto dal numero di Tempi in edicola (vai alla pagina degli abbonamenti) e fa parte della serie “Idee per respirare”.
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Negli ultimi anni ho notato una tendenza preoccupante sui siti come Goodreads: la gente stronca i romanzi perché hanno protagonisti sgradevoli. Le recensioni di questo tipo confondono “gradevole” con “simpatetico” e – anche peggio – con “moralmente integro”. Per me è sbalorditivo, e dovrebbe esserlo per qualunque lettore. Significa che Macbeth, Grandi speranze e Delitto e castigo dovrebbero essere pessime opere. L’idea mi pare discendere dalla concezione altrettanto pazzesca secondo la quale i grandi artisti sono tenuti a essere anche grandi uomini. Mi auguro che le persone che credono in simili sciocchezze non si imbattano mai in una copia di La bocca della verità, il romanzo di Joyce Cary del 1944: finirebbero in preda a un brutto attacco isterico.
Gulley Jimson, il protagonista di La bocca della verità, è nello stesso tempo un farabutto e un grande artista. «Quando arrivai a Londra nel ’99», ricorda Jimson, «ero un impiegato regolare. Avevo una bombetta, una casa, una bella mogliettina, un bel bambino e un conto in banca. Mandavo denaro a mia madre ogni due settimane e davo una mano a mia sorella. Un bel giovanotto felice e rispettabile. Mi godevo la vita all’epoca. Ma un giorno, mentre me ne stavo seduto nel nostro ufficio nel Bankside di Londra, una macchia d’inchiostro mi cadde su una busta. Non avendo nulla da fare in quel momento, mi misi a stenderla con la penna per provare a farla sembrare una faccia. In breve mi ritrovai a disegnare forme in rosso e in nero, sulla stessa busta. Da quel momento non ho più avuto scampo».
Jimson abita in una baracca sul fiume. Passa le sue giornate sfuggendo ai creditori, chiedendo soldi in prestito a gente che non sa fare di meglio e sfruttando economicamente le donne. Quando ne ha la disponibilità, dipinge. Quando non ce l’ha, scruta il paesaggio intorno a sé con il suo sguardo da pittore, tenendo da parte quello che gli piace per uso futuro. La sua musa è la poesia di William Blake; per Jimson, l’arte è teologia e Blake il suo sommo sacerdote. Jimson è portato a creare in modo maniacale, a costo di escludere ogni altra cosa, compresi il tatto, l’onore e il comune senso della decenza. Mente, imbroglia e ruba. Camuffa il suo risentimento con una verniciata di mite, spassionata accettazione, contraddetta da accessi di rabbia e da telefonate strampalate al suo vecchio longanime committente, Hickson. È davvero un personaggio sgradevole.
Un’altra volta in galera
Deve dei soldi alla sua amica Coker, la barista alla buona di uno dei locali che bazzica. Deve soldi a tutti, ma Coker è una donna determinata. Non gliene potrebbe fregare di meno dell’arte, ma sospetta che Jimson dica la verità quando sostiene di essere un genio, così lo trascina da Hickson per chiedere indietro certi nudi della ex convivente di Jimson, Sara Monday. Jimson ritiene che valgano una fortuna. Mentre Coker discute con Hickson, Jimson gironzola per lo studio, recitando tra sé Le visioni dei figli di Albione di Blake. Improvvisamente il poema gli rivela il suo prossimo dipinto – una rappresentazione della Caduta dell’Uomo. Perso nel suo sogno, si intasca alcune scatole di tabacco. Il maggiordomo lo becca, arriva la polizia, Jimson si dà alla fuga ma viene arrestato e passa i sei mesi successivi in galera. Non è la prima volta. A sessantasette anni non è più divertente.
Appena libero, si procura la tela perfetta per La Caduta e ritorna nella baracca, dove trova Coker incinta di otto mesi che ora vive nel suo alloggio. Il padre è scappato, così la madre di Coker ha pagato l’affitto arretrato e si è trasferita lì. Non vuole Jimson di torno: lo caccia mollandogli un ceffone e, soprattutto, tenendosi la sua tela.
Prende il via una serie farsesca di eventi in cui Jimson prova a recuperare la sua tela mentre le ex mogli, la polizia e a quanto pare le forze della natura cospirano contro di lui. Un giovane aspirante artista che Jimson chiama con disprezzo “Ficcanaso” gli gira intorno portandogli il caffè, assistendo e spalleggiando Jimson nelle sue macchinazioni. Jimson riceve una lettera di ammirazione da un critico d’arte chiamato Alabaster e per un po’ sogna il successo, ma il critico si rivela essere inutile tanto quanto Ficcanaso. Come sempre, niente gira per il verso giusto a Gulley Jimson.
Più volte si scontra con gente pragmatica che sa come cavarsela nel mondo reale ma che non apprezza o non capisce il valore dell’arte: che siano la meschina signora Coker o il ragionevole, intelligente e totalmente privo di immaginazione Hickson; che siano la mercenaria Sara Monday o Sir William e Lady Beeder, tenacemente liberal e civili, o ancora il signor Plant, un fabbricante di stivali appassionato di filosofia che si buca una mano con un ago sporco che gli provoca un’amputazione. Plant è ridotto in uno stato pietoso, quasi animale, quando Jimson lo trova in una pensione a combattere per qualche briciola con altri ospiti. Jimson sarà pure una persona spregevole e un imbroglione, ma è un pittore e così dipinge. Plant ha perso la sua attività; la sua è un’attività sensata e ragionevole, ma inutile per un uomo con una mano sola.
Gulley Jimson è puro impulso e coazione, sempre in movimento, si nutre di tutti quelli che ha intorno per mantenersi. Certo che è povero, non potrebbe essere altrimenti. Non lascia niente al mondo a parte la sua arte, e da tempo ha imparato che al mondo non importa molto.
Il muro della Creazione
La bocca della verità è il terzo romanzo della trilogia di Cary* che comprende anche il Diario di Sara Monday, narratrice straordinariamente inaffidabile, e l’eccellente Pellegrini nel mondo, raccontato da Thomas Wilcher, datore di lavoro di Sara Monday che finirà vittima di lei. Sara Monday è comicamente ipocrita; Wilcher è di una onestà solenne, benché filtrata dalla malinconia e dal rimpianto; Jimson è egoista ed egocentrico. Tutta la trilogia è una notevole conquista artistica, ma Cary pensava che La bocca della verità fosse divenuto il libro più popolare perché è divertente. Magari aveva ragione lui, ma io sospetto che il motivo per cui La bocca della verità è ancora così amato è perché Gulley Jimson, per quanto odioso, suscita la nostra simpatia come nessun personaggio gradevole e simpatetico potrebbe; in fondo Gulley Jimson si comporta nel modo in cui forse ci comporteremmo tutti, se sacrificassimo la tranquillità e la sicurezza per dedicarci totalmente all’impeto creativo, senza preoccuparci di nient’altro.
Certo, è una cosa impossibile, e questo è il motivo per cui dobbiamo ricordare che Gulley Jimson è un personaggio, non una persona reale e nemmeno una lezione morale. Ci mostra cosa vuol dire dedicarsi all’arte senza riserve, e se l’esito non è sempre facile da guardare, perché dovrebbe esserlo?
Alla fine Gulley Jimson viene colpito da un infarto proprio mentre il Comune abbatte l’edificio semidiroccato sul cui muro lui sta dipingendo il suo ultimo capolavoro, La Creazione. Giace in un letto di ospedale, inveendo con lo stesso guizzo idiosincratico con cui ci ha incantato per 300 pagine, quando la suora che lo accudisce lo avverte che è troppo malato per parlare.
«Sarebbe meglio per lei mettersi a pregare», dice lei.
«È la stessa cosa, madre», risponde Gulley Jimson.
* * *
*Ndr. I titoli originali delle tre opere di Cary sono Herself Surprised, To Be A Pilgrim e The Horse’s Mouth, che nell’edizione italiana completa della trilogia, pubblicata nel 1953 da Mondadori con il titolo Tre modi di peccare, sono stati tradotti rispettivamente in Diario di Sara Monday, Pellegrini nel mondo e Dalla bocca del cavallo. Quest’ultimo è stato successivamente ripubblicato come La bocca della verità, secondo l’omonima trasposizione cinematografica del 1958
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