«Ci stiamo occupando di turismo, di attività commerciali, non ci stiamo occupando di dove la gente va a scopare. Non è un problema mio, vada dove gli pare» (Rosaria Iardino, consigliere comunale del Pd di Milano)
E adesso provateci voi a uscire dal labirinto dei diritti lgtb. Dunque, accade questo: il primo luglio la maggioranza di centrodestra della Regione Lombardia approva in consiglio una mozione a favore della famiglia naturale in cui si impegna a trovare una data per una festa ad essa dedicata e a sostenere il Fattore Famiglia. Al momento del voto, la minoranza (Pd, Movimento 5 Stelle e Patto civico) escono dall’aula in segno di dissenso. Arcigay di Milano definisce la mozione «intrisa d’odio», «pericolosissima» e, in sostanza, «omofoba». Arcigay Milano parla di «festa abominevole», «atto barbaro» e «inaudita rappresaglia ideologica». Già l’equazione “sei per la famiglia naturale uguale sei omofobo” basterebbe a provocare qualche sussulto, ma il giorno dopo l’Arcigay aggiunge il carico da novanta: «Boicottiamo la Lombardia. Deve crollare l’economia della regione». Quindi a causa di una mozione (una mozione, mica una legge), bisogna boicottare l’economia di una regione. In tempi di crisi economica, un’idea geniale.
Grazie a un video apparso sul sito del Fatto quotidiano abbiamo potuto vedere le rimostranze di alcune personalità del mondo omosessuale milanese che si sono lamentate perché taluni locali non sono stati inseriti nell’elenco fornito dall’app del Comune. Quali? Quelli dove ci sono le saune e si fa cruising (scambio di coppia e sesso occasionale). «Si tratta di censura», dicono. «È un’ipocrisia. In altre città, Madrid, Londra, New York, Helsinki, Parigi questi tipi di locali sono indicati». E poi – scandalo! – fanno notare che nell’app del Comune è segnalata anche l’Age, associazione di genitori cattolici, che sull’homepage del suo sito riporta il discorso del cardinale Angelo Bagnasco contro la dittatura del gender. «Vi sembra un’associazione gay friendly, questa?». È a quel punto che Iardino se ne esce con la frase che abbiamo messo in esergo. «Sapete, io sono una lesbica, sono anziana, manco sapevo cosa fosse il cruising», si schermisce con una punta di pudore.
Che meraviglia. Ricapitolando: l’assessore del Comune di Milano s’inventa un’app per ricevere il plauso della comunità lgtb e si ritrova davanti una platea di contestatori che, oltre a voler boicottare la regione (e lui è pur sempre l’assessore al turismo del capoluogo, che diavolo), lo contesta dandogli del sessuofobo. Il consigliere Iardino, poi, si ritrova in una posizione ancor più ostica. Da sempre sul fronte più avanzato della difesa e dei diritti lgtb, a Iardino non è bastato ideare l’app gay friendly e aderire al boicottaggio contro la «mozione intrisa d’odio». Non l’è bastato nemmeno essere lesbica. Pure lei s’è beccata la sua accusa di «sessuofobia», di «censura», di poca attenzione al mondo cui pure appartiene. Lei, dico, che aveva anche segnalato dove trovare in città la macchinette dei preservativi più vicine (mica per incentivare il turismo sessuale, eh! Turismo e basta).
Non solo. D’Alfonso e Iardino hanno discriminato i gay proprietari di saune a favore dei gay proprietari di discoteche. E questa è una discriminazione particolarmente grave, perché non riguarda mica corbellerie e scartoffie come “genitore 1 e 2”. Questa è una discriminazione seria, di quelle che toccano il cuore e il cuore del portafoglio. A questo punto speriamo che in Senato ci mettano una pezza e aggiornino il ddl Scalfarotto. Pure le app gay friendly sono omofobe.