Dal golpe anti Cav alla caduta di Draghi. «Dieci anni di sottrazione della volontà popolare si pagano»
«I problemi di oggi hanno una data di nascita precisa: novembre 2011, quando il governo legittimo di quel tempo fu mandato a casa nelle forme e nei modi che conosciamo». Ha le idee chiare Antonio Pilati, ex commissario all’AgCom, studioso ed analista politico ed economico dal lungo bagaglio pubblicistico e intellettuale. Si parte da lì, dalla famosa lettera della Bce (Banca centrale europea) che nel volgere di qualche ora di quel tempo scompaginò il quadro politico e istituzionale e spedì a casa Silvio Berlusconi spianando la strada alla “rituale” epoca dei governi ora tecnici ora composti da alchimie slegate dal reale contesto sociale.
Interessante la sua chiave di lettura, ma ci torneremo tra poco. Iniziamo invece con un preliminare parere sulle fasi finali del governo Draghi.
Stiamo andando incontro a una fase economica e sociale molto difficile. Ci sono enormi problemi di rapporti commerciali tra gli Stati, problemi di fornitura energetica, problemi sulle catene di rifornimento delle materie prime, un’inflazione galoppante, eccetera. Quindi abbiamo un quadro molto scuro e che tende a peggiorare. Ciò ha reso complicato, usando un eufemismo, il lavoro del governo Draghi, il quale in più ha avuto l’ulteriore complicazione della campagna elettorale ormai di fatto scatenata, indipendentemente dalla fine anticipata di pochi mesi. Draghi ha avuto la percezione che le condizioni generali del suo governo fossero in caduta e, nonostante le pressanti richieste del presidente della Repubblica, a un certo punto ha pensato che forse era meglio staccare la spina.
Volevo infatti chiederle proprio questo, visto che in pochi si attardano sul ruolo giocato dal Quirinale.
Sì, ho l’impressione che Mattarella sia rimasto abbastanza spettatore. Certo poteva solo sollecitare Mario Draghi, ma non poteva obbligarlo a tenere in piedi un governo che, secondo lo stesso presidente del Consiglio, non c’era più.
Se dovesse dare un giudizio “estetico”, Draghi è uscito bene o male da questa storia?
Da un punto di vista estetico si è capito che voleva andarsene. Dopodiché, le ragioni erano chiare, ma poi lo sono diventate un po’ meno. Per essere obiettivi, non dimentichiamo che il governo Draghi è il terzo governo di una legislatura che è nata storta, sghemba, in quanto i risultati delle elezioni del 2018 non consentivano di creare maggioranze coerenti. In altri paesi quando si verificano queste condizioni si sciolgono le Camere, penso a Israele o alla Spagna.
Da noi in Italia pare che non si possa fare.
Da noi non è successo perché a mio giudizio il segretario generale del Quirinale [Ugo Zampetti, ndr] è stato un po’ il tutore della forza politica che ha ottenuto un terzo dei seggi e quindi questo, forse, ha lasciato immaginare che potesse modellare la legislatura. Secondo me è stato un errore di valutazione, nel senso che quella distribuzione dei parlamentari non consentiva un’azione politica coerente. Sono state fatte tutte le combinazioni politiche possibili con la destra, con la sinistra e con una certa “unità nazionale” ma non è mai venuto fuori niente di soddisfacente. La mia sensazione è che sia prevalsa la volontà di aumentare la vita della legislatura, quando sarebbe stato meglio chiudere un Parlamento che aveva poche chances di offrire una formula politica solida e seria. E l’unico modo erano le elezioni che non sono affatto un male.
Invece è andata com’è andata.
Nella storia italiana le elezioni si sono fatte in molti periodi difficili e non è mai successo nulla di drammatico. Questa legislatura, che a me pare abbastanza scomposta e confusa, è la legislatura che viene 10 anni dopo il novembre 2011, quando cadde il governo guidato da Silvio Berlusconi.
E qui veniamo al punto di esordio di questa conversazione. Ci spieghi meglio.
Credo che non bisogna sottovalutare ciò che è successo in questi 10-11 anni: ci sono stati o governi dei tecnici, vedi Monti e Draghi, oppure quello del “partito dell’establishment”, e mi riferisco ovviamente al Pd, che in maniera costante e senza adeguata forza parlamentare formava maggioranze diverse strappando voti al centrodestra. Da allora abbiamo avuto 10 anni di situazione politica anomala, in cui l’establishment governava anche se non era perfettamente allineato al sentimento e al voto popolare.
Il che può accadere, non c’è scandalo, purché sia una fase transitoria. È così?
Sì certo, ma 10 anni sono lunghi, mettiamola così. Si pagano gli anni di sottrazione della volontà popolare.
Mi dia un’opinione sulla parabola dei 5 stelle.
Che dire? Si sono dimostrati un partito di protesta che funzionava fin quando mandava al diavolo il prossimo, quando poi il gioco è cambiato e dalla protesta sono dovuti passare al governo, hanno rivelato la loro inconsistenza.
Recitando uno slogan corrente di queste ore, la sinistra è passata da Marx a Draghi, ma questo lo abbiamo capito tutti. E a destra come stanno le cose secondo lei?
Non lo so, li vedo persi nella ricerca della leadership, della regolazione dei rapporti di forza interni. Stanno cercando di prendersi le misure reciprocamente insomma.
Indugiare su questo terreno gioverà o nuocerà al centrodestra?
Prima si sbrigano e meglio è.
La considera chiusa la disfida elettorale? È scontata la vittoria del centrodestra a settembre, come dicono un po’ tutti, o è ancora una partita aperta?
Non saprei. Letta mi pare abbia sbagliato totalmente la partita delle alleanze, perché per mesi è andato coltivando il disegno di un accordo con i grillini senza accorgersi che i grillini si stavano sfarinando, dissolvendo, e quindi si è trovato senza alleanze o con alleati con poco peso elettorale. E questo è un vantaggio oggettivo per il centrodestra. Come ho detto prima, però, mi sembra che la situazione, sia economica che sentimentale del paese, sia così grave che potrebbero succedere tante cose. Ad esempio, mi stupisco abbastanza del coro unanime – e anche un po’ aggressivo – dei sostenitori dell’Ucraina, diciamo del pensiero ufficiale al riguardo. Ma provi a parlare con la gente di questa guerra, dei sacrifici che comporta: vedrà che non c’è alcun entusiasmo, chiamiamolo così. C’è molto “terrorismo” da un lato e diffidenza dall’altro. Esiste, in pratica, un così forte scostamento tra le cose che si dicono a livello ufficiale (centrodestra compreso) e le cose che albergano nella testa della gente che ci si possono aspettare sorprese. E non è detto che la sorpresa sia la vittoria del giovine Letta ma, per esempio, un boom dell’astensionismo.
Lei vede questo pericolo?
Io vedo la gente molto preoccupata e incerta. Come questo sfoci a valle nel voto, francamente, non lo saprei dire, altrimenti metterei in piedi un ufficio di consulenza per i partiti.
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